Questa volta facciamo eccezione alle nostre regole di scrittura e partiamo da una premessa teorica. Ma se qualcuno non è interessato o trova comunque inutile e/o noiosa la teoria o ritiene di non averne bisogno, può saltare direttamente alle conclusioni pratiche.
Il tema è quello, sollevato in alcuni commenti, dell’unità e del pluralismo sindacale. Un tema sul quale bisogna prima chiarire sul piano teorico come usare i termini correttamente per evitare di fare confusione. E il punto da chiarire è che unità sindacale non è affatto il contrario di pluralismo, ma di pluralità. In Italia c’è, ad esempio, una situazione di pluralità sindacale, nel senso che esistono più organizzazioni sindacali, ma c’è un debole pluralismo, nel senso che le organizzazioni tendono a convergere, a non farsi la guerra e ad avere regole comuni sull’esercizio della rappresentanza (l’esempio più chiaro è quello delle Rsu). Ed il risultato è un sistema accentrato e rigido, dove le rappresentanze di base, quelle territoriali e le federazioni nazionali finiscono, di fatto o di diritto, per essere terminali operativi delle confederazioni nazionali, legate da patti di unità impliciti o espliciti.
Altri paesi etichettati come esempi di unità sindacale presentano invece caratteristiche tipiche del pluralismo come concorrenza fra esperienze e criteri diversi per l’esercizio della rappresentanza. E questo sia perché a volte presentano una pluralità di organizzazioni (in Germania accanto al Dgb c’è il Dbb, che conta una quarantina di organizzazioni affiliate e una milionata abbondante di iscrizioni; negli Stati Uniti ci sono l’Afl-Cio e Change to win; in Svezia ci sono la LO, il Saco e il Tco, eccetera) ma soprattutto perché, anche quando esiste una sola grande organizzazione centrale, questa non impone alcun modello al quale uniformarsi ma lascia aperta la dialettica, organizzativa e politica, fra i sindacati aderenti, che non di rado si danno battaglia fra di loro secondo idee e visioni diverse della rappresentanza sindacale o anche solo perché rivendicano di esercitare la rappresentanza esclusiva di settori nei confronti di altri sindacati della stessa organizzazione.
In altre parole, dove c’è democrazia c’è sempre pluralismo, nel senso di dialettica fra interessi collettivi organizzati che cercano una composizione dinamica per convivere all’interno di istituzioni comuni. E dove questa dialettica manca, a mancare è la stessa democrazia (e si possono commissariare federazioni come la Fai per il libero voto di un’assemblea congressuale sulla decisione di non sciogliersi come voleva Via Po 21).
Fatta questa premessa, veniamo alla questione sollevata su questo blog: per la dirigenza attuale della Cisl l’unità sindacale è ancora un valore e quindi un obiettivo ideale? Rodolfo Vialba, letta l’anticipazione della bozza delle tesi congressuali, ha denunciato l’apostasia che ne emerge per l’affermazione (la riportiamo come è stata citata, noi non l’abbiamo letta direttamente):
“un ruolo importante viene dal pluralismo tra Cisl, Cgil e Uil, che ha consentito di esplorare strade nuove in modo non distruttivo. Con ogni probabilità, l’unità sindacale avrebbe ridotto gli spazi di sperimentazione e di competizione controllata tipici del caso italiano”,
A noi che, venendo in buona misura dalla Fisba e dalla storia dei “giuseppini” che si opposero all’unità sindacale negli anni Settanta, questa frase fa un effetto un po’ diverso: ci leggiamo infatti un’indifferenza di fondo alla questione, la rinuncia di fatto ad una fede non per aderire ad un’altra, non per una conversione al pluralismo come valore connaturato alla democrazia (se così fosse, le Rsu dovrebbero essere messe in discussione e fatte saltare), ma per comodità di gestione del potere: oggi le dinamiche di rappresentanza, ed i lavoratori stessi, si controllano meglio (vedi l’espressione delle tesi “competizione controllata“) offrendo lo stesso prodotto con tre marchi diversi piuttosto che un unico marchio. Anche perché, così facendo, migliaia e migliaia di funzionari (formalmente dirigenti eletti dal basso, di fatto cooptati dall’alto e tenuti ad un patto di fedeltà al capo) conservano il posto. E, al limite, se lo perdono in un’organizzazione, possono trovarlo in qualcun’altra.
