4/Tempi bui: “Contrastare la cultura fascista”

Savino Pezzotta ha scritto le sue riflessioni, che riceviamo e volentieri pubblichiamo, sulla manifestazione unitaria del 16 ottobre a Roma.

Il9marzo.it

Contrastare la cultura fascista e aprire strade per la nuova cittadinanza nel paese e sul lavoro

Ho seguito per televisione e con vivo interesse, partecipazione e un alto tasso di empatia la manifestazione sindacale di sabato 16 ottobre, richiamato oltre che dalla passione sindacale da suo aspetto politico e ideale centrato sull’antifascismo e la democrazia. Del resto era questo che dava un segno unitario molto ampio a quella mobilitazione. Credo che questa sia stata la manifestazione più politica del sindacato negli ultimi dieci anni.

 A mio parere ha avuto il limite di essere stata, nei discorsi ,attraversata da tanta retorica – richiamando analogie inappropriate con eventi storici di un secolo fa con l’avvento del ventennio fascista – del passato che  e  dallo spirito di organizzazione più che accentuare gli aspetti concreti e di vita che rivestono per ogni sindacalista i termini: antifascismo e democrazia.

Una manifestazione come quella di sabato aveva il compito di chiarire chi sono oggi gli eredi dei  fascisti, il fulcro della cultura fascista, su cosa  o per meglio dire degli attuali nemici della democrazia .

Nel mio pensiero è fascista chi fonda la sua visione politica sulla primazia nazionale, di razza, cultura e nega l’uguaglianza con altri (individui o popoli), considerati per qualche caratteristica inferiori, negando universalità ai principi di libertà, di uguaglianza, distorcendo il significato di patria, famiglia, religione per farne una barriera apertamente, o in modo mascherato, di stampo razzista. A volte creando muri di “difesa” per arrestare i flussi migratori dei nuovi “dannati della terra” (ne esistono 75 nel mondo, metà costruiti con filo spinato o in cemento in questo avvio del XXI secolo).

Questo per me questo è il marchio fascista , ovvero la negazione dell’uguaglianza di donne e uomini, di popoli e culture , è il restare prigioniero di una mentalità coloniale e del primato dell’uomo bianco.

E’ chiaro nella mia mente anche il pericolo  dell’eredità fascista del modello corporativo,  sempre risorgente come “l’araba fenice” sotto diverse spoglie, che pensa alle relazioni sociali e al ruolo dei corpi intermedi attraverso una visione mitica della vita e su una sorta di militarizzazione e statalizzazione fondata su forme autoritarie che essendo tali producono forme  discriminatorie della politica.

E’ chiaro che chi persegue questi obiettivi ha in mente una organizzazione corporativa dell’economia, che annulla la libertà sindacale. Questi elementi, sappiamo bene, circolano dentro il dibattito politico e pertanto essere antifascisti significa evidenziarli e contrastarli.

Tutto questo non s’ evidenziato in modo radicale nella manifestazione di sabato 17 ottobre, a Roma, che si è soffermata sul passato, affermando alcuni principi e valori e ha richiamato i temi di confronto con il Governo, ma non ha spinto oltre.

Del resto, il nostro paese, per ragioni politiche, non ha fatto fino in fondo i conti con l’eredità del fascismo lasciando che certi tratti culturali si siano  sedimentati.

Oggi è possibile valutare e analizzare– storicamente, culturalmente, socialmente, politicamente – il “continuismo” e cosa ha comportato il passaggio di uomini e strutture dallo Stato, e dalle istituzioni fasciste, a quello democratico e repubblicano. Un fenomeno che ha attraversato le strutture statali, le gerarchie burocratiche, il giornalismo, l’accademia, l’economia e la finanza, l’esercito e la pubblica sicurezza. Ma anche i partiti e i sindacati.

Cosa ha significato lo slittamento dello Stato e dell’’Italia fascista nella repubblica antifascista. Sono domande che ci rifiutiamo di farci cullandoci nell’illusione che tutto sommato gli italiani siano “brava Gente” e che nulla abbiano da rimproverarsi dell’orrore che ha attraversato l’Europa.

Ma quello che mi preoccupa di più è come in quest’epoca storica segnata da profonde innovazioni sul piano economico, tecnologico e di relazioni umani si sia rimasti fermi sul terreno dell’innovazione democratica e che si sia stati più preoccupati della difesa del vecchio  patrimonio culturale, sociale e religioso e si fatichi nell’individuare e realizzare investimenti per rivitalizzare la democrazia rappresentativa, ad esempio con referendum propositivi e deliberativi e non solo di abrogativi.

