Il rinnovo del contratto degli alimentaristi, leggiamo sul sito della Fai, è qualcosa di grande: “grande vittoria”, “grande risultato” eccetera, eccetera. E non abbiamo obiezioni. Un po’ perché è raro che chi ha appena firmato un contratto non ne sia legittimamente contento, al netto di tutti i compromessi necessari. Un po’ perché, in ogni caso, vale pur sempre il detto “un contratto è sempre meglio di nessun contratto”. E un rinnovo, più o meno tempestivo, è sempre meglio di una vertenza che non si chiude mai.
Dunque, per l’oste della Fai, il vino è buono. Anche perché, dice la coppia Risso-Sbarra (li citiamo in ordine alfabetico), si tratta di un rinnovo che “premia l’impostazione della Fai” ed esprime “un impianto complessivo fortemente voluto dalla Fai-Cisl”. Più o meno, sembra che l’abbiano scritto direttamente loro due (o forse uno dettava e l’altro scriveva). Diciamo allora che se questo accordo ha quattro genitori, cioè tre sindacati e una parte datoriale, la Fai rivendica di essere il “genitore uno”.
E gli altri?
Ovviamente, tutti sono contenti, come quando il parto è un po’ lungo ma il bambino assomiglia per quailcuno al papà, per qualcuno alla mamma (o al genitore uno, o al genitore due, o magari al genitore 2 del genitore 1 …). Ma i giudizi non sono tutti uguali.
Ad esempio, la parte datoriale è moderatamente contenta, pur potendo elencare risultati che, dal suo punto di vista, non sono di poco conto, come “nessuna deviazione dal Jobs Act” e “moratoria di un anno sulla contrattazione aziendale” (anche questa moratoria è un “grande risultato” per la Fai?). E però, avvertono le imprese, ora si cambia; il prossimo contratto nazionale dovrà essere fatto con le nuove regole. Il tono è da ultimatum, ma non c’è da spaventarsi; con una durata di quattro anni (un altro risultato più a favore delle imprese che dei lavoratori) ci sarà tempo per riparlarne con calma.
Quanto alla Uila, la reazione è misurata, e senza patriottismi di organizzazione. Per Stefano Mantegazza “da questo negoziato esce rafforzata l’unità e il consenso già forte che Fai-Flai-Uila hanno all’interno delle aziende e nel paese”, e sul piano salariale si confermano “le scelte contenute nel documento appena approvato da Cgil-Cisl-Uil”. Più unitari di così, è impossibile.
Ed anche la Flai parla, come da tradizione, in termini unitari. Sorvolando su una questioncella da nulla come il Jobs Act, Stefania Crogi annuncia solenne che “vince il contratto, vincono i diritti”, per sottolineare in conclusione che il contratto firmato “recepisce lo spirito e le linee contenute nella proposta di nuovo modello contrattuale avanzata nelle scorse settimane da Cgil, Cisl e Uil”.
Per chi non se lo ricordasse, il documento unitario di cui si parla è quello che ha disseppellito il cadavere dell’attuazione dell’articolo 39 della Costituzione. Per il quale, appunto, i contratti devono essere stipulati unitariamente dai sindacati “in proporzione dei loro iscritti”, per poi essere efficaci per tutti, iscritti e non iscritti.
Lungi dall’essere un “falso nodo”, come dice un titoletto bugiardo delle tesi congressuali della Fai, l’articolo 39 sarà quindi il vero nodo del futuro immediato: perché le imprese vogliono “nuove regole”, e i sindacati, anche se Risso e Sbarra sventolano la bandierina della Fai, sono già in un’ottica unitaria che sembra preparare l’articolo 39. Attenzione, non unità non dal basso, fra i lavoratori, e tutto sommato neppure dall’alto, fra le organizzazioni, ma unità dall’esterno, garantita e regolata per legge. Per cui i sindacati sono liberi di sventolare la bandierina della loro organizzazione, come fa la coppia Risso-Sbarra, tanto sono destinati a finire nell’unico insaccato trentanovista.
In questo senso, il rinnovo degli alimentaristi suona un po’ come una prova generale di attuazione dell’articolo 39. il che giustifica ampiamente la soddisfazione di Flai e Uila, non certo quella della Fai.