Perché quando la pluralità sindacale non esprime più convinzioni profonde, giuste o sbagliate che siano (qualcuno ha accusato Vialba di ragionare “come i comunisti”; i comunisti avevano convinzioni profonde per sbagliate che fossero, e ciò che si è rimproverato a Vialba è stato appunto di non rinunciare a ciò in cui crede lui e una volta credeva quasi tutta la Cisl), il sindacalista diventa come il calciatore che, se gli fanno un buon contratto, può giocare nella Roma come nella Lazio. E se, come accadde a Ciccio Cordova, capitano della Roma all’inizio degli anni Settanta, arriva un nuovo presidente e ti vende alla Lazio, questa è la maniera per continuare a fare quello che sai fare. Qualcosa di simile ci sembra sia successo nelle elezioni Rsu Leonardo Roma Laurentina, dove la Fim non ha eletto alcun delegato e quelli che erano usciti sono stati rieletti in altre liste.
Dal punto di vista del calciatore che vuole continuare a giocare, l’esistenza di Roma e Lazio consente “di esplorare strade nuove in modo non distruttivo“, direbbero le tesi confederali in bozza, consente di ricollocarsi, come è legittimo per chi sia stato scaricato, e talvolta è un bene che accada.
Ma quando si perdono di vista e dal cuore le ragioni della pluralità o dell’unità, tutto è possibile, e la scelta diventa solo, cinicamente, fra strumenti più o meno utili per controllare meglio la situazione. E se domani questa utilità venisse meno, la Roma e la Lazio, in nome del valore dell’unità, potrebbero anche fondersi in una sola (la Lazioma, o la Romazio). E un calciatore potrebbe giocare in una squadra, nell’altra o in una squadra frutto della fusione delle altre due.
Indifferentemente.
Nel merito di quanto scritto in “Indifferentemente”, essendo citato per le mie affermazioni, mi va bene non commentare nulla salvo fare tre brevi precisazioni:
1) Non ho letto la “Bozza delle Tesi Congressuali” ma solo quanto pubblicato da “Anonimo”., ed è su questa base che nascono le mie riflessioni. D’altra parte, a quanto risulta, sono state inviate ai soli componenti dell’Esecutivo Confederale in previsione della discussione nella riunione di domani 21 settembre.
2) È corretta la citazione relativa alla posizione di opposizione della FISBA sull’unità sindacale degli anni ’70, ma nel libro di Edizioni Lavoro “L’uomo vale perché lavora”, pubblicato nel 2014 e curato da Bruno Bignami che nella sua Introduzione richiama due articoli che “Lotte contadine” il mensile della FISBA, ha pubblicato nel gennaio 1977, nei quali si afferma essere una “iattura” per i lavoratori la divisione sindacale, motivata solo dal “particolarismo della varie correnti” e delle pressioni di partito.
3) Se anche le componenti interne alla CISL un tempo ostili all’unità sindacale, in tempi non sospetti (1977) consideravano una “iattura” la divisione sindacale, e credo tale sia da loro considerata anche oggi, mi domando quali siano le ragioni per la quali la CISL abbandona, vorrei quasi dire “rinnega”, per come è scritto nella Bozza delle Tesi, l’obiettivo dell’unità sindacale.
E’ questa una domanda che chiede risposta attraverso la riscrittura del punto 43 della Bozza.
Caro Vialba, permettici solo una precisazione sulla nostra storia raccontata in tanti libri e che si può leggere sfogliando le annate di “Lotte contadine”: la posizione della Fisba sull’unità sindacale era riassunta nella slogan “Unità sì, nella chiarezza”. Ed il significato era che la chiarezza non c’era, e quindi di fatto era un no. Come c’è scritto chiaramente anche nei documenti dei “giuseppini” ai quali ci siamo richiamati.
Altro è dire che la Fisba non si mai opposta al principio dell’unità fra tutti i lavoratori, e non solo dal 1977 ma da sempre.
Solidarietà a Marco Bentivogli. Anche in questi casi la statura politica di Alì Babà e dei suoi quaranta eroi si vede. Mentre a molti resta l’orgoglio di essere appartenuti a una grande storia, ci si vergogna oggi per gente i cui unici sentimenti sembrano il rancore e l’invidia.
Quando si scende a questi livelli non c’è più nulla che scaldi i cuori ma solo tenebre in cui vivono i pipistrelli.
È proprio vero: “dai frutti li riconoscerete”. Essere troppo impegnati nei tribunali fa trascurare di onorare quella grande storia.
Quelli che firmarono e divulgarono quella lettera (scritta dalla segreteria confederale)
dovrebbero un giorno chiedere scusa.
Ma sono troppo occupati a proteggere qualche futuro incarico anche da pensionati.
Ma perche invece di Benaglia in tv non mandano Ulian o Bisegna?
Perché Benaglia è il segretario generale 🤷♂️.
Da segnalare una bella iniziativa oggi in Lombardia
Fim Lombardia, Cisl , Fim Nazionale.
Dopo averli provati lo stesso Duci li evita 🤣🤣🤣🤣