Albino Gorini ci manda questa lettera, che volentieri pubblichiamo, con cui ricorda alcune vicende e commenta alcune delle cose scritte nei commenti di questo blog.
Cari amici del 9 marzo,
come sapete, pur avendo solidarizzato da subito con i ricorrenti al commissariamento della Fai dopo la nomina tirannica di Sbarra e poi con la nascita di Prendere parola, non sono solito intervenire su questo blog per rispondere ogni volta che si fanno battuta su di me e il mio ruolo passato nella federazione: è vero, come dice BooKchin, c’è “vita oltre il sindacato” e io la sto percorrendo da pensionato che solo a volte si gira indietro a guardare la propria storia.
Quando lo faccio, vedo il mio lavoro cominciato in un’industria multinazionale chimica dove ero stato eletto nella Commissione interna come iscritto alla Federchimici Cisl, per passare poi in un’industria alimentare, iscritto alla Fulpia; si trattava di settori che da sempre ottenevano buoni contratti e già sperimentavano contratti aggiuntivi provinciali. La spiegazione dei risultati positivi per i lavoratori stava nel rendimento industriale nel contesto competitivo milanese, che ho poi trovato anche negli anni successivi quando nelle provincie lombarde si ottenevano ottimi Patti provinciali nel settore agricolo, anche grazie a un gruppo dirigente sindacale appassionato, pur se in parte insidiato dall’ideologia con cui occorreva fare i conti.
Venivo da una militanza politica giovanile democristiana, ero anche io un “migliolino” (da Guido Miglioli) come prima di me Zanibelli, Carniti, Sartori e altri. Ma ricordo che c’è stato un Miglioli prima della candidatura con il Fronte popolare e un Miglioli dopo il Fronte popolare, una distinzione che aiuta a spiegare come tutti avevano potuto stare assieme nella Cisl, ma la divisione la ritrovai nelle due anime che causarono la scissione delle Acli.
Nel 1973 sono stato eletto segretario provinciale della Fisba (Liberterra) vincendo un congresso di scontro fra unitari ed antiunitari dopo il quale la USP (la Cisl provinciale di Cremona) si inchinò davanti al verdetto congressuale che aveva premiato la tesi contraria all’unità: era il clima del tempo che pretendeva il rispetto delle regole ed il riconoscimento delle federazioni, dopo il congresso confederale del 1969, con un fermento nuovo nella democrazia interna confederale che si evidenziò nello scontro fra Storti e Scalia a Santa Monica di Spoleto che segnò un momento cruciale nella storia della Cisl.
Lo voglio ricordare perché quando Storti sosteneva lo scioglimento veloce della confederazione per realizzare l’unità sindacale venne clamorosamente sfiduciato; ma senza perdersi d’animo riconvocò dopo qualche giorno il Consiglio generale ed ebbe la fiducia per la maggioranza di un solo voto.
Ero un giovane dirigente provinciale, il “sigillo del livellario” lo avevo guadagnato (Gatta Panceri sa che non bisogna correre; sarà una vecchia gatta che sa far fruttare la saggezza antica, potrebbe andare in quei talk show che ci dicono sempre cosa si deve fare) e ho sempre cercato di usare il mandato in libertà ma con responsabilità. Anche ora, quando mi si chiama in causa per cose sbagliate preferisco sentirmele elencare per spiegarle e, al limite, poterle andare a raccontare al confessore visti che per me l’acqua benedetta ancora si trova.
Dopo l’esperienza di zona, poi quella nel nascente settore agroforestale del Consiglio Regionale Cisl (precursore delle attuali Segreterie Regionali), sono stato chiamato alla Fisba nazionale, ultimo degli eletti in un congresso di scontro fra sud e nord. Qui ho sempre lavorato per l’unità interna ed ho trovato condivisione e amicizie, come situazioni di cui ancora ho sofferenza. Pochi conoscevano le problematiche sindacali dell’agricoltura stretta dalla rete poderale fitta e minuta poco incline alla modernizzazione favorita dalla Pac, una situazione a tutto vantaggio dell’industria e della cooperazione; poi c’erano stati i fatti di Avola che avevano portato alla legge sul collocamento agricolo contro il caporalato (abolita per varare la nuova legge generale sul collocamento rivelatrice di una mentalità generale propria di un sindacato del lavoro e non di categorie; erano noti il nostro dissenso con la linea rappresentata da Crea nella Cisl) che è un tema ancora di attualità.
