A cosa, a chi

Se per Bruno Manghi “il sindacato non muore mai”, per Ilvo Diamanti c’è il rischio che il sindacato italiano non sappia più “a cosa, e a chi, serve ancora” (così oggi  sulla Repubblica).

Le due cose non si escludono (lo abbiamo già scritto ieri).  Ci sono sindacati nel mondo che sopravvivono in maniera poco utile e sindacati che dimostrano una vitalità individiabile anche quando, come nell’esempio americano, sono ampiamente minoritari. Il che rivela, ci sembra, un limite dell’analisi di Diamanti. Che è fondamentalmente di tipo quantitativo e statistico. Mentre nel sindacato c’è sempre una dimensione (alcuni maestri la definivano “spirituale”) che non è misurabile. Se non nelle sue conseguenze di azione pratica, alle quali è comunque irriducibile.

Certo, se le conseguenze pratiche sono quelle che si vedono in Italia (le retribuzioni dei rappresentati sono ferme o calano, quelle di alcuni alti rappresentanti crescono fino a dare scandalo), la domanda su “a chi, a cosa serve il sindacato” diventa non banale.

Il problema è sul tappeto. E per quanto riguarda la Cisl la vicenda Bonanni e i suoi seguiti fino allo scandalo Scandola ne sono un sintomo, non la causa. Quindi sbaglia in blocco la segreteria confederale quando espelle all’unanimità chi parla di queste cose (facendo finta che sia una decisione autonoma dei probiviri); e sbagliano quei segretari confederali che riducono tutto al giochino di “chi c’è dietro”.

Perché il problema, semmai, è cosa c’è davanti e sta sotto gli occhi di tutti. E non ha senso pensare di risolverlo cambiando gli equilibri interni al gruppo dirigente della Cisl. Un gruppo dirigente che, alla prova dei fatti,  è sempre compatto in arroganti atti di imperio che sono anche ammissioni di impotenza come commissariare le federazioni che votano liberamente nei loro congressi, licenziare i non allineati, ed espellere chi pone questioni di cui peraltro si ammette implicitamente l’esistenza nel momento in cui si cambiano le regole. .

Una Cisl così lascia molti dubbi su “a cosa” possa servire. Quanto “a chi”, è chiaro che un sindacato dove il gruppo dirigente crede che dirigere voglia dire comandare serve solo  a chi detiene il comando. E magari a qualche parente o amico da piazzare qua e là (come dimostra l’esempio della Calabria).

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