Il fatto che l’astensionismo al voto sia in costante aumento, pur  non condividendo tale scelta, ritengo che questo fenomeno sia per ogni democratico un problema e un interrogativo  e pertanto deve essere analizzato con rigore e compreso nelle sue motivazioni.  

Con troppo semplicismo si è manifestata una grande soddisfazione nel vedere scomparire le ideologie, ma non si è stati capaci di coprire quel vuoto.  È ovvio che nel vuoto, come nel buio,  ricompaiono i fantasmi.  Non di ideologie la democrazia ha bisogno ma di vision e chiarezza di mission pur contrapposte.

Per quanto riguarda il sindacato, che per me resta il luogo in cui meglio si può comprendere l’intreccio tra mutamento sociale e democrazia, ho l’impressione, da osservatore simpatetico, che non abbia ancora colto, essendone direttamente coinvolto, che le ragioni del suo indebolirsi sono frutto dei processi di metamorfosi del lavoro e di ristrutturazione della società e soprattutto della corporativizzazione dei corpi intermedi da cui germina il  populismo, anche rancoroso, che oggi chiassosamente circola nelle nostre piazze e che non disdegna la violenza.

Ecco perché ritengo che sia proprio dalla manifestazione nazionale di Roma e dalle ragioni che l’hanno promossa che viene posta al sindacato l’urgenza e la necessità di indagare in profondità la realtà dei cambiamenti sociali e dei modi con cui le persone si relazionano, si organizzano, ma soprattutto del senso, del significato e del posto che le persone, uomini donne e giovani danno al lavoro nella loro vita personale, materiale ,spirituale, culturale e sociale.

Si tratta di fare uno sforzo per capire come il lavoro è cambiato nel cuore e nella mente di chi lavora.  Non bastano più le intelligenti e utili analisi sociologiche e statistiche, o descrizioni  futuriste, abbisogna  la concretezza con cui il lavoro si incarna e si invera nella vita personale nei suoi aspetti globali, razionali, emotivi e estetici.

Poiché solo cogliendo questi aspetti si può contribuire al necessario rinnovamento totale del destino delle persone impegnandole per un “destino comune e di solidarietà”, soprattutto a innanzi a quelle che attualmente appaiono le due grandi sfide verso il lavoro: il cambiamento climatico e la pervasività delle nuove tecnologie e dell’Intelligenza Artificiale nell’umano e nel vivere insieme. Poiché queste nuove tecnologie non sono neutrali ma incidono in profondità sul nostro essere e ci impongono modelli di organizzazione sociale possono trasformare la nostra struttura culturale e antropologica e di conseguenza le forme del vivere sociale.

Ormai da diversi anni sta sorgendo un modo di pensare e di pensarsi totalmente differenziato da quello in essere negli “anni gloriosi” dell’espansione sindacale che si orienta oltre la naturale solidarietà propria delle persone al lavoro, ma che sta sviluppando una soggettività individuale che tende a esasperare la competitività personale e l’accentuazione esagerata del merito, diventa necessario che il sindacato riesca a ridefinire il suo futuro, il suo nuovo statuto,  il suo fondamento e le ragioni ideali dell’organizzare delle persone. Un sindacato che si riprogetta in senso post-moderno e che diventa sostenitore e promotore di nuove forme di democrazia sociale e politica, innervata da pratiche diffuse di democrazia partecipata al suo interno e nella realtà politica.

Si tratta di far germinare un concetto di cittadinanza aperta, ma questo non lo si può attendere che venga calato dal di fuori, ma deve sbocciare al proprio interno, rompendo con tutte le tentazioni oligarchiche che si sono affacciate sulla sua porta e che hanno portato a un restringimento della democrazia sindacale.

Oggi serve il coraggio di sperimentare forme di democrazia partecipativa nel lavoro, nell’organizzazione, forme di democrazia deliberativa sulle grandi scelte e per sostenere i confronti istituzionali, modalità di federalismo sociale che valorizzi le strutture di base, di territorio e di categorie.

Se la democrazia politica è lo spazio pubblico in cui si mettono a confronto progetti e idee, lo stesso deve essere il sindacalismo che da organizzazione rigida e gerarchica si trasforma in organizzazione aperta e fortemente partecipata.

La manifestazione di sabato 16 ottobre non può essere archiviata come colpevolmente abbiamo fatto con molte altre, ma essere un pungolo perché l’essere antifascista sia foriero di una nuova tensione democratica e di una spinta verso una nuova cittadinanza del lavoro e delle persone.

