La piattaforma per il contratto nazionale dell’industria alimentare è pronta, ora ci sarà la consultazione di rito e, fra un mese (il 26 maggio, San Filippo Neri), il via libera definitivo.
E’ tutta qui la democrazia contrattuale? Naturalmente no. La democrazia, in qualsiasi forma, è sempre fatta di due fasi, una ascendente, una discendente. Questo vuol dire che nella prima fase si elabora la proposta di piattaforma, nella seconda la si convalida.
Per questo, nella prima fase si consultano gli iscritti nei luoghi di lavoro, si discute negli organismi, quindi la segreteria riceve il mandato dal consiglio generale per concludere con le altre organizzazioni la piattaforma unitaria. Poi c’è la seconda fase: la piattaforma, prima di essere presentata alle controparti, viene portata nelle assemblee, cioè anche ai non iscritti, ed infine approvata definitivamente.
E’ evidente che la fase più importante è la prima; perché la seconda serve a perfezionare il percorso, non a determinare il contenuto delle proposte, che quando arrivano nelle assemblee sono il frutto di mille mediazioni che è meglio non toccare.
Ma questa partecipazione degli iscritti ora non è praticabile nella Fai. La strada è ostruita dal commissariamento, e non sarà certo l’Anas a sgombrarla. In mancanza di un consiglio generale (che il commissario pretende di sostituire con nessuno, cioè con i segretari regionali, peraltro riuniti in una sorta di consulta accondiscendente che non ha alcuna legittimazione statutaria) resta solo la fase discendente, quella delle assemblee, quella che arriva quando il più è fatto e si può solo prendere o lasciare.
E allora, “piuttosto che niente, meglio piuttosto”, “meglio non riaprire la questione”, “se ci dividiamo ora che figura ci facciamo?” e così via. Esattamente come è successo per l’accorpamento Fai-Filca, che non è stato mai veramente discusso in piena libertà a partire dalla base, ma solo decisa al vertice e poi portata alla ratifica in momenti in cui era inopportuno dividersi. Con i risultati che si sono visti.
Questo però vuol dire che gli iscritti alla Fai (quelli che con risibile motivazione ratificata dalla Cisl-Probiviri, il comitato esecutivo diceva di voler tutelare attraverso il commissariamento!), sono stati eclusi dalla possibiltà di partecipare all’elaborazione delle proposte. Invece di aver diritto a dire la loro in forza della tessera (che pagano), hanno meno diritto di un non iscritto (che almeno non ha un vertice dell’organizzazione che ti chiede di non essere smentito); e molto ma molto meno diritto degli iscritti alla Flai o alla Uila.
E il risultato è che si deve andare dietro, come ci ha ben scritto un delegato di fabbrica “al centralismo delle decisioni della Cgil e all’autoritarismo della Uil“.