Continuità e discontinuità (…e allora perché avete commissariato la Fai?)

Una strana sensazione contraddittoria, di continuità e discontinuità assieme, si prova scorrendo “La forza del cambiamento partecipato”, le 12 pagine del documento che la Fai commissariata propone a sé stessa in vista della Conferenza organizzativa e programmatica della federazione a Fiuggi, presso l’hotel Silva Splendid, dal pomeriggio del 19 ottobre alla mattina del giorno seguente.

La location, ad esempio, è un elemento di continuità, almeno con gli anni immediatamente precedenti il commissariamento. Quando le località del Lazio un po’ a sud di Roma erano (con epicentro a Rocca Massima) meta privilegiata delle uscite della Fai.

La durata dell’evento, invece, è tutta farina della nuova gestione.

Due sessioncine di lavoro, al pomeriggio del 19 ed al mattino del 20 ottobre, il tutto da consumarsi nell’arco di 20 ore, non lasciano molto spazio al dibattito. Se poi si pensa che il commissario presumibilmente aprirà i lavori con la relazione introduttiva e li chiuderà con la replica, e che il personaggio ha tutte le qualità del mondo tranne quella della sintesi, ci sono le premesse per pensare che i delegati, più che partecipare all’assemblea, assisteranno ad un monologo.

D’altra parte, il sottotitolo del documento parla chiaro: questa volta non sono state prodotte “tesi” per un “dibattito”, ma “orientamenti ed elementi di riflessione”. Come se, invece che di un momento di democrazia sindacale nel quale si dà voce a tutti, ci si dovesse preparare ad una sorta di esercizi spirituali, un momento di “riflessione” per meditare in silenzio sui propri peccati sotto la guida di un padre predicatore esperto di strade che portano alla salvezza.

Il peccato della Fai, visto da Via Po 21, lo sappiamo tutti qual è stato: “l’irragionevole violazione” delle direttive confederali, il “rilevante danno” all’organizzazione derivato un congresso che, in una libera votazione, ha scelto con esito chiarissimo (171 a 91), di non sciogliersi per ricostituire dal nulla una nuova federazione con la Filca. Così c’era scritto nella delibera di commissariamento della Fai, che costituisce la base dell’esercizio dei poteri commissariali.

Sì, ma allora perché ora in questi “orientamenti”, presentati a nome della Fai ma scritti con una riconoscibilissima calligrafia confederale (mai letto un documento così debole sulle politiche di settore), si mette nero su bianco che quel congresso aveva fatto la scelta giusta?

Perché prima si sanziona, con un uso surrettizio dello strumento del commissariamento, un’organizzazione che rifiuta lo scioglimento, e poi si scrive oggi che l’accorpamento con la Filca dovrebbe avvenire “attraverso un assetto di pluricomposizione”, cioè senza sciogliersi, né prima né dopo? Perché quello che venne proposto dalla Fai e rifiutato dalla Filca e dalla Cisl, la mattina del 28 ottobre all’Ergife dopo il voto del congresso Fai, ossia proseguire nell’unificazione senza passare per lo scioglimento, diventa ora la linea dell’organizzazione come se niente fosse?

O il commissario si è pentito di quel che ha fatto e vuol riportare la Fai al rispetto della volontà espressa da congresso (ma lo escludiamo; in questo caso dovrebbe semplicemente dimettersi) oppure il rischio è quello di dover concludere che questa vicenda è stata una grande “ammuina“. una confusione sollevata ad arte o comunque usata strumentalmente.

E qual era lo scopo da ottenere? Quello di normalizzare la Fai, di svuotarla della propria identità associativa e dei propri contenuti originali, di ridurla su posizioni che non devono essere altro che il “copia e incolla” di quelle confederali. Di farla finalmente finita, in particolare, con una Scuola di formazione, una fondazione, una casa editrice strumenti di una produzione culturale che non era la riproduzione di quel che emanava Via Po 21. E lo strumento è stata la nomina dall’esterno di un commissario con pienezza di poteri (quello che nell’antica Roma si chiamava dittatore, durava sei mesi e non era prorogabile)

Questo ero lo scopo del commissariamento, ottenuto il quale tutto può tornare al punto di partenza; una discontinuità radicale nell’identità della Fai, che alla fine può passare perfino dalla continuità col risultato scandaloso della notte dell’Ergife, con “l’irragionevole violazione” delle direttive confederali, col “rilevante danno” all’organizzazione che ora diventa invece la strada da seguire.

Ma, come diceva il poeta, un imprevisto è l’unica speranza. E questa speranza continuiamo a coltivarla. E’ già successo una volta, col congresso che non ha mangiato il piatto precotto cucinato da Via Po 21; chissà che da questa “ammuina” non possa uscire un altro imprevisto.

Condividi il Post

Commenti