Savino Pezzotta

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18 Commenti - Scrivi un commento

  1. Sarebbe del tutto superfluo affermare di condividere l’analisi che Savino fa della manifestazione si sabato 16 ottobre, del risorgente fascismo che occupa spazi lasciati liberi da altri, dei limiti della pratica democratica, di cui l’astensionismo è l’aspetto più preoccupante, e della necessità per il sindacato di ripensare molto seriamente se stesso nelle realtà sociale, politica, economica e culturale già profondamente cambiate e destinata a cambiamenti futuri ancora più profondi.

    Ciò che manca nella riflessione di Savino è il riferimento all’Unità Sindacale, ma non credo sia una mancanza grave se si considera il riferimento al “sindacato” privato dalle sigle che lo identificano quale riferimento “unitario” collocato oltre le sigle di CGIL, CISL e UIL. Se non si conviene che in questa fase storica e soprattutto nella prospettiva di breve/medio periodo l’unità sindacale è una prioritaria necessità, ciò che non si fa per ragioni politiche e ideali dovrà essere fatto per necessità: se CGIL, CISL e UIL continuano a perdere iscritti, verrà il momento che dovranno realizzare l’unità sindacale. E’ sicuramente più opportuno che questo avvenga per una scelta politica che non per necessità.

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  2. La cosa piu bella ?
    dopo che hanno fatto tabula rasa di ogni persona dotata di capacita cognitive (neanche critiche).
    Sono rimasti gruppi dirigenti paranoici e deboli e come si alimentano? con altrettanti furbacchioni che alimentano teorie del complotto per cui ci sarebbero sorprese ai congressi e bufale varie. Persone che hanno fatto strada strisciando e facendo complotti del resto, pensano che prima o poi li faranno anche a loro. Ma soffiare su una candela spenta non interessa a nessuno. Al massimo vi faret qualche autocomplotto

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    1. I congressi son cose serie , c’è chi è uscito con il 95% di maggioranza e non è arrivato a quello successivo visto che ormai aveva il 20 ….son cose da adulti ,non per bimbetti

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      1. visto che ai congressi vota un platea piu ampia vuol dire che in mezzo quello che accade e’ tutto tranne che denocratico. Chiedete a quello che si definiva nella nostra regione “il cocco della furlan”. Un caso umano che perde iscritti in ogni azienda

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      2. Hai ragione, i congressi sono cose serie per persone serie. Quando poi non piacciono i risultati basta rivolgersi ad inginocchiati probiviri ed il gioco è fatto. Specie quelli dalla memoria così corta da non ricordarsi neanche come si chiamano quando intervistati da Report.

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  3. Le patacche son finite · Edit

    Tra poco il sindacato non sarà più roba per pataccari aiutati dal politicuccio di turno, da confindustria e da qualche blog.
    La legge sulla rappresentanza ci dirà dove sono gli iscritti , chi li perde e chi li fa .
    Basta aspettare 2 mesi , c’è poco.
    Poi vediamo quanto vale e chi!!
    Vogliamo fare una scommessa , su alcune categorie e su alcuni territori della Fim cari al reuccio nel frattempo divenuto rospo ?

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  4. Democrazia nel sindacato.
    Molti di noi si sono iscritti alla Cisl perché ritenevano che fosse un sindacato con regole democratiche e criticavamo la CGIL, perché in quel sindacato, i dirigenti si sceglievano con i comitati di garanzia, senza arrivare ad una votazione. CISL sindacato pluralista, autonomo etc. etc è quello che ci hanno insegnato i padri fondatori. Voto segreto per scegliere le persone. Regole che garantiscono, in una certa misura anche se non perfetta, la rappresentanza delle minoranze, se esistono naturalmente. Quindi possibilità di presentare due o più liste con un numero massimo di preferenze non superiore ai 2/3 e non inferiore ad 1/3, con le firme dei presentatori. Così si eleggono i delegati ai Congressi, così si eleggono i rappresentanti sindacali aziendali e così si eleggevano i capi lega dei pensionati, fino a pochi anni fa. Negli ultimi congressi, però, la FNP ha cambiato sia lo Statuto che, di conseguenza, i regolamenti di attuazione (nazionale e, a cascata, quelli regionali e territoriali, ovviamente obbligati ad adeguarsi). E quindi il coordinamento della RLS (ex direttivo delle Leghe) ora non viene più eletto, ma di fatto nominato dalla segreteria territoriale FNP attraverso una lista da essa predisposta, senza possibilità di variazione o di presentazione di altre liste alternative. Ergo, è la segreteria che forma la lista (unica) per nominare i componenti della R.LS. che poi sarà ratificata dall’assemblea precongressuale e poi nominerà anche il coordinatore, con ratifica del Consiglio generale. I regolamenti non prevedono altre soluzioni diverse e potrebbe succedere che, anche se i partecipanti all’assemblea precongressuale, preferissero soluzioni diverse da quelle previste dalla segreteria, questo è reso impossibile dalla previsione che si può presentare una sola lista, PREDISPOSTA DALLA SEGRETERIA. E’ evidente che anche una maggioranza degli iscritti di quella RLS, potrebbe non essere rappresentata, se invisa alla segreteria, a causa del regolamento territoriale, figlio di quello nazionale. Queste variazioni statutarie e regolamentari, attuate di recente dal 2013, rappresentano una rilevante alterazione delle regole democratiche e storiche della CISL, per la FNP e ne rappresentano una contraddizione. Non si deve dimenticare che la FNP ha il 50% degli iscritti totali e quindi ha un peso che sappiamo essere fondamentale specie nei congressi di UST e quindi nella costruzione della piramide democratica. Perché avviene tutto questo ? Si ha paura ? e di chi o di che cosa ? E per questi piccole ombre, vale la pena scardinare il principio base della CISL che prevede votazioni segrete per la scelta dei dirigenti, a qualsiasi livello, e possibile presentazione di liste alternative ? In ogni organizzazione, politica o sindacale, Il pluralismo e la discussione non possono che giovare, il conformismo e la fedeltà acritica fanno solo danni. Si dirà sono dettagli, ma i regolamenti dovrebbero rispettare i sacri principi, per i quali molti hanno scelto la CISL.

