Il sito www.sindacalmente.org ricorda (vedi l’intervento e gli allegati che trovate a questo link) che il 13 ottobre era in calendario la riunione convocata dalla Cisl-Probiviri sul caso Scandola (dovevano espellere un espulso!), scrive alcune cose interessanti sul sistema di giustizia interna alla Cisl (i collegi dei probiviri), riporta una proposta di riforma avanzata in occasione dell’assemblea organizzativa della Ust Torino-Canavese, e, soprattutto ci dà la notizia più importante: il 17 dicembre si terrà al Tribunale di Verona la prima udienza del ricorso di Fausto Scandola contro la Cisl. Presumibilmente, vista la fissazione non immediata, la difesa di Scandola ha rinunciato quindi a chiedere la procedura d’urgenza in base all’articolo 700 del codice di procedura civile.
Molta carne al fuoco, e molti temi su cui discutere. Un dibattito al quale vogliamo prendere parte.
Sugli aspetti tecnici e di merito della proposta, abbiamo chiesto lumi al signor Giovanni Graziani, uno dei sottoscrittori del ricorso in Tribunale contro il commissariamento della Fai e già presidente dei probiviri della Federazione, che ci ha promesso un parere scritto per i prossimi giorni.
Ma qualche considerazione di politica organizzativa può già essere fatta.
In primo luogo, emerge il fallimento della Cisl-Probiviri nella attuale composizione. Ricordiamo che il collegio attuale, poi con qualche modifica, venne eletto per la prima volta al congresso del 2005, segretario generale Savino Pezzotta, anche come risultato di insoddisfazioni che erano emerse rispetto al collegio nella precedente composizione. In altre parole, la scelta del presidente Biffi e degli altri componenti fu una scelta di rottura, per rafforzare l’autorevolezza del collegio.
Nel momento in cui le decisioni del collegio diventano oggetto di contestazione, l’autorevolezza dell’organo ne esce incrinata, forse irrimediabilmente. Perché la giustizia interna alle associazioni è materia delicata e sensibile, e richiede che le decisioni siano accettate come legittime anche da chi le subisce e/o non le condivide.
Una volta che due decisioni del collegio (la frettolosa ratifica di legittimità del commissariamento della Fai, la frettolosa espulsione di Scandola) vengono contestate in giudizio nel giro di pochi mesi, l’autorevolezza del collegio, di fatto, non è più indiscussa. Giuste o sbagliate che fossero le sue decisioni (ed erano sbagliate!). E la missione che l’organizzazione ha dato al collegio, cioè gestire in maniera efficiente il contenzioso interno evitando ricorsi in Tribunale, è rimasto insoddisfatta.
In secondo luogo, ripetiamo quel che abbiamo già scritto, la convocazione del 13 ottobre sul caso Scandola è un gioco delle tre carte, qualsiasi cosa sia stata decisa, fosse anche la revoca dell’espulsione. Perché prima si espelle senza contraddittorio un iscritto, privandolo così del diritto a partecipare al procedimento, e poi si pretende di perfezionare un procedimento al quale manca una parte necessaria.
In terzo luogo, per quanto male si possa (e si debba) parlare della Cisl-Probiviri e della sua obbedienza alla voce del padrone, questo non significa che ci si debbano fare troppe illusioni sull’imparzialità dei giudici togati. Che, almeno nel nostro caso, si sono mostrati più interessati a imboccare la via più facile e più rapida che a fare giustizia.
Il che non vuol dire che debba sempre andare così, soprattutto in un caso di espulsione dove, a differenza del nostro, ci sono precedenti incoraggianti per chi ricorre.
“Ci sarà pure un giudice a Berlino”, diceva il mugnaio di Potsdam che, nel ‘ 700, opponendosi al sopruso di un nobile, dopo essersi rivolto, invano, a tutte le corti di giustizia germaniche per avere “giustizia”, volle arrivare a Federico il Grande. Quello tosto, quello di Prussia, il despota illuminato che suonava il flauto con Voltaire nel suo giardino a terrazzi.
Il mugnaio Arnold di Potsdam, non poteva più pagare le tasse perché le acque del mulino, unica fonte di reddito della sua famiglia, venivano deviate da un barone avido e senza scrupoli. La giustizia locale corrotta aveva condannato Arnold consentendo al barone di rubargli anche il mulino, ed i giudici d’appello avevano confermato la sentenza.
Ma il mugnaio e sua moglie Rosina reagirono portando la questione sino al tribunale di Berlino, dove altri magistrati corrotti gli diedero torto, sinché Federico il Grande, quale magistrato supremo, esaminò personalmente gli atti del processo, restituì alla coppia il mulino e condannò i giudici ingiusti al carcere ed a risarcirne i danni.
Ci sarà pure un giudice a Berlino! Ma se non ci fosse più in Italia?