1/I bilanci dei segretari regionali

Prima puntata: la famiglia è sacra

Chiariamo subito una cosa: il titolo non si riferisce a questioni di soldi. Anche perché nulla è più opinabile e meno oggettivo dei bilanci economici.

Lo sanno bene, per esempio, alla Parmalat, un gruppo che ancora poche settimane prima di fare il “botto” annunciava cose meravigliose ed un futuro radioso nelle riunioni con i rappresentanti dei lavoratori di tutti gli stabilimenti del mondo. Quindi, mai credere troppo alla falsa oggettività dei numeri; e coltivare sempre una sana diffidenza verso chi ti parla di soldi che ci sono o che non ci sono, ed ha un interesse a sostenere quel che sostiene.

No, il bilancio al quale ci riferiamo è quello politico, ora che ci si avvicina al termine di 18 mesi di commissariamento (a proposito, nella Cgil, cattiva e centralista, il commissariamento non può durare più di sei mesi…): e quindi, si può dire tutto e il contrario di tutto, ma poi ci si deve confrontare con i fatti.

Ad esempio, è un fatto che rispetto al congresso dell’Ergife, quando ci fu la rivolta di sette segretari regionali contro lo scioglimento anticipato della Fai, ne sono usciti di scena un paio.

Uno, che era nel fronte del sì allo scioglimento frettoloso, ha fatto il salto triplo ed in meno di un anno ha avuto un grosso avanzamento di carriera; non senza essersi distinto, nei primi mesi di commissariamento, come volenteroso collaborazionista del commissario mandato da Via Po 21.

L’altro, che era nel gruppo del no, dopo qualche mese è stato accompagnato all’uscita con l’uso strumentale di lettere anonime (che la Cisl-Probiviri a volte non prende in considerazione, e giustamente perché la denuncia anonima non esiste, ma a volte prende molto sul serio, forse perché sanno chi le manda. E comunque sanno che se te le segnalano Biancaneve o uno dei sette nani, bisogna procedere).

Gli altri sono al loro posto. E questo è già un bilancio positivo. Sia per quelli che con la fusione avrebbero dovuto cedere il posto al collega della Filca, cioè quasi tutti, e sono invece rimasti in sella; sia per i pochi che avrebbero dovuto guidare la FaiFilca regionale, e si sarebbero trovati a dover gestire il problema di soldi che mancavano e di strutture sovradimensionate e non ridimensionabili senza il consenso dall’alto; che per chi veniva dalla Filca non ci sarebbe stato.

Per non parlare di un paio di sub-reggenti, che rimangono tranquilli al loro posto aggirando la norma statutaria sul limite dei mandati (ma qui pare che sia lo stesso segretario generale della Cisl a prestarsi a questi giochetti con la sua federazione di provenienza, figuriamoci se qualcuno si scandalizza per la stessa situazione in un paio delle regioni meno importanti della Fai).

Quindi, tutti in sella, tranne uno. Anzi, tranne due, visto che chi ha salvato il posto a tutti, un ex segretario regionale di proverbiale onestà che aveva chiesto la decenza di votare almeno nel rispetto delle regole sullo scioglimento della Fai, è stato per questo allontanato dal posto di lavoro ed ha subito il veto del commissario che ha proibito qualsiasi altra utilizzazione nella federazione, anche a livello locale.

Va bene, fin qui il bilancio è positivo dal punto di vista del “tengo famiglia”, se non per tutti almeno per molti.

Ma il bilancio politico vero? Quello di dove va la federazione, non quello di cosa mi succede il ventisette, giorno di San Paganini? Qui cominciano i dolori, perché a volte i sindacalisti, che per mestiere non devono fare grandi discorsi ma portare a casa qualche risultato concreto, a volte esagerano in concretezza e si dimenticano che esiste anche la politica, cioè avere un’idea dell’indirizzo da dare all’organizzazione e saper far passare qualcosa delle proprie idee, a volte da posizioni di maggioranza, a volte di minoranza.

Questo bilancio politico è molto difficile per due motivi.

Il primo è il conflitto di interessi fra il segretario regionale “dirigente sindacale” ed il segretario regionale “lavoratore dipendente” (della Fai o distaccato, cambia poco). E, come abbiamo visto, il commissario ha usato l’interesse personale e familiare del dipendente per far passare in secondo piano la responsabilità politica del dirigente.

Il secondo motivo è che è impossibile fare un vero bilancio politico quando per diciotto mesi (ché se fossimo stati nella Cgil ci sarebbe andata molto meglio…) la democrazia è sospesa, e il dibattito vietato. Dal 31 ottobre del 2014 in tutta la Fai è idealmente appeso il cartello che c’era nelle osterie durante il fascismo; “qui non si parla di politica“. Difficile quindi avere un rapporto politico col commissario, di critica o meno che fosse, in assenza degli spazi della politica.

Va bene, ma questo assolve tutti? Anche i volenterosi collaborazionisti del commissario licenziatore di padri di famiglia? Anche quelli che si sono battuti all’Ergife per lo scioglimento della Fai e, senza fare una piega, si sono schierati immediatamente col commissario sulla linea del “niente scioglimento” mentre chi aveva sostenuto per primo questa stessa posizione veniva epurato per rappresaglia? Anche i trasformisti che ieri hanno condiviso tutto, ma proprio tutto, della gestione Cianfoni, ed oggi si riciclano cantando le lodi del commissario per aver chiuso quella gestione, facendo finta di non sapere che era già stata chiusa dal voto del congresso? E che il commissariamento è servito anche a questo, ad evitare che il dopo Cianfoni fosse gestito, in tutti i suoi aspetti, da qualcuno non controllato da Via Po 21?

(fine della prima puntata)

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