La Cisl, le stampelle e il trucco di Semiramide

Quando fu approvato lo statuto dei lavoratori, che voleva essere una legge “di sostegno” al sindacato, una parte della Cisl non era d’accordo con logica secondo cui il sindacato dovesse avere bisogno di essere “sostenuto” dallo stato e dalla legge. “Al sindacato non servono le stampelle” era il titolo con cui Conquiste del lavoro annunciava l’approvazione della legge.

Poi, invece, il principio del sostegno è stato generalmente accettato. Perché ciò che fa comodo e non costa nulla, o almeno sembra non costare nulla sul momento, si fa fatica a rifiutarlo.

Fra i sostegni offerti dalla legge, c’è l’articolo 31, quello riemerso in questi giorni a seguito dell’iniziativa strumentale dell’Inps sulla pensione dei sindacalisti.

La legge, che dà al lavoratore eletto al parlamento o ad altre funzioni pubbliche elettive il diritto all’aspettativa non retribuita, estende lo stesso diritto al lavoratore eletto a cariche sindacali nazionali o locali. Ma la vera stampella viene dalla regola per cui il lavoratore in aspettativa non retribuita, pagato quindi dal sindacato, riceve i contributi per la pensione non dal sindacato né dal datore di lavoro originario, ma dall’Inps. Che versa i contributi corrispondenti alla retribuzione che il lavoratore aveva. Quel che il lavoratore-sindacalista guadagna in più, è coperto da contributi versati dal sindacato.

In questo modo, anche a seguito di una riforma fatta approvare nel 1996 dal ministro del lavoro Treu per evitare abusi, non esiste alcuna “doppia contribuzione”, né tanto meno “doppia pensione” per i sindacalisti (i giornali reazionari che lo hanno scritto sono stati condannati per diffamazione). A parità di retribuzione e di altri requisiti, il lavoratore normale ed il lavoratore sindacalista ricevono la stessa pensione. Con la differenza che i contributi per la pensione del lavoratore-sindacalista sono stati in parte a carico dell’Inps, in parte del sindacato.

(Semmai, apriamo e chiudiamo una rapida parentesi, il problema può venire dall’abuso dei distacchi retribuiti nel pubblico impiego; come quello che emerse dall’inchiesta Why not con il caso di un dirigente regionale di un’organizzazione di imprese che dichiarò di essere di professione insegnante distaccato presso una struttura della Cisl).

Ora, poniamoci la domanda dalla quale siamo partiti: ai sindacati, alla Cisl, serve davvero questa stampella? Questo finanziamento pubblico indiretto che consiste nel mettere a carico dell’Inps parte del costo del lavoro sindacale? E soprattutto, ne vale la pena?

Perché, se dal punto di vista del rispetto della legge le regole sono abbastanza chiare, l’imbroglio può venire fuori dal mancato rispetto delle regole interne, con gonfiamenti di reddito utili alla pensione in momenti strategici. E qui può consumarsi la frode in danno agli associati di cui ha parlato il professor Treu. Per cui non basta dire oggi “la pensione – facciamo un esempio a caso – di questo o quell’ex segretario generale rispetta le leggi”, perché in ballo c’è il rapporto di fiducia fra iscritti ed organizzazione, che è perfino più importante del, pur necessario, rispetto della legge.

A questo punto, il fatto che Via Po 21 dica di voler risolvere il problema della trasparenza attraverso nuove regole interne è una risposta debole, ed a forte rischio di apparire strumentale. Se le regole non sono state rispettate, né la Cisl-Probiviri si è mai occupata di qualche frode in danno agli associati, per usare le parole di Treu, cambiare ora le regole ed in senso meno rigoroso, come ha rilevato la Fim sulla questione dell’indennità di trasferimento, rischia di far passare la Cisl per Semiramide, la regina di cui parla Dante,

che libito fe’ licito in sua legge
per torre il biasmo in che era condotta” (Inf., V, 56-57).

Ossia che cambiò la legge per legittimare a posteriori la propria condotta scandalosa.

Un trucco che non funzionò allora, e non può funzionare neanche adesso.

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