Un “sindacato di controllo” sul sindacato

 Pubblichiamo due contributi che parlano di cose diverse, ma ci sembra che pongano lo stesso problema.

Il primo torna sul “centralismo democratico” nella Fnp, ma la cosa vale un po’ per tutta la Cisl, e osserva che quando si convocano tremila soci in una sala da quaranta posti, non si ha in mente la loro partecipazione, ma semmai l’idea di controllarli senza esserne controllati. Qualche tempo fa avevamo parlato del rischio di trattare gli iscritti come un “parco buoi“.

 Il secondo contributo, del nostro amico di Savona Luigi Viggiano, riprende uno spunto da un articolo di Mario Grandi del 2008 da noi segnalato, che si intitolava appunto “Ci sono ancora i soci nel sindacato?“.

Come si vede, i problemi che sono emersi nell’ultimo anno, di cui quello dei compensi è un aspetto e una conseguenza, si traducono tutti nel problema della democrazia associativa. Che è stato messo sul tavolo ormai da anni, senza avere ancora risposta, e non può essere limitato alle responsabilità individuali di questo o quel dirigente, o ex dirigente. E’ a questo livello che ci sarebbe voluta “una svolta”, nel far crescere la partecipazione dei soci e di tutte le persone dell’organizzazione, e non “la sembianza” della partecipazione, riducendo i livelli in cui si articola l’organizzazione in modo da avere meno spazi da riempire a parità di persone attive.

Ma la Cisl a Riccione ha scelto un’altra strada. Cioè l’illusione che basta una citazione, peraltro sbagliata, di un poeta tedesco, un’intervistina col grande giornalista, un po’ di soldi buttati nel “marketing associativo” e nella vendita del “brand”, i soliti discorsi su giovani e donne, ed il problema è risolto.

Mentre i problemi si stanno incancrenendo.

www.il9marzo.it

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La mia lettera pubblicata l’11 novembre, a proposito di “centralismo democratico nelle Fnp”, si concludeva con la constatazione che, su oltre tremila iscritti degli otto comuni componenti l’interlega di Cremona, avevano presenziato e votato una quarantina di persone, cioè l’1,3% dei soci.

L’irrisoria partecipazione dovrebbe far sorgere qualche dubbio sulla riduzione di numero delle leghe (ora chiamate RSL) e sullo svilimento delle loro funzioni. Ho manifestato questo dubbio in assemblea, ma il Segretario mi ha risposto che “così vuole il Regolamento”, dimostrandosi indifferente al merito della questione.

La risposta mi ha sorpreso solo in parte, in quanto era abbastanza chiaro fin dalla lettera di convocazione come la partecipazione dei soci non fosse in cima alle preoccupazioni dei dirigenti: infatti, i tremila soci dell’interlega erano stati convocati in una sala capace di una quarantina di posti.

Un comportamento così rinunciatario in partenza si può spiegare con la rassegnazione di fronte al disinteresse, al disincanto, talora all’avversione nei confronti delle organizzazioni sociali (come hanno bene rilevato le ricerche del Censis). La convocazione di assemblee intercomunali, dove si può racimolare un gruppetto di soci (nel caso nostro 40), può dare la sembianza della partecipazione, a differenza di assemblee comunali, dove i partecipanti si ridurrebbero a qualche unità.

Ma in questi termini, mi sembra un comportamento che impoverisce la funzione di dei dirigenti, che dovrebbero invece preoccuparsi di motivare i soci assenteisti con una maggiore vicinanza territoriale e con un più intenso coinvolgimento sugli interessi strettamente “sindacali” della categoria, dato che ai servizi di diversa natura provvedono egregiamente organismi collaterali.

Se questa preoccupazione non c’è, vuol dire che prevalgono ragioni di potere, le quali fanno sì che i soci, che dovrebbero essere il corpo e l’anima del sindacato, una volta acquisiti con una iscrizione una tantum e poi appagati con i servizi e con qualche festa, si riducano a massa passiva, sulla quale i dirigenti che tirano i fili dell’organizzazione esercitano una specie di “sindacato di controllo”, simile a quelli delle grandi società per azioni, dove per esercitare il comando può bastare appunto un 1,3% dei voti.

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CI SONO ANCORA I SOCI NEL SINDACATO ?
Grandi ribadiva, nel 2008, che Il sindacato italiano non ha grande considerazione per i propri soci perché a suo avviso: “Essere socio, lavoratore o pensionato iscritto al proprio sindacato, assume una sua inconfondibile ragione morale; vuol dire operare una scelta, caricarsi di una responsabilità, essere disponibile a partecipare alla vita interna della propria associazione, per migliorare se stessi e tutto il tessuto umano e culturale dell’organismo associativo”.

La risposta era é  e sarà sempre valida

Luigi Viggiano

 

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