Un burocrate e un sindacalista

Sul tema del salario minimo oggi La Stampa pubblica due interviste, una ad un burocrate ed una ad un sindacalista.

Il sindacalista sostiene che la legge non serve perché basterebbe “obbligare le aziende a comunicare i dati e indicare nel cedolino paga il codice del contratto applicato” per sapere quali sono i contratti “prevalenti” e poterli applicare a tutti.

Il burocrate osserva che il minimo serve a evitare “una corsa al ribasso dei compensi della parte più debole del lavoro” e che estendere i contratti “prevalenti” non basta perché, al di là dei contratti pirata, ci sono contratti firmati dai sindacati più rappresentativi che restano molto al di sotto del minimo proposto ed altri (logistica, turismo, ristorazione…) che presentano grandi problemi.

In pratica, il burocrate (o ex burocrate appena defenestrato dal vertice dell’Inps) Pasquale Tridico ragiona in termini di politica salariale, e quindi come dovrebbe ragionare un sindacalista. Mentre il sindacalista (o meglio, qualcuno sul cui cedolino c’è scritto che viene pagato per fare il sindacalista) dottor Sbarra dell’Anas pensa che tutti si può risolvere sul piano burocratico-amministrativo.

Stando così le cose c’è da chiedersi chi sia il vero burocrate dei due. E quale dei due sia per l’innovazione e chi invece resti arroccato alla conservazione dei propri privilegi.

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14 Commenti - Scrivi un commento

  1. Leggevo oggi una dichiarazione della senatrice Furlan a Repubblica sul salario minimo. È risaputo che la signora era contraria a oltranza finché manteneva la carica di segretaria della Cisl, ora all’improvviso è favorevole perché il linea col PD. Ma un minimo di dignità c’è l’hanno i nostri rappresentanti ed ex? Ora vorrei chiedere alla signora Furlan perché era contraria fino a un anno fa. Tutto è relativo, non all’oggettivita’ ma alla soggettività…

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  2. Certo che se persino la UIL (e immagino pure la CGIL) ci identifica come un sindacato che ha perso l’autonomia politica, qualche erroruccio la nostra dirigenza l’avrà commesso… E parlo di dirigenza perché là in via Po e dintorni son tutti conniventi per convenienza conservativa e dovrebbero di conseguenza andare tutti a casa assieme al generale

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  3. Nel 2015 la cisl accettò la mediazione (ci sono i documenti in giro) che la parte del jobs act sul salario minimo riguardasse i settori non coperti da contrattazione collettiva. Fu spiegata in due esecutivi e in un seminario. Poi Renzi non andò avanti sul tema.

    Erano i tempi in cui petteni diceva che aveva scritto lui il jobs act

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    1. Poi arrivo il 5 ottobre 2018 dove all’hotel Gallia a Milano , un segretario di una categoria , la Fim Cisl , partecipo’ alla convention di Forza Italia con Maria Stella Gelmini sul lavoro.
      Da Forza Itala a Calenda per arrivare al PD, con nel mezzo un tentativo di OPA sulla Cisl insieme a Confindustria andato male.
      Per fortuna la Cisl è più forte di tutto questo

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  4. La ricetta di Sbarra (Cisl): “No al salario minimo per legge. Con i contratti si ottiene di più”
    Forse Sbarra elencando tredicesima, straordinari, maggiorazioni, ecc ecc, dimentica che i 9 euro ( e sono pure pochi) riguardano la paga oraria lorda mentre tutto il resto è relativo alla paga oraria. Dice che è colpa di Confindustria se i salari in alcuni settori sono bassi, ma la Cisl dov’è e dov’era? Farebbe meglio a tacere e provare un minimo di vergogna ogni tanto. La sua paga oraria è di 9 o 40 euro?

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  5. Uscendo per un secondo dal contenuto del vostro articolo, vorrei esaminare un secondo la questione salario minimo, a prescindere da chi sia burocrate e chi sindacalista.
    Per noi dirigenti di un’organizzazione sindacale il salario minimo è una vera e propria delegittimazione della nostra autorità salariale in quanto controparti al tavolo dei rinnovi dei ccnl. Però è anche un dato di fatto che su alcuni settori, ampiamente da voi enucleati, il salario all’ultimo livello(e non solo) è molto distante da quello che si sta cercando di definire come salario minimo.
    La provenienza di gran parte di noi è quella del mondo della rappresentanza agro-alimentare e, nello specifico del CCNL Operai agricoli e florovivaisti, nei minimi d’area che andiamo a stabilire e rinnovare in ogni rinnovo contrattuale, andiamo di fatto a sancire un “salario minimo” sotto il quale, la contrattazione nazionale e provinciale, non può scendere. E questo lo facciamo per tutte e tre le aree.
    Questo, contrariamente a quello che sostengono i più scettici che con il salario minimo andremmo a minare la contrattazione collettiva, non ci impedisce assolutamente di rinnovare i ccnl e cpl e, ad ogni rinnovo, facile o difficile che sia, riusciamo sempre a portare un aumento economico. Senza dimenticare il miglioramento anche del quadro normativo.
    Ed allora perchè avere paura di un salario minimo? Questo in un certo senso potrebbe aiutare le vertenze oramai ferme da quasi un decennio e che ancora non portano risposte alle migliaia di lavoratori interessati.
    La misura, così come descritta, ovviamente non basta. Riterrei infatti che, l’introduzione di un salario minimo debba essere prevista dal legislatore allo stesso modo con cui è sancita nel nostro ccnl: un minimo orario da adeguare a quei contratti su cui ancora non ci siamo arrivati e lasciando, dove sono, quei contratti e quelle retribuzioni che l’hanno ampiamente superato(come ci ricordava bonomi alla conferenza in assolombarda). Il tutto accompagnato dal fatto che è solo la contrattazione collettiva l’unico elemento regolatore dei rapporti di lavoro subordinati privati e pubblici. Quale contrattazione collettiva? Ovviamente quella siglata dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. E come facciamo ad identificarle? con una legge sulla rappresentanza. Ecco, questa temo sia la vera paura dei nostri vertici. Una legge sulla rappresentanza. Ma noi dobbiamo sfidare il governo su questo tema e non avere paura di misurarci. Ritengo essere l’unico modo per salvaguardare la nostra autorità negoziale e la contrattazione collettiva e, allo stesso tempo, dare una risposta a tutti quei lavoratori che la stanno ancora aspettando. Altrimenti, il rischio serio a cui andremo incontro è quello di vederci introdurre un salario minimo per legge e, a fronte di questo, perdere quella rappresentanza di quei lavoratori che ad oggi ancora ci danno credito.

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