Pare confermata la notizia che la Fai-Cisl di Latina, federazione particolarmente in auge ai tempi del segretario generale Augusto Cianfoni, sarebbe stata commissariata dal commissario.
Si tratterebbe dell’esito, tutt’altro che rapido, di alcune situazioni rilevate dal presidente del collegio dei sindaci e da questi segnalate al commissario diversi mesi fa, al momento del passaggio delle consegne (poco prima di firmare il nostro ricorso contro il commissariamento e di dire quel che aveva da dire ai segretari regionali).
Come commissario provinciale, salvo il vero, sarebbe stato mandato Claudio Risso; che evidentemente deve essere stato, da segretario nazionale, un abile oppositore di tutto quello che veniva fatto durante la gestione Cianfoni. Talmente abile che nessuno se n’è accorto.
Ma questo ora non ci interessa. Ci viene semmai in mente che quando gli avvocati della Fai e della Cisl (sì, anche quello che minaccia querele, il nostro caro D’Angelo), volevano dimostrare al giudice Bernardo che il commissario andava avanti col consenso di tutta la Fai (soprattutto, si potrebbe osservare, di quanti tengono famiglia e non ci tengono a mettere il posto a repentaglio), oltre a citare i plaudenti regionali, indicavano tre documenti (pag. 40 delle memorie autorizzate Cisl per l’udienza del 30 marzo, punti 42, 43, 44): un documento politico approvato dalla Fai-Cisl di Latina; uno della Fai-Cisl di Roma (ma Roma, dal punto di vista delle dinamiche Fai, è provincia di Latina); ed uno dell’Emilia-Romagna guidata da Davide Bergonzini (l’uomo che all’Ergife fu fra i protagonisti della rivolta delle sette regioni dissidenti guidate, un po’ a sorpresa, dalla Sicilia del messinese Fabrizio Colonna).
A rileggerlo oggi, quel documento della Fai-Cisl di Latina fa quasi tenerezza: si lamentava che il congresso dell’Ergife avesse votato contro lo scioglimento della Fai, si puntava il dito contro la “premeditata decisione di un gruppo di persone” (il primo sintomo della paranoia è la caccia al nemico interno…) che avrebbe determinato l’esito (171 a 91; il “gruppo” deve essere stato particolarmente numeroso…), si approvava la scelta del commissariamento perché necessaria a recuperare “l’unanimità” della Federazione (unanimità, par di capire, sulle posizioni della minoranza dei 91 che aveva votato per lo scioglimento e non su quella dei 171 che non aveva votato), e ci si affidava al commissario per “ricostruire in tempi brevi” le condizioni dell’unificazione con la Filca. Il tutto alla presenza dell’inviato del commissario (quella volta il preferito fu Fabrizio Scatà; nel frattempo il vento dev’essere cambiato).
Ancora il 9 aprile scorso, un altro documento della Fai di Latina “conferma(va) piena fiducia verso la Confederazione e nei confronti del Commissario Luigi Sbarra” (ma questa volta da Roma era arrivato solo il buon Ermanno Bonaldo).
E qual è stata la risposta? Che il commissario ha commissariato la Federazione di Latina! Naturalmente nel rispetto dello statuto della Fai (un po’ diverso sul punto da quello della Cisl) che prevede la delibera della segreteria (sostituita in questo caso da commissario), che deve essere poi ratificata dal comitato esecutivo (sostuito nel nostro caso dal commissario) e ferma restando la ratifica di legittimità prevista per tutte le organizzazioni aderenti alla Cisl ad opera del collegio dei probiviri (collegio sostituito nel presente caso dal commissario). Una procedura un po’ articolata, che ha richiesto il giusto tempo che ci voleva; mica si può prendere e commissariare in tre giorni una federazione sciogliendo gli organi democraticamente eletti! Non siamo mica nell’Unione sovietica del centralismo democratico! (v. punto 6 del ricorso di Giovanni Graziani ai probiviri)
Morale della favola: non basta battere le mani al commissario per averne la gratitudine.
Che ci sia da leggere, fra le righe, un “avviso di garanzia” anche per qualche plaudente segretario regionale?