L’intervista virtuale parallela

Il professor Tiziano Treu è una delle personalità più autorevoli, probabilmente la più autorevole fra i viventi, sui temi del diritto e del sindacato, oltre ad essere sempre stato vicino alla Cisl ed a tutto il sindacato italiano. Ad esempio, c’è molto di suo nella creazione delle Rsu, ad inizio degli anni ’90.

Noi stessi abbiamo ripreso, sottolineandone l’autorevolezza, un suo intervento in cui definiva “una frode agli associati” l’uso (eventuale; siamo in attesa della chiarezza promessa dalla segreteria confederale in carica…) di fondi sindacali per costruire pensioni di lusso per qualche dirigente.

Proprio perché ne riconosciamo l’autorevolezza, non possiamo nascondere il senso di disagio di fronte alla sua intervista sul ‘Diario del lavoro’ (una testata della quale risulta essere uno dei direttori; praticamente è un’autointervista) in cui il professor Treu si schiera, operativamente, dalla parte dell’intervento della legge (di fatto, anche sull’articolo 39…) chiesto da Cgil-Cisl-Uil nel documento unitario del 14 gennaio. Che noi invece abbiamo giudicato un tradimento per quanto riguarda la Cisl ed una strada sbagliata per quanto riguarda tutto il sindacato.

Per il rispetto dovuto a chi è un maestro riconosciuto, e non da oggi ma da almeno mezzo secolo (a proposito, ma Renzi che lo prende nello staff di Palazzo Chigi per preparare la legge, non era quello della rottamazione?), abbiamo deciso di evitare la polemica diretta. Ed abbiamo scelto la strada dell’intervista virtuale parallela: riportiamo quindi le domande fatte al professore da Massimo Mascini, poi le risposte di Treu e poi, a rispettosa distanza ed in colore diverso, le risposte che alle stesse domande ci hanno dato alcuni esperti nostri amici che abbiamo consultato, sintetizzandole e facendole nostre.

Ovviamente, chi non è interessato al nostro parere, può saltare le nostre risposte e leggere soltanto le risposte del professor Treu. Che anche così non mancano di interesse e possono essere argomento di riflessione, per quanto critica.

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IL DIARIO DEL LAVORO – Arriverà una legge su contrattazione, rappresentanza e partecipazione?

TREU – Dipende. Se le parti fanno passi in avanti per assicurare effettività, una legge non è necessaria.

IL 9 MARZO – Ci provano da quarant’anni e anche da prima, prima o poi ci riusciranno. Ma per ora hanno sempre fallito.

IL DIARIO DEL LAVORO – Il documento Cgil, Cisl e Uil allontana questa prospettiva?

TREU – Quel documento è un po’ sotto le aspettative. Ma bisogna distinguere tra i diversi campi. Sulla partecipazione, per esempio, è più avanzato, molto innovativo. Un intervento di legge probabilmente non è urgente, il legislatore può limitarsi a dare degli incentivi, come ha fatto con la legge di stabilità.

IL 9 MARZO – Con quel documento le confederazioni si sono assunte la parte della mosca cocchiera rispetto all’intervento legislativo che pensano imminente, come hanno fatto altre volte. A volte la legge c’è stata, come quella sullo sciopero del 1990, a volte no, come sulla rappresentanza.

IL DIARIO DEL LAVORO – Con quale obiettivo?

TREU – Per favorire l’estensione delle pratiche partecipative, perché le aziende siano più disponibili. Un passo importante adesso che il sindacato, tutto il sindacato sembra deciso ad andare avanti.

IL 9 MARZO – Il sistema degli incentivi è come la carota, usata al posto del bastone per ottenere lo stesso risultato. Una logica che un sindacato adulto dovrebbe rifiutare, ma c’è il problema che ci sono tanti sindacalisti il cui stipendio è legato proprio a incentivi e sostegni.

IL DIARIO DEL LAVORO – Si tratterebbe comunque sempre di un intervento soft?

TREU – Nessuno pensa davvero che il legislatore debba entrare nel merito. Poi magari tra uno o due anni si può anche vedere come funziona il sistema, se effettivamente le realtà partecipative crescono e a quel punto decidere come comportarsi.

