Terza puntata: il segreto del nome cambiato
Nomina sunt consequentia rerum, dicevano i filosofi medievali (per dire, più o meno, che le cose esistono prima delle parole usate dagi uomini per identificarle). Ma qui non si tratta di filosofia. Si tratta di lavoratori e dei loro diritti. Quindi di un sindacato, la Fai, aderente alla Cisl, che per difendere meglio i lavoratori ha sempre curato anche aspetti come la cultura e la formazione, che sono espressione dell’identità di un’organizzazione.
La Fondazione Fisbafat era nata per questo, per collaborare con la Fai nello sviluppo di iniziative culturali e formative che proseguissero il lavoro culturale (e l’identità) della Fisba e della Fat. Far sparire questo nome è un po’ come cercare di far sparire la loro storia dalla storia della Cisl.
Questo tentativo è stato fatto. Ed il nome della Fondazione è stato cambiato. Ma pochi gioni dopo, non si sa bene perché, l’ordine era di non usare il nome nuovo e tornare ad usare il vecchio.
Il perché del nome che cambia e poi non è più cambiato non lo sappiamo. Noi possiamo fare due cose: aspettare che i segretari regionali ne chiedano conto (aspetta e spera…) o raccontare fatti che si intrecciano, ancora una volta alla storia del presidente a tutti i costi (vedi la prima puntata) che licenzia in tronco Giampiero Bianchi.
Qualche anno fa nella Fai, con una scelta forse discutibile ma coerente col disegno originario, si era deciso che la Scuola nazionale di formazione, a lungo orgoglio e vanto della Federazione, passasse alla Fondazione. In questo modo anche Giampiero Bianchi, che della Scuola era il direttore, era passato ad essere dipendente della Fondazione. E la cosa, lì per lì, poteva sembrare anche conveniente, visto che sulla Fai incombeva la fusione con la Filca che avrebbe comportato la convivenza fra due modi diversi di fare formazione, e non si sapeva cosa sarebbe potuto succedere.
La storia, invece, è stata diversa, ed è nota a molti; Sbarra, il segretario confederale-commissario-presidente, decide il licenziamento in tronco di Giampiero Bianchi. Che avviene, come prevede la legge, in due tempi: prima gli invia le contestazioni, poi, assolta la formalità di ascoltare le inutili difese, procede al suo licenziamento.
Attenzione alle date. Il plico inviato a Bianchi con le contestazioni porta la data del 17 dicembre (evidente l’intenzione di far passare un sereno Natale alla famigliola Bianchi …), la firma è quella del “presidente Luigi Sbarra“, la carta intestata è quella della “Fisbafat Fondazione“.
Bianchi, che riceve l’avviso del plico ma è in partenza per le vacanze e forse pensa ad un pacco natalizio (ed in effetti gli stanno proprio preparando quello che a Napoli si chiama “il pacco“), decide di ritirarlo al ritorno. Cosa che avviene il 3 gennaio. Da quel momento ha cinque giorni di tempo per inviare le sue difese e chiedere un incontro. Cosa che fa il giorno 8 gennaio. Quando la fondazione si chiama ancora Fisbafat.
Il giorno dopo è il 9 gennaio, una data chiave di tutta la vicenda; in poche ore il consiglio d’amministrazione della Fondazione (il presidente a tutti i costi e nessuno, cioè i segretari regionali) licenzia i revisori dei conti (in un modo che, a detta di alcuni, rivela un atteggiamento deciso, risoluto o anche aggressivo), cancella il comitato scientifico, cambia il nome della Fondazione che diventa “Fondazione FAI” e fa sparire i nomi delle Federazioni Fisba e Fat che si volevano tenere vivi. Poi si riunisce con tutti i segretari regionali della Fai e alla fine fa pubblicare un verbale in cui si fa battere battere le mani.
Pochi giorni dopo, il 14 gennaio, Bianchi presenta le sue difese davanti al presidente-commissario-segretario confederale ed a Pierluigi Manca, suo collaboratore sia come segretario confederale sia come commissario, sia come presidente (a proposito, a questo ragazzo che fa tre lavori mica gli daranno uno stipendio solo? Non sarebbe giusto. In caso però fateci sapere a spese di chi…), affiancati da Vincenzo Conso (la cui posizione non è chiara, a cavallo fra il passato goriniano di segretario della Fondazione ed il futuro di una ricollocazione nella Fai commissariata). Si redige il verbale previsto, poi si procede al licenziamento in tronco. Firmato da presidente a tutti i costi Sbarra e notificato dal triplice Manca a Bianchi in data 19 gennaio.
Tutto come previsto, tranne qualche imprevisto; come alcune dimissioni per protesta (ma questo sarà argomento della prossima puntata).
La lettera di licenziamento, firmata dal “presidente Luigi Sbarra“, è su carta intestata della “Fondazione FAI“, non più Fisbafat. Dal fatidico 9 gennaio 2015 è sparito quel fastidioso riferimento a Federazioni passate ed alla loro storia (la Fisba, merita ricordarlo, era stata a lungo federazione di opposizione alla linea della confederazione, almeno fino a tutta la segreteria Sartori). Decisione discutibile (infatti immaginiamo quanto ne avranno discusso ribellandosi i segretari regionali rinominati in consiglio d’amministrazione…) e, a dirla tutta, offensiva di una storia gloriosa. Ma una decisione di per sé non illegittima.
E allora perché il nuovo nome è poi sparito, ripristinando tacitamente il vecchio? Perché il sito è stato aggiornato solo per dire che Sbarra è presidente e Manca segretario) ma non è stato aggiornato il nome (che resta, assieme al vecchio logo)? Perché si è andati in giro a negare che il cambiamento ci sia mai stato, quasi come se fosse un’invenzione dei pochi che ancora si ostinano ad opporsi al commissariamento?
Invece noi non ci siamo inventati nulla; e la carta intestata usata per licenziare Bianchi ne é la prova. Così come quello che c’è scritto in quella lettera è la prova che chi l’ha firmata è ontologicamente il contrario di un sindacalista.
(fine della terza puntata)