Ora la Cisl cambierà nome?

In un paese dove i partiti cambiano nome fin troppo spesso, a volte per confondere le acque e non dover rendere troppo conto di quello che fanno, le confederazioni sindacali preferiscono tenersi quello con cui sono nate. Ed è un bene che la nostra democrazia, che vive sul lato politico fasi inutilmente concitate e si dimostra incapace di ragionare sul lungo o sul medio ma solo sul periodo breve, brevissimo se non istantaneo, almeno sul lato delle relazioni sindacali conosca momenti identitari e un minimo di stabilità, di reponsabilità e riconoscibilità degli attori.

Questo almeno fino ad oggi. Perché ad essere coerenti e logici (ma per fortuna a volte ci salva un po’ di illogica incoerenza) dopo la decisione del giudice Bernardo la Cisl non potrebbe chiamarsi più così. Se infatti le federazioni, invece di essere organizzazioni autonome aderenti alla confederazione, fossero solo “articolazioni sottoordinate” del centro confederale, come è scritto nell’ordinanza, allora non potremmo più definirci come “Confederazione italiana dei sindacati dei lavoratori”.

La sigla Cisl, infatti, è diversa da quella della Cgil non solo per distinguersi in qualche modo o per ragioni di marketing, ma per esprimere un diverso modo di concepire l’organizzazione sindacale. Una concezione personalista e pluralista, al cui centro c’è la persona che lavora, la quale si associa in un sindacato, il quale a sua volta si confedera con altri sindacati. Mentre nella concezione generale (la “g” che c’è nella sigla della Cgil, dell’Ugl, ma anche nella Confindustria che, per esteso, si chiama “Confederazione generale dell’industria italiana”), al centro c’è l’organizzazione (e non la persona), la quale si articola in strutture periferiche (“sottoordinate”, come direbbe il giudice Bernardo).

Nella concezione pluralista il potere di rappresentanza e l’autonomia statutaria salgono dalla persona all’organizzazione (prima c’è la persona, poi il sindacato, poi la confederazione); in quella generale (quella di cui parla il giudice Bernardo nella decisione che tanto piace al commissario) il potere discende dalla confederazione verso il basso, perché è l’organizzazione centrale che conta, non la persona né il sindacato al quale si associa.

Se la Cisl si mostra soddisfatta di una decisione simile, per bocca di un suo segretario confederale che è anche commissario della Fai nonché presidente a tutti i costi di una federazione fantasma dal nome mutevole allora è forse arrivato il momento di cambiare. Di metter fine alla identità della Cisl. Di mettere la “g” di “generale” anche nella nostra sigla.

Magari, per distinguerci ancora un po’ dalla Cgil, potremmo invertire l’ordine delle lettere centrali e chiamarci “Cigl”; oppure “Cgil 2.0”; o più semplicemente, come fosse il sequel di un film, “Cgil parte seconda”.

Ma stiamo attenti: di solito il sequel piace molto meno dell’originale.

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