IL 9 MARZO – Gli interventi soft per legge sono una favola alla quale avremmo tutti l’età per non crederci più.

IL DIARIO DEL LAVORO – Per la rappresentanza?

TREU – Su questo tema il discorso è diverso. Il Testo Unico del 2014 è abbastanza completo ed è certamente innovativo. Le parti hanno scritto delle regole precise, il punto è che questo sistema non funziona. Perché le aziende non hanno alcun obbligo a trasmettere i dati sulle adesioni ai singoli sindacati, e perché le legge non vale per tutti, restano fuori tutte le piccole e piccolissime aziende che non sono iscritte ad alcuna organizzazione datoriale.

IL 9 MARZO – Chi ha raccontato in giro la favola che sulla rappresentanza fosse possibile fare un accordo fra le parti che poi la legge si sarebbe limitata a far funzionare o era ingenuo o era bugiardo. Perché il fatto stesso di “misurare” la rappresentanza richiede regole per la cui applicazione non è sufficiente il potere contrattuale delle parti privato-collettive. O si sceglie la legge alla francese, che regola tutto fino a rendere superflua l’iscrizione ai sindacati, o si sceglie l’autonomia, e ognuno rappresenta i suoi. Tertium non datur.

IL DIARIO DEL LAVORO – Per questo servirebbe una legge?

TREU – Anche per questo, tanto è vero che perfino la Cisl, la più riottosa ad accettare un intervento di legge, si dimostra adesso favorevole, naturalmente a una legge solo di sostegno.

IL 9 MARZO – E’ ovvio che per avere gli effetti vincolanti di una legge ci vuole la legge. Ma chi l’ha detto che non si può vivere meglio senza?

IL DIARIO DEL LAVORO – Ma che tipo di legge potrebbe essere utile?

TREU – Dipende dall’obiettivo che si vuole raggiungere. Una legge potrebbe solo fermarsi a fissare una soglia di rappresentatività. Chi è sopra il 5%, contando le tessere sindacali e i voti per le elezioni delle Rsu, può contrattare, tutti gli altri sono fuori. Già questo sarebbe un risultato.

IL 9 MARZO – La legge sul contratto collettivo tedesco: i contratti valgono per chi li firma, in alcuni casi possono essere estesi a tutti (che poi era la proposta di legge Pastore del 1951, ripresentata ancora da Storti in parlamento fino agli anni ’60 a nome della Cisl). Non certo la legge italiana sul pubblico impiego con le sue soglie, che è stata una forma surrettizia di applicazione dell’articolo 39 (peraltro sulla base di un altro articolo della Costituzione, il 97, che non vale per il lavoro privato).

IL DIARIO DEL LAVORO – Oppure?

TREU – Potrebbe stabilire il diritto delle Rsu a negoziare. Ci sono già delle prese di posizione del legislatore in tal senso, come ha fatto col decreto delegato 81 del 2015, dove si parla di contratti fatti direttamente dalle Rsu. Ma una legge potrebbe anche andare più in là affermando il principio di maggioranza.

IL 9 MARZO – Nulla da aggiungere alle risposte precedenti.

IL DIARIO DEL LAVORO – Affermare che un accordo approvato dalla maggioranza è valido erga omnes?

TREU – Potrebbe farlo. Anche se c’è chi sostiene che in questo modo la legge configgerebbe con l’articolo 39 della Costituzione, che parla di contratti validi per gli iscritti e non erga omnes. Non a caso infatti fino ad ora ci si è attenuti al principio unanimistico.

IL 9 MARZO – Il principio di maggioranza è in contrapposizione al diritto del singolo di essere rappresentato dal suo sindacato, perché la libertà sindacale è anche una libertà individuale. Per questo sarebbe in contrasto col primo comma dell’articolo 39, la parte “buona” della norma costituzionale. E, all’atto pratico, è pericolosissimo perché in un’impresa dà al datore di lavoro la possibilità di accordarsi con una maggioranza a spese di una minoranza. Non a caso negli Usa, dove il principio di maggioranza è nato, si sono dovuti inventare il “duty of fair representation“. Ma la cosa migliore è lasciar perdere.

