5/Tempi bui: “Il fascismo prossimo venturo”

Il signor Giovanni Graziani ci manda alcune considerazioni sulla manifestazione di sabato scorso, che pubblichiamo con un po’ di ritardo avendo dato, doverosamente, la precedenza all’intervento di Savino Pezzotta sullo stesso argomento.

il9marzo.it



L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione […] Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. (dalla Costituzione della Repubblica italiana, articolo 39)

“Mai più fascismi” era lo slogan della manifestazione unitaria che si è svolta sabato in una città dove domenica e lunedì si votava per il sindaco (detto fuori dai denti: con Mario Scelba, il ministro dell’interno autore della legge oggi invocata per sciogliere le organizzazioni neofasciste, la manifestazione ci sarebbe stata senz’altro ma in un altro giorno e non mentre era in corso l’insediamento dei seggi per le operazioni di voto: o prima, o dopo).

Premesso che sul piano ideale ho molte perplessità sull’uso del plurale “fascismi” perché il fascismo ha sì avuto ed ha molte manifestazioni anche contraddittorie ma nella sua essenza è un fenomeno politico unitario, sul piano storico questa imprecisione può essere quasi utile.

Il fascismo italiano, quello fondato e guidato da Mussolini, nella sua unitarietà ha avuto infatti almeno tre fasi distinte: quella del movimento antisistema che si impone con la violenza (imparata un po’ dal sindacalismo rivoluzionario soreliano e un po’ dalla prima guerra mondiale, catastrofe primordiale del XX secolo); poi quella del regime che prende il potere ed impone con le “leggi fascistissime” il conformismo ad un paese nel quale la democrazia pluralista non aveva mai messo solide radici; infine la fase repubblichina della tragica collaborazione con l’invasore tedesco fra il 1943 ed il 1945.

L’assalto alla sede della Cgil capitanato da Forza Nuova, come avete giustamente scritto su questo blog, è stata “una citazione letterale di cose avvenute giusto un secolo fa”, quando le squadre fasciste assaltavano le sedi sindacali e preparavano la marcia su Roma del 1922; così facendo, Forza Nuova si è identificata con il fascismo movimento eversivo, il che la rende senz’altro passibile di applicazione della legge Scelba.

La manifestazione sindacale unitaria si è invece richiamata alla alla Resistenza, alla Costituzione e alle disposizioni delle leggi attuative, che colpiscono le organizzazioni neofasciste che si richiamino a quelle idee e usino la violenza per imporle.

A questa polemica fra il neofascismo di Forza Nuova che cita il 1921 e l’antifascismo di Cgil-Cisl-Uil che si riallaccia al periodo dal 1943 in poi, manca un pezzo di quasi vent’anni, quello del fascismo come regime reazionario, che usa solo eccezionalmente con il manganello e preferisce passare attraverso l’uso del potere statale a proprio vantaggio e per colpire il dissenso, potendo contare sull’acquiescenza della società italiana. A sciogliere i sindacati, ad esempio, non è stata la violenza del movimento eversivo ma la legislazione del regime, in un quadro di formale legalità: la Cgl socialista e la cattolica Cil non hanno mai ricevuto alcun decreto di scioglimento (e neanche un commissariamento tipo quello della Fai) ma si sono dissolte per conto proprio dopo essere state messe nell’impossibilità di organizzarsi ed agire.

Questo delitto perfetto, questa soppressione della libertà senza spargimento di sangue né violenza apparente, si è consumata nel 1926 con una legge che ha stabilito criteri in base ai quali accreditare quali sindacati erano da considerare rappresentativi e quali no, assegnando ad uno solo sindacato rappresentativo per ogni categoria il potere di stipulare contratti erga omnes. Naturalmente, la legge era scritta in modo da dare l’esclusività della rappresentanza ai sindacati fascisti, ma il regime lo aveva fatto usando idee diffuse anche fra molti dei suoi oppositori. Una consonanza fra opposti che riemergerà due decenni dopo, quando i costituenti scriveranno un articolo 39 che presenta inquietanti analogie lessicali con la dichiarazione III della Carta del lavoro del 1927: l’organizzazione sindacale è libera, ma … .

Per questo a me sembra che volere oggi leggi sulla rappresentanza che servano,con la scusa di eliminare i contratti pirata e magari per favorire l’unità sindacale, a riservare l’esercizio della rappresentanza sindacale solo a chi abbia l’accreditamento legale (che poi sarebbe la copertura dell’accreditamento reciproco fra i beneficiari) sarebbe qualcosa di non troppo diverso dalle forme legali con cui il regime aveva colpito i sindacati liberi.

Il regime del Ventennio ha lasciato delle scorie che sono più difficili da riconoscere della grottesca imitazione del 1921 inscenata da Forza Nuova contro la Cgil. Ma proprio per questo bisogna fare più attenzione. E non bisognerebbe dimenticare che viviamo in un paese dove gli italiani hanno fatto la Resistenza quando si sono trovati la guerra in casa, ma durante il Ventennio di resistenza al regime ne avevano fatta poca, e in pochi.

Ecco perché in Italia c’è sempre il rischio di un fascismo prossimo venturo, meno evidente dell’assalto alla sede della Cgil o dei saluti romani e dei cori antisemiti in qualche stadio, ma che, proprio perché presente a piccole dosi, rischia di produrre assuefazione.

Ed ecco perché è meglio essere contro la legge sulla rappresentanza ed a favore di quella del salario minimo: la prima potrebbe essere usata anche in maniera parafascista, restringendo cioè la libertà sindacale, mentre il salario minimo sarebbe tecnicamente anti-fascista, nel senso del contrario di ciò che il regime aveva fatto.

Giovanni Graziani

L’organizzazione sindacale o professionale è libera. Ma solo il sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori per cui è costituito (dalla Carta del lavoro del 21 aprile 1927, V E.F.) ,

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