Un commento giunto a questo blog segnala una vicenda minore ma rivelatrice di una tendenza importante: la diffusione di sistemi contrattuali collettivi al di fuori del perimetro del duopolio Confindustria-Cgilcisluil costruito dalla legislazione di sostegno a partire dal 1970 e dagli accordi sulle rappresentanze unitarie a partire dagli anni ’90.
La vicenda si svolge in due concerie della provincia di Vicenza che non aderiscono all’associazione datoriale di settore che fa capo alla Confindustria, la Unic, e che avevano comunicato alle federazioni di Cgil, Cisl e Uil la decisione di non applicare più il loro contratto, ma quello sottoscritto dall’associazione datoriale Federconcia con un sindacato autonomo. Di conseguenza, non essendo firmatarie di contratti applicati nelle due concerie, a Filctem, Femca e Uiltec è stato negato dalle aziende il diritto a svolgere l’assemblea (e, in generale, l’esercizio dei diritti sindacali).
Vedendosi negato un diritto previsto dalla legislazione di sostegno, i tre sindacati hanno fatto uso dello strumento previsto dalla legislazione di sostegno a propria tutela, cioè il ricorso per attività antisindacale (il famoso articolo 28 dello statuto dei lavoratori) contro le due aziende. Solo che il giudice ha deciso in modo distinto: una è stata condannata, l’altra no. E, così facendo, ha preso una decisione ineccepibile.
Posto che il principio costituzionale di libertà esclude che si possa imporre l’applicazione di un contratto collettivo di diritto comune a chi non l’abbia sottoscritto attraverso l’organizzazione di rappresentanza, il giudice è andato a vedere se le due imprese avevano dato applicazione, pur senza esservi tenute, al contratto Confindustria-Cgilcisluil, perché se lo avessero applicato sarebbero state tenute a riconoscere le organizzazioni sindacali firmatarie. Avendo riscontrato che una sola delle due vi aveva dato applicazione, ha condannato solo quella; mentre l’altra si è vista riconoscere il diritto di non accettare come rappresentativi al proprio interno i sindacati che non sottoscrivono il contratto applicato. Ed è giusto così, perché la Costituzione, che garantisce questa libertà di non riconoscersi reciprocamente sia alle imprese che ai sindacati, prevale sulla legislazione di sostegno al duopolio. Non solo è giusto in punto di diritto, è anche coerente con quella che era la visione della Cisl (quando la Cisl aveva una visione di queste cose), cioè quella del sindacato dell’autonomia. Perché l’autonomia di un’organizzazione è la stessa di quella delle altre organizzazioni, comprese quelle che (non a caso) si chiamano genericamente “sindacati autonomi”.
Il problema sorto ad Arzignano non è nuovo, e qualche volta si è posto anche all’interno del sistema Confindustria-Cgilcisluil, in particolare quando la Fiom non aveva firmato i contratti con Marchionne, il quale l’aveva potuta mettere fuori dalla Fiat a buon diritto (e c’è voluta una sentenza manipolativa della Corte costituzionale per farla rientrare); ma poi, in qualche modo, quello strappo era stato ricucito. Quando invece il problema viene posto all’esterno, e ad essere contestato è il duopolio che impedisce la libera concorrenza di soggetti autonomi, i sindacati (datoriali e dei lavoratori) che pretendono di essere giuridicamente rappresentativi di tutti (tutte le imprese e tutti i lavoratori) ci appiccicano sopra l’etichetta dei “contratti pirata” e credono di risolvere così il problema, sollecitando quindi una nuova legislazione di sostegno per ristabilire il principio che la serie A della rappresentatività non conosce promozioni e retrocessioni, ma è un circolo chiuso riservato ai soci fondatori. Gli altri devono giocare in serie B o C (in Francia una legge del genere è stata fatta nel 2008).
