Una cosa che la Cisl-Probiviri dovrebbe sapere (o almeno i cultori del diritto fra di loro) è che la storia della Fai “spaccata a metà” (91 per lo scioglimento, 91 contro) e quindi “ingovernabile” e da commissariare non esiste. Anche se loro l’hanno ratificata, tecnicamente si tratta di una bugia. La verità è che solo un terzo (o poco più) dell’organizzazione si è pronunciata per lo scioglimento; e quindi il commissariamento voluto dalla Cisl è il modo con cui la confederazione vuole imporre dall’esterno ai (quasi) due terzi della Fai la volontà di una minoranza interna.
Dice lo statuto della Fai (identico sul punto a quello della Cisl) che per deliberare lo scioglimento ci vogliono i tre quarti dei “voti rappresentati”. Non si tratta di una di quelle votazioni informali, dove se nessuno dice niente si dà tutto per approvato all’unanimità. E’ richiesto un voto, segreto o palese che sia, dove ciascuno deve esprimersi e nel quale, all’atto pratico, votare no, votare scheda bianca o nulla, o non votare ha lo stesso effetto. Ed è giusto che sia così, perché si tratta di una decisione per la quale non può bastare un generico consenso passivo, o quello di una minoranza attiva mentre la maggioranza resta passiva; è necessario che ci sia una volontà esplicita e ampiamente maggioritaria. Altrimenti vince la minoranza, purché arrivi ad una soglia minima (non è una bizzarria, si chiama maggioranza qualificata e, in diverse varianti è la regola per le riforme costituzionali, per i referendum dei sindacati tedeschi sullo sciopero, per alcune deliberazioni sociali di particolare importanza, per l’elezione del papa in conclave e altro ancora).
Questo vuol dire che il congresso della Fai avrebbe dovuto approvare la mozione di scioglimento con i tre quarti di tutti i delegati, non solo di quelli che erano presenti ed hanno effettivamente votato. Chi non vota, chi vota scheda bianca o nulla e chi vota no forma un unico corpo che, se raggiunge un quarto del totale, impedisce lo scioglimento (il discorso è ulteriormente complicato dalla questione del voto multiplo, perché la maggior parte delle deleghe valeva 800 voti congressuali, ma alcune valevano 400 per un totale di 204.000 voti; ma, all’atto pratico, non cambia quasi nulla).
I delegati al congresso erano 262; i voti a favore sono stati 91, 91 voti contrari, 7 le schede bianche e nulle, 73 gli assenti (o comunque i non votanti).
91 più 7 più 73 fa 171.
171 delegati su 262 non hanno votato la richiesta di scioglimento (mentre i voti favorevoli sono stati meno della metà di quelli necessari). Altro che spaccatura in due, siamo quasi all’unanimità alla veneta.
D’altra parte, il quorum dei tre quarti su 262 delegati fa 192 (sempre al netto della distinzione fra deleghe di valore diverso). Al voto nella notte fra il 27 ed il 28 ottobre hanno partecipato 189 votanti.
Quasi quasi non c’era neanche bisogno dello scrutinio, perché neanche l’unanimità dei votanti sarebbe stata sufficiente.E quei segretari regionali che oggi batton batton le mani all’arrivo del commissario contavano probabilmente sul fatto che una conta vera e propria non ci sarebbe stata e tutto si sarebbe risolto per acclamazione (e poi magari nei loro verbali parlano a noi, con sprezzo dell’italiano oltre che della verità, di rispetto delle regole democratiche “interne l’organizzazione”…)
Riassumendo: il congresso ha detto che un terzo della Fai era per lo scioglimento, due terzi erano contrari (o comunque non abbastanza favorevoli da esprimere il voto in questo senso); siccome la maggioranza ha scelto di non sciogliersi, la Fai è stata commissariata inventando ragioni poco plausibili, puntualmente ratificate dalla Cisl-Probiviri.
Ecco perché siamo dovuti andare in Tribunale a difendere il principio dell’autogoverno delle categorie.