Furono anche gli anni degli elenchi bloccati nati da un’annata di siccità in tanta parte del Sud che si trasformavano di anno in anno, per volontà unanime dei partiti politici, in sinecura elettorale: un lavoro duro, superato con l’abolizione dello Scau ottenuto con un’intesa con l’Inps di Colombo e Billia; e ricordo la separazione degli operai agricoli e degli impiegati agricoli che disponevano di un sistema separato assicurativo pubblico ereditato dal riconoscimento corporativo e che abbiamo riformato (a proposito ho visto dal commento anonimo del 5.12 ore 20.08 che non si parla della vicepresidenza Enpaia: che fine ha fatto? È stata regalata?).
Questi alcuni temi che ci hanno coinvolti ottenendo risultati per i lavoratori assieme a tutte le attività generalmente riconosciute svolte dal sindacato quale autorità economica in tutti i settori. Negli anni del nazionale ho potuto collaborare con tanti amici, la federazione nazionale era un grande porto di mare aperto che poteva contare con molteplici competenze, alcuni hanno avuto il riconoscimento dei meriti in altri incarichi ma mantenevano un rapporto quasi familiare nei momenti significativi. Fra tanti (troppi) vorrei citare Marcone e Cattaneo e poi Mantovani.
Idolo Marcone fu fondatore della Fulpia e poi segretario confederale ed aveva in testa il comparto agroalimentare che per la macellazione “deve arrivare fino al preimpacco” anticipando quello che avviene ora nella GDO, idea pienamente condivisa da Renzo Cattaneo che lo aveva trovato applicato nei paesi europei del Nord; e poi Giovanni Mantovani che dopo la Fisba ha eleborato il progetto Aquila antesignano dell’origine del Km Zero: tre nomi che mi hanno indicato la costruzione dell’agroalimentare nel mondo Cisl. Nella Cgil era stato realizzato con un colpo congressuale, mentre nella Uila è stato fatto con un protocollo notarile, nella Cisl è stato un percorso complicatissimo: la Fulpia era diventata la Fat di Crea e dei suoi successori, con una impronta esclusivamente industriale e una visione pienamente condivisa nell’idea di settore unico dell’industria.
Ma i destini non li dettiamo noi e così alla fine si apri il dialogo con la Fat che agli occhi di tutti appariva ricca di un’efficienza difficilmente riscontrabile nella pesantezza organizzativa e ingiustamente chiacchierata della nostra federazione. Nei primi approcci organizzativi con l’alimentare ci siamo trovati di fronte a federazioni provinciali passate armi e bagagli ad altre organizzazioni, a consigli di fabbrica che gestivano aziende di livello internazionale dove in una notte il pacchetto di tessere sindacali passava ad altre organizzazioni. Cose sconosciute nella nostra pur complessa esistenza.
Mi ricordo un monito di un grande personaggio confederale che ha destinato gli anni precedenti alla sua morte alla nostra federazione: il mitico Prof.Silvio Costantini responsabile della formazione alla quale lavoravano Bianchi e Graziani, un Maestro e ancor di più una Guida, amico e collega di Fratel Carretto nell’Azione Cattolica di cui condivideva la profondità spirituale ma con un forte senso pratico fondamentale nel mondo sindacale. Costantini ci dettava una regola semplice ma significativa “noi nei mulini ci dobbiamo andare per lavoro, ma non dobbiamo infarinarci”.
Con l’unificazione delle due federazioni capii che la farina è come il cemento, è facile impolverarsi!
Se però di declino vogliamo parlare bisogna partire da un fatto: la Fisba prima e la Fai poi erano guardate dall’esterno come una bella realtà per come era stata costruita, per le prospettive, per le reciproche ricchezze esperienziali e per le potenzialità di sviluppo organizzativo più selettive che potevano essere trovate in un paniere più ampio sia di risorse materiali che umane. Tutto era stato sperimentato nel mandato di federazione pluricomposta concluso con il Congresso di Parma 2001 costitutivo della nuova federazione FAAI Federazione Agricola Alimentare Italiana con la nomina a Segretario Generale Aggiunto di Uliano Stendardi, elezione non scontata nelle previsioni e dai numeri, ma voluta fortemente da me e che coronava un equilibrio delle dirigenze regionali individuate nei relativi congressi.
La mia posizione non fu un inchino ai potenti del tempo, Savino, Raffaele, altri che risparmio più attenti ai loro equilibri che alla efficienza cercata assieme nella nuova realtà a garanzia della necessaria unità interna per tutto il mandato. Sono stati anni faticosi ma che si conclusero bene quando ho prospettato l’intenzione di normalizzare la nostra federazione senza l’Aggiunto e con una segreteria in cui Uliano poteva onorevolmente essere il primo. L’alternativa era di presentarci in liste diverse, cosa che Uliano scartò preferendo un suo ritorno in Confederazione.