Bisogna però stare attenti alla vera posta in palio: che non è più la presenza o meno di un pluralismo sindacale competitivo, tanto sul lato dei lavoratori che su quello delle aziende, ma nel XXI secolo è la spartizione delle risorse della bilateralità, del welfare integrativo e di tutte quelle forme di finanziamento surrettizio alle organizzazioni da strutture create con accordi sindacali. Finché i sindacati autonomi si accontentavano delle briciole che cadevano dal tavolo della serie A, la loro presenza non dava fastidio. Ma casi come quello della concia vicentina fanno immaginare che i sindacati dell’autonomia, piccoli o grandi, che stanno sorgendo in gran numero daranno presto fastidio; e non tanto al ruolo politico di rappresentanti di fatto esclusivi del lavoro, ma nella spartizione dei finanziamenti che non vengono da quote associative. E il caso di Arzignano (come già quello della Fiat) fa capire bene che il punto in cui il sistema tradizione potrebbe non reggere è quello delle imprese, visto quanto poco ormai è effettivamente rappresentativa la Confindustria (per quanto la controparte sindacale faccia di tutto per puntellarla anche nel proprio interesse).
Infine una postilla che riguarda la nostra storia: leggiamo che il segretario provinciale della Femca viene dalla Fai, e quindi è stato probabilmente allievo dei corsi organizzati dalla Scuola nazionale di formazione prima del commissariamento. All’epoca si insegnava ad usare il senso critico anche nei rapporti interni alla Cisl invece di accodarsi agli input, talora culturalmente deboli, di Via Po 21 e di quegli operatori che ci guardavano con la faccia storta quando ricordavamo la centralità del principio della libertà sindacale e del reciproco riconoscimento – quindi del pluralismo sindacale – invece di cantare le lodi della pur utile legislazione di sostegno (e di una certa unità sindacale che non dava fastidio alle imprese). Caro Daniele Zambon, ti consigliamo (se non hai buttato via tutto) di riprendere gli appunti e i materiali delle lezioni su questi argomenti. Perché se ti fossi ricordato di quel che ti era stato insegnato, questa situazione in cui ti sei trovato l’avresti capita e gestita un po’ meglio invece di doverti inventare, assieme ai tuoi colleghi, che il giudice vi ha dato ragione.
Mentre la verità è che ormai basta la prima Confial che apre bottega a mettervi fuori dalle aziende.
E a buon diritto.
Purtroppo in via Po non si accorgono che situazioni come quella evidenziata caratterizzeranno sempre piu’ in un prossimo futuro le relazionibsindacali all’interno delle aziende in quanto e’ evidente l’appiattimento dei sindacati a Confindustria e C. negli ultimi 2 decenni e il conseguente appiattimento dei salari dei lavoratori che non sono per niente soddisfatti di chi ad oggi li dovrebbe rappresentare.
Vorrei sottolineare l’ennesima boutade in casa Cisl con l’affermazione di Benaglia al suo congresso: meno ore di lavoro e piu’ salario… Che ne pensano le controparti e il Governo? Di per se’ sarebbe giusto, vedi accordi metalmeccanici tedeschi in questa direzione, ma detto a un congresso di sindacalisti come i nostri mi sa tanto di propaganda buttata la’ per infiammare le platee senza alcun seguito a livello pratico, come del resto sta facendo la Cisl da vent’anni su giovani, pensioni, ecc.
Abbiamo rischiato di diventare una succursale di viale dell’astronomia.
Eravamo già una branchie del ” partito ” di Calenda .
Tutto quello che verrà da ora in poi sarà comunque libero e non dettato da qualcuno all’esterno.
È stata un avventura indimenticabile….ma per fortuna è finita presto
Non so se ci cia mai stato il rischio che la Fim diventasse una succursale dell’associazione delle industrie.
So che oggi la Cisl nel suo insieme è socia in fin troppi affari con le controparti.
Anni fa erano i sindacati autonomi a denunciare aziende e triplice per comportamenti antisindacali. Pare che oggi le parti si stiano invertendo. Forse Zambon invece di rivolgersi ai legali avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche dopo un bell’esame di coscienza. Come del resto ormai quasi tutti in Cisl.