IL DIARIO DEL LAVORO – Ma in questi casi si tratterebbe di interventi leggeri o si entrerebbe nel merito?

TREU – In Francia e Germania le leggi al riguardo sono molto descrittive, fino ad affermare come devono essere elette le Rsu e come devono funzionare. Da noi mi sembra improponibile.

IL 9 MARZO – Col dovuto rispetto, in Germania non esiste la legge sulla rappresentanza sindacale. Infatti a) la legge sull’elezione dei rappresentanti di tutti i lavoratori nelle aziende si chiama legge “sullo statuto dell’azienda”, non legge sul sindacato; b) i fiduciari sindacali sono un’altra cosa, e in questi giorni è  in corso nelle aziende la loro elezione da parte dei soli iscritti alla Ig Metall. Elezione regolata dallo statuto del sindacato, senza interferenze della legge, che sarebbero costituzionalmente non ammesse.

IL DIARIO DEL LAVORO – Una legge potrebbe intervenire anche sulla struttura contrattuale?

TREU – Nessuno ci pensa, questa è materia strettamente propria dell’autonomia delle parti sociali. Il legislatore può dare delle indicazioni e lo ha fatto con quel decreto 81 che abbiamo indicato. Nel momento in cui mette sullo stesso piano la contrattazione nazionale e quella decentrata, questo è un chiaro aiuto al decentramento. Poi può dare più soldi ai contratti decentrati, come ha fatto con la legge di stabilità.

IL 9 MARZO –  E’ ovvio che qualsiasi intervento sulla rappresentanza sindacale è automaticamente un intervento pure sulla struttura contrattuale, anche se si dichiara il contrario. Infatti in Germania, dove la struttura contrattuale è rimessa per intero all’autonomia collettiva, la legge non regola la rappresentanza sindacale, ed in Francia avviene il contrario. Le due cose si tengono a vicenda.

IL DIARIO DEL LAVORO – E soprattutto il legislatore può fissare il salario minimo.

TREU – Il legislatore potrebbe fare due cose in merito. Estendere erga omnes i minimi salariali di base fissati dai contratti nazionali oppure fissare un livello minimo per tutti i lavoratori indistintamente. Il sindacato considera il primo intervento meno invasivo per la sua autonomia, il secondo ha il vantaggio di valere indistintamente per tutti. I giudici di solito prendono in considerazione i minimi contrattuali, ma potrebbe anche non essere così, mentre una legge li obbligherebbe ad avere solo quel trasferimento. E non sarebbe poca cosa se si considera che un salario di 8 euro e mezzo l’ora, come è in Germania, corrisponde a un salario mensile di 1.300 euro.

IL 9 MARZO – Il legislatore è tenuto ad occuparsi delle retribuzioni dei lavoratori in base all’articolo 36 della Costituzione. Se questo voglia dire prevedere salari minimi, dipende dalle circostanze. Finora non era necessario, ma ora il problema si pone, con i mercati del lavoro sempre più permeabili e con la difficoltà dei sindacati a coprire tutte le situazioni.

IL DIARIO DEL LAVORO – E’ fondato il timore dei sindacati di essere scavalcati?

TREU – Una ricerca su 15 paesi fatta dal Cnel ha chiarito che un salario minimo fissato per legge può dare fastidio ai sindacati, ma li stimola anche nella loro azione rivendicativa a ottenere qualcosa in più. E poi un salario minimo per legge rivisto annualmente sulla base di parametri certi come l’andamento del Pil o dell’inflazione darebbe certezze e garanzie.

IL 9 MARZO – Se si intende lo Smic alla francese, sì. Se invece il salario minimo è il Mindestlohn alla tedesca, cioè un minimo inferiore alla maggior parte dei contratti allo scopo di evitare gli abusi più gravi (nella macellazione si pagavano i salari della Romania, essendo lecito per la Ue assumere là per far lavorare qua), il timore è non solo infondato ma controproducente.

IL DIARIO DEL LAVORO – Ma Renzi pensa a qualcosa del genere?