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    1. osservatore interessato · Edit

      condivido al 100%& queste considerazioni il regolamento della fnp e’ assolutamente contro i principi della cisl antidemocratico ed oligarchico a questo punto credo non sia piu’ utile rimanere iscritti

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      1. La controindicazione alla tua proposta di dimettersi dalla CISL, è che, una volta usciti, non si ha più titolo a criticare ed anzi l’establishment è ben contento di liberarsi di qualche spirito critico che ancora veleggia all’interno. Ma anche se le dimissioni riguardassero migliaia di persone, a loro poco interesserebbe. Quel che gli preme è ricoprire i ruoli dirigenti, con annesse indennità e privilegi. Saluti

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        1. Magari con migliaia di iscritti in meno diminuirebbero i privilegi. Anche perché di spirito critico interno non c’è traccia dopo le vicende della Fim. Neanche dopo il fallimento della gestione del post Marcolino. La Fim in alcuni territori è sparita da decine di aziende sia come iscritti che come Rsu. Ma anche questo è colpa di altri. Un vero “gomblotto”…. Ewiwa.

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          1. Il problema vero è riparare ai danni che Marcolino ha fatto, alla Fim e alla Cisl.
            Poi pubblicare i dati della ispezione fatta da organo esterno, che si è già conclusa.
            Così continuate a scrivere qui dentro ma l’Italia intera apprende e capisce di più.
            Manca poco , poi anche Calenda e i padroni che lo sostengono capiscono bene.
            A proposito vi saluta gli amici degli amici di Siracusa ….

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            1. Pubblicare il risultato dell’ispezione per un’organizzazione che si definisce la casa di vetro dovrebbe essere il minimo sindacale. Invece ancora si parla, si ipotizzano chissà quali malefatte e poi non si pubblica nulla. Ma il reggente regionale del siracusano non era il grande Uliano?
              Chiedo per un amico degli amici

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              1. Azzardo un ipotesi: magari fin’ora la responsabilità di mandare avanti un organizzazione ha indotto Benaglia a non pubblicare nulla .
                Ma adesso pressato sul tema dall’interno, magari nella sua relazione al congresso ci sorprende.
                Chissà.
                I pochi rimasti in sala con la nostalgia del passato ( pochi davvero quanto si racconta nelle stanze Fim ) farebbero il viso rosso .

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                1. Perdonaci, cosa intendi dire con ” la responsabilità di mandare avanti un’organizzazione ha indotto Benaglia a non pubblicare nulla “? Non ti sembra che sia un modo di ragionare che smentisce la narrazione sulla trasparenza della casa di vetro? E conferma invece l’immagine di un’organizzazione dove il tema della correttezza dei comportamenti viene usato strumentalmente nella lotta politica, e mai contro chi è in carica e sempre contro chi rappresenta un problema?
                  In questo caso, noi preferiamo l’esempio di Fausto Scandola, che ha posto il problema in termini di sistema, a cominciare dalla testa. Ossia dalla parte del pesce da cui parte il cattivo odore.

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                2. Alle allusioni ricorrono i mafiosi. O appena si conoscono i fatti si denunciano o i fatti non esistono e li stanno inventando. Per le poche regole che ha il sindacato italiano sulla tenuta dei conti, le carte si possono cambiare. Ma se scoperti si rischia il penale.

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