“Ma il sindacato non muore mai”. E’ il bel titolo di una bella intervista video di Adapt a Bruno Manghi. Che, brillante come sempre e lucido come nei momenti migliori, legge le trasformazioni in atto nel lavoro su scala mondiale come uno dei tanti momenti nei quali chi rappresenta i lavoratori deve saper usare il cervello, ma comunque è tutt’altro che destinato a sparire. Un’intervista della quale ci piace sottolineare, per ragioni di bandiera, alcuni passaggi sull’America, come quello su Change to Win, che fanno riferimento a temi che in Italia sono stati introdotti dalla Fai attraverso la casa editrice Agrilavoro. Una casa editrice ed una federazione che, ci dispiace dover sottolineare, oggi sono in mano ad una persona, Luigi Sbarra, che probabilmente sposterà l’accento su temi comunque importanti come la forestazione in Calabria, i problemi della viabilità in Calabria e qualche simpatica pubblicazione con le mille ricette per cucinare con la ‘nduja (magari intervallati, come da tradizione, dall’opera di qualche monsignore su temi liberamente scelti).
Ma torniamo a Manghi ed alla sua intelligente provocazione sulla morte impossibile del sindacato; che ci piace, ma sulla quale ci sembra opportuno fare qualche precisazione.
In primo luogo, l’osservazione internazionale ci dice che ci sono anche esperienze sindacali molto poco vitali. Ad esempio, sulla Francia (che è il vero modello di tante riforme italiane, dalla contrattazione nel pubblico impiego ai contratti in deroga e agli accordi “storici” sulla rappresentatività, magari spacciate come “modello tedesco”), hanno scritto cose interessanti Dominique Andolfatto e Dominique Labbé (il primo è stato ospite della Fondazione Pastore nel ciclo di seminari su Mario Grandi nel 2011): un esercito di funzionari stipendiati con risorse che non vengono più dagli iscritti, che sono sempre di meno, ma dalle controparti e dalla mano pubblica. Il che rappresenta un sopravvivere a sé stessi, cioè una versione poco dignitosa del “non morire mai”.
In secondo luogo, dire che il sindacato non muore non vuol dire che le organizzazioni sindacali non possano morire o sopravvivere a sé stesse. Ad esempio, quando perdono la ragione del loro essere nate con quella identità rispetto ad altre (Manghi è pur sempre un unitario e parla sempre di sindacato, ma esiste anche il fatto che i sindacati sono diversi, non solo fra confederazioni ma anche al loro interno). Oppure, quando perdono la loro credibilità.
Per questo, il problema posto da Fausto Scandola non va liquidato come “panna montata” o facile moralismo. Se i redditi dei vertici dei sindacati hanno una dinamica opposta a quella dei rappresentati, se questi crescono troppo e quelli stanno fermi, quello che si pone è un problema di rappresentanza, di credibilità della rappresentanza.
E sempre per questo, non è un problema da poco se la Cisl, nata da “uomini liberi nel sindacato libero” diventa una specie di caserma dove si commissariano le federazioni per un libero voto del loro congresso (cioè dei rappresentanti dei lavoratori iscritti), si licenzia con l’accusa di lesa maestà (nella fattispecie l’ex maestà Bonanni) e si espelle chi pone domande non banali sui redditi di chi, stando in alto, dovrebbe dare l’esempio.
Per questo, sul fatto che il sindacato non muoia mai ci sentiamo di essere d’accordo. Se si parla della Cisl …. speriamo.
Sottoscrivo: magari!!! Sempre che non succeda come con l’ICI, doveva essere eliminata una volta per sempre, ed è arrivata l’IMU; poi stessa cosa con l’IMU e la TASI…