Riforme e poltrone

“Noi la riforma del sindacato la facciamo già”; è perentorio ed assertivo, come si conviene ad un sindacalista 2.0 e bravo comunicatore, il tono con cui il segretario generale della Fim risponde all’intervistatore di Italia Oggi; il quale gli ha appena chiesto se sarà lui a guidare la federazione della Cisl che dovrà mettere assieme (salvo sorprese tipo notte dell’Ergife) tutti i lavoratori dell’industria metalmeccanici, tessili, chimici, dell’energia … (e gli alimentaristi? Che ne dice il commissario?).

Qui la risposta ci ricorda quella dei democristiani quando si avvicinava il congresso: nessuno si candidava, ma chi voleva farlo cominciava a dirsi “disponibile”. Siccome non siamo più nell’era della Dc, il tono deve essere perentorio, ed anche il gergo è cambiato: non ci si dice più disponibili, ma si precisa che “quel che conta è il progetto”, non chi guiderà la nuova federazione. Soprattutto, ci permettiamo di aggiungere, quando il designato sanno già tutti chi è.

Questo, comunque, è un particolare che ci interessa poco. Più interessante è osservare come anche il dirigente nella Cisl da tutti considerato il più giovane ed innovativo, quando si parla di innovazione organizzativa, non va molto al di là dell’idea di accorpare le strutture (non nuova, né sempre efficace).

E non solo nella Cisl; perché l’intervistato non si scandalizza neppure di fronte all’idea del giovin presidente del consiglio (che noi ci siamo permessi di definire una bischerata) di usare la legge della rappresentanza per unificare i sindacati. Ma ti pare, dice il nostro, che quando ci sono le trattative in Fiat-Fca al tavolo ci sono “i rappresentanti di sette, dico sette, sindacati”? Semplificare, semplificare! Ché sennò si favorisce solo “la deriva corporativa, la competizione di casacche per la creazione di poltrone”.

Ora, lungi da noi difendere il frazionismo; forti delle nostre esperienze di una fusione riuscita (quella agroalimentare, finché qualche ingegnere di Via Po 21 non decide di smontarla) e di una fallita (quella agro-alimentare-edile, pensata dagli ingegneri di Via Po 21, con i risultati che si sono visti), ci permettiamo solo un consiglio: meglio non usare con troppa leggerezza l’accusa per cui chi non vuole semplificarsi e/o accorparsi e/o unificarsi, lo fa solo per interesse alla poltroncina.

Qualcuno potrebbe, infatti, rispondere che anche accorpamenti, semplificazioni e unificazioni sindacali potrebbero essere motivati da interessi di poltrona; anzi, peggio, dall’interesse di chi ce ne ha già una, ma ci sta un po ‘ scomodo, ad occuparne una più grande (d’altra parte, i sederi non hanno mica tutti la stessa misura, di solito sono proporzionali alle ambizioni del titolare). E magari, ad aggiungere qualche poltroncina di corollario; vedi il caso del commissario della Fai-segretario confederale della Cisl-presidente a tutti i costi della fondazione (già Fisbafat, poi Fai. poi di nuovo Fisbafat, infine) “Fai cisl studi e ricerche“-presidente della società Rinnovamento (immobili)-presidente della società editrice Agrilavoro (libri&formazione)-più varie ed eventuali.

Più interessante è leggere l’intervista del segretario della Fim quando dice che “il baricentro del sindacato non può che essere il luogo di lavoro”, e che quindi il futuro si costruisce con sindacalisti che sanno stare vicini a chi lavora (e non con le battute in televisione che, ci permettiamo di aggiungere, sono la continuazione del vecchio assemblearismo demagogico con altri mezzi tecnologici).

Giusto! Ma questo cosa c’entra con gli accorpamenti? Non lo insegna forse anche l’esperienza dei sindacati tedeschi, alcuni dei quali si sono accorpati ed altri no? E con risultati ora positivi ora negativi che dipendono (appunto) dalla capacità di presenza accanto ai lavoratori e non dalle dimensioni dell’organizzazione né da quelle della poltrona di chi la guida?

Ma se queste sono le premesse, se anche chi nella Cisl si candida ad essere il nuovo che avanza ripropone gli avanzi di idee che circolano dal secolo scorso, temiamo che anche la prossima assemblea organizzativa sarà un’altra occasione persa.

Non sarebbe meglio, e scusate se siamo ripetitivi, lasciar libere le categorie di autogovernarsi? E poi vedere quali esperienze funzionano meglio e cercare di adeguarle ad altri settori? Senza per forza sacrificare quelle più piccole e più dinamiche in accorpamenti per salvare strutture più grosse e meno efficienti (che poi, ci perdonino gli amici della Filca, hanno i numeri per imporsi al momento di decidere i sederi corrispondenti al diminuito numero di poltrone, e perpetuare così gigantismo ed inefficienza con i soldi degli altri)?

Condividi il Post

Commenti