Diciamoci la verità: il licenziamento di Giampiero Bianchi, al di là della vergogna che ricade su chi lo ha firmato e dei gravi problemi creati per il sostentamento della famiglia di un iscritto alla Fai-Cisl, non è stato l’unico atto che ha segnato la fine di quella Scuola nazionale di formazione che un tempo era una delle cose più preziose della Federazione.
Era da un po’ di tempo che la dirigenza nazionale aveva progressivamente cambiato atteggiamento; e, a ripensarci, si può ritenere che il commissario in fondo abbia solo tirato le somme di un percorso partito da un po’ più lontano, diciamo negli ultimi cinque o sei anni (certo, magari avrebbe potuto tirarle in modo più civile e senza quel suo atteggiamento o comportamento deciso, risoluto o anche aggressivo che tanto piace ai nostri segretari regionali).
Fino a qualche anno fa, la formazione sindacale della Fai era gestita tutta in casa; poi le cose sono cambiate. Un po’ per incoraggiare la partecipazione alle iniziative formative confederali (mamma Cisl era un po’ gelosa di troppa libertà…), un po’ perché col tempo aveva preso sempre più piede la cugina ricca, quella formazione che passa per Foragri e che, per la Fai, era ed è gestita da Claudio Pinto, membro del Consiglio d’amministrazione (al pari di Stefano Faiotto) che si è potuto avvalere per questo di collaboratori e collaboratrici al terzo piano di via Tevere 20.
A fare i conti dei soldi, che è un criterio oggettivo con cui difficilmente si sbaglia (“dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”), si capisce bene che, mentre la formazione gestita da Pinto prendeva piede, potendo contare su dotazioni di una certa importanza, quella gestita da Bianchi, che invece alla Federazione costava (non tantissimo, anzi, ma pur sempre qualcosa) e rendeva solo in termini di qualità di delegati e dirigenti, è stata sempre meno amata dalla Fai. Infatti si era sempre meno disposti a spenderci dei soldi.
L’esempio più chiaro è quello dei viaggi di studio. A partire dalla segreteria Biffi e poi quella Brancato (nella Fisba) e fino a tutta la segreteria Gorini (nella Fisba e nella Fai) era una regola che i corsi nazionali di formazione si chiudessero con un viaggio all’estero. I più anziani ricordano forse le prime settimane di studio in Olanda e in Belgio, poi dai primi anni ’90 ci sono state quelle in Francia (1991), Spagna (1992) Germania (1993) Israele (1996, probabilmente la più importante), e poi ancora Germania (2001) e Spagna (2005 e 2008). Esperienze memorabili per tutti quelli che vi hanno partecipato, momenti di conoscenza e di sviluppo per i singoli che poi diventavano patrimonio della Federazione.
Poi più nulla. La gestione Cianfoni, oltre a risparmiare spengendo le lampadine in via Tevere, ha tagliato tutte queste spese considerate inutili.
Poi è arrivato il commissario, e ha tagliato tutto il resto, a cominciare dallo stesso Bianchi (tanto che, per poterlo licenziare, ha voluto a tutti i costi fare il presidente di una Fondazione che si occupava di cose per le quali non aveva competenza né interesse e che da quando c’è lui si fa fatica anche a capire come si chiama. Quanto alla formazione sindacale di delegati e dirigenti della Fai, dovrebbe pensare a tutto il Centro studi della Cisl (secondo una logica di totale accentramento confederale che avrebbe senso solo se fossimo la Cgil).
Per la cugina più ricca, la “formazione Pinto”, invece, tutto è proseguito come prima. Anzi, lo stesso commissario, quello che da quando c’è lui al comando ha bloccato un po’ tutto, si è premurato fin dal 27 gennaio 2015 (otto giorni dopo il licenziamento di Bianchi) di sollecitare con una circolare tutte le Federazioni territoriali ad attivarsi per concorrere alla ripartizione di una dotazione superiore ai due milioni di euro per il 2015, raccomandando a tutti di prendere contatto allo scopo con Pinto.
Così è la vita, c’è chi scende e c’è chi sale… e così è anche per la nostra Federazione.