TREU – Dipenderà da tanti fattori. Certo si potrebbe vendere bene un provvedimento che assicura un salario di base a tutti, anche a quelli che non sono protetti dal sindacato.

IL 9 MARZO – Su Renzi nessun commento.

IL DIARIO DEL LAVORO – La contrattazione territoriale ha un futuro?

TREU – Quella di alcuni settori funziona da sempre, l’edilizia, l’agricoltura per esempio. Poi c’è il modello Treviso. Lì è stato definito un contratto tipo che le singole aziende, anche quelle piccole e piccolissime, possono utilizzare senza dover mettere in piedi una vera e propria contrattazione: le aziende che lo utilizzano godono degli incentivi previsti senza però mettersi i sindacati dentro casa. E poi così si danno una patina di legittimità, mostrano di saper stare ai patti.

IL 9 MARZO – Con l’articolo 39 no di certo. E neanche con la misurazione della rappresentatività, che avrebbe impedito nel 1995 la riforma contrattuale in agricoltura. Ma per avere futuro deve essere contrattazione di settore, non accordo confederale parapolitico.

IL DIARIO DEL LAVORO – A suo avviso la contrattazione può dare una spinta vera per la crescita della produttività, il nostro problema più grave?

TREU – Dipende da come è fatta. Se si fa come con il contratto degli alimentaristi di questi giorni, dove sono stati dati aumenti salariali sganciati da obiettivi, al massimo questo è un aiuto ai consumi interni. Se invece fai vera contrattazione in azienda, se colleghi i premi a obiettivi reali di produttività, allora è diverso. La produttività dipende da tanti fattori, dall’innovazione, dalla ricerca, ma la contrattazione può dare un aiuto reale, motivando i lavoratori.

IL 9 MARZO – La contrattazione che non spinge a migliorare la produttività non è una buona contrattazione. Infatti da anni si è assecondata la moderazione salariale, ed il risultato è la perdita di competitività. Un motivo in più per non fare leggi ma lasciar finalmente libera la contrattazione. E per non prendere ad esempio  la moratoria decisa col contratto degli alimentaristi.

IL DIARIO DEL LAVORO – E’ possibile si arrivi una legge per misurare la rappresentatività delle associazioni datoriali?

TREU – E’ più che probabile, le stesse associazioni non avrebbero problemi, anzi riceverebbero un aiuto, perché mettere una soglia di rappresentatività per la contrattazione significa sbarazzarsi con un sol colpo di tutte le associazioni più o meno fittizie, che però danno fastidio.

IL 9 MARZO – C’è ancora qualcuno che pensa che si possano avere regole diverse per i lavoratori e per i datori di lavoro? Ai tempi della “legge Gasperoni” nel 1999 le imprese bloccarono tutto quando se ne accorsero, ma avrebbero anche potuto accorgersene prima.

IL DIARIO DEL LAVORO – Lei vede vera innovazione nelle relazioni industriali?

TREU – Direi proprio di sì. C’è una regolazione più precisa, che può venire anche per via legislativa. E in un’epoca di grandi turbolenze come questa che stiamo attraversando servono regole, specie se evitano i litigi e aiutano invece a far funzionare il sistema.

IL 9 MARZO – Da quando non c’è più l’Intersind, e la Cisl ha smesso di avere un pensiero forte, di innovazione se n’è fatta poca. Più o meno, siamo ancora alle variazioni sul tema rispetto al patto del luglio 1993. Ma nelle aziende e nei territori ce ne sarebbe, solo che non arriva mai ai rami alti del sistema centralizzato che abbiamo.

IL DIARIO DEL LAVORO – Pensa che Renzi attenuerà la sua vis polemica verso i sindacati?

TREU – Renzi ha subito detto che non si sarebbe fatto fermare quando erano in ballo le cose più importanti. Quando ha varato il Job Acts non ha guardato in faccia nessuno. Adesso ha un atteggiamento diverso, su questi temi ha lasciato spazio e tempo ai sindacati, perché fossero loro a innovare le regole. Se non lo hanno fatto o non lo hanno fatto come era necessario, sarà lui a intervenire, ma senza picchiare.

IL 9 MARZO – Su Renzi nessun commento.

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