L’ultimo mio mandato si è concluso a metà e sui particolari non entro se non accidentalmente nel seguito per il periodo successivo della dittatura Furlan-Sbarra imposta alla Fai di Cianfoni. Tutta colpa del voto segreto dell’Ergife che Augusto continua ad alimentare con la tesi del 90mo calcistico, agitando come in musica classica un tema variato ma simile, “gli ignavi”, “i perfidi”, “i traditori”, e lanciando il sasso nell’acqua ci fa intravedere solo i cerchi cercando di farceli riconoscere. No, Augusto, ti sbagli, non ne indovini uno perché tu eri sordo, o meglio, avevi il tuo progetto mai dichiarato fino in fondo e che è stato scoperto solo al 90mo minuto.
I mugugni da tempo si sentivano nella federazione ma io non mettevo becco, e solo quando mi hai dato la parola ho detto come la pensavo, al congresso di Salerno, al congresso di Perugia (seguito dalla condivisione dall’intervento della Segretaria di Latina che ti fece arrabbiare), al convegno con la Fisascat alla Domus Pacis.
Poi sono venuto al Congresso dell’Ergife, dove qualche amico mi si è avvicinato e lì ho capito il clima e quanto era successo. Pesenti mi affrontò duramente per accusarmi di essere il Cardinale de RETZ, l’artefice della congiura. Potrei dire ora con furbizia di esserlo stato, facendomi passare per l’eroe che alla fine ha avuto ragione. Ma io non ho mai messo mano a quanto stava avvenendo al di fuori di qualche sorriso di compiacimento per tutti, magari con qualche ironia come quella fatta in treno al bergamasco, dimenticando purtroppo che non bisogna dare le perle agli asini.
Certo so molte cose, la mia vita nella federazione non era sta una meteora, godevo di una fiducia che era servita anche nella mia successione per convincere e forzare tante strutture in tutta Italia ad accettare la soluzione prospettata per scongiurare il ritorno a una lotta fra sud e nord che la gestione confederale era pronta, forse anche con successo, a scatenare: tu hai gestito una operazione da solo e forse la storia della federazione non ti ha aiutato, o forse è mancato il coraggio che, per uno che ha studiato sotto il Resegone, è una cosa grave. Mi riferisco al voto congressuale dell’Ergife per definizione “segreto” a seguito del quale dovevi annunciare la prassi da seguire in questi casi (hai letto Storti a Spoleto?) di convocare il Consiglio Generale per le decisioni di competenza, annullando preventivamente gli effetti di una decisione confederale palesemente illegittima. Biffi, nella sua prudenza, ti aveva avvertito, te ne aveva dato notizia anche Maurizio che la stessa notte avrebbe potuto diramare le convocazioni, Te l’ho detto anch’io nella telefonata mentre eri in macchina alle dieci di sera…nulla, non l’hai fatto. E così pensi ai traditori individuati nei “premiati che non furon mai gratuiti”, che ci sono sicuramente stati; ma imputandoli a tanti incolpevoli è un pensar male, è, il tuo, il frutto di un dolore sterile che ti tormenta e che può invece tramutarsi, con la tua volontà, in contrizione che porta al perdono che già c’è nel fatto che ti si legge, ti si commenta, ti si contrasta come si faceva ai vecchi tempi e si fa ancora in famiglia.
Ora mi spiace quanto sta avvenendo a Rota e lo dico senza secondi fini, anche se dalla sua gestione mi sarei aspettato una capacità di recupero. Anche dopo i colpi di Stato più cruenti c’è il tentativo di un recupero dell’unità nazionale e a maggior ragione sarebbe doveroso in una identità politica dove la coesione è stata il motivo di vita per tanti. Il commissariamento ha comportato accuse gratuite, infondate, ingiuriose, licenziamenti e dolori a persone e famiglie, accompagnate dalla mia espulsione (ad Augusto la giustizia parziale probivirale ha riservato un percorso meno doloroso). Le accuse riguardavano presunte appropriazioni, opinioni indebite espresse in pubblico, risultate del tutto infondate. E’ la storia dolorosa che, quando conosciuta all’esterno non illumina di prestigio la nostra federazione: mi auguro che la nuova gestione faccia chiarezza anche sul giallo delle risorse della ex fondazione.
Ecco, ho concluso: negli antichi sigilli livellati, quelli veri, il livellato aveva il compito di conservare il fondo agrario ricevuto in dotazione. Dove sono passato, io ho sempre acquistato immobili per sedi sindacali, ho sempre aiutato le federazioni che volevano acquistare sedi, e il mio primo obiettivo è sempre stato il peso politico e organizzativo, non la cura della mia immagine.
Un’immagine che oggi posso dire è quella della mia storia, di cui qui ho provato a raccontare qualcosa, fra serio e faceto.
Albino Gorini
TRASPARENZA – Questo blog è stato finanziato con eur. 32.700 dalla Cisl che ha perso la causa per diffamazione intentata contro di noi ed ha dovuto pagare le spese.