L’Anas, la Cisl e il “whistleblowing”

Dopo i recenti scandali che hanno interessato l’Anas (e che non coinvolgono nessuno della Cisl; lo scriviamo subito, altrimenti qualche avvocato, avvocatone o avvocaticchio che sia, entra in fibrillazione: “avete alluso…”) il presidente Gianvittorio Armani ha scritto una lettera a seimila dipendenti in cui, pur affermando che si è trattato di “poche pecore nere” (che ricorda un po’ quando la Furlan parla di “due o tre casi isolati“), rivolge comunque un invito a collaborare all’opera di pulizia anche con “lo strumento del whistleblowing (la procedura per la segnalazione di illeciti e irregolarità che tutela l’anonimato di chi denuncia)”.

Ora, se il problema fosse solo quello di “qualche pecora nera”, forse non ci sarebbe bisogno di suggerire la segnalazione anonima. Ma questo riguarda l’Anas, e non ci vogliamo entrare. Colpisce però, se si fa un paragone con la Cisl, che anche dalle nostre parti le segnalazioni anonime sono prese sul serio, mentre quelle firmate con nome e cognome portano all’espulsione di chi le fa. Quindi il segnalatore non si deve proteggere da rappresaglie esterne, ma interne. Cioè da parte dell’organizzazione nel cui interesse viene fatta la segnalazione.

Un dubbio sorge allora: non è che nella Cisl le segnalazioni anonime (come quelle su Bonanni, su Cianfoni, sulla Fai di Salerno…) in realtà si sa benissimo da chi partono, e per questo trovano ascolto anche dalla Cisl-Probiviri? Ed è allora per questo se nel caso di Scandola è stata decisa un’inaudita espulsione in violazione di qualsiasi regola, salvo poi tentare il gioco delle tre carte di riespellerlo successivamente fingendo di rispettare le regole?

Certo è che se la Cisl deve prendere dall’Anas lezioni di trasparenza, questa grande organizzazione sindacale è messa proprio male…

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