Libertà di parola: il rischio dell’oligarchia

 Da Luigi Viggiano, il pensionato di Savona che ormai è uno dei più assidui contributori di questo blog, riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo ricco di spunti di riflessione. E con una conclusione sull’autonomia delle federazioni che a noi piace particolarmente.

OGNI ASSOCIAZIONE DEMOCRATICA E’ PREDESTINATA ALL’OLIGARCHIA A MENO CHE…….

Dopo il secondo conflitto mondiale la Democrazia è diventata una parola magica, un titolo di rispettabilità al quale nessuno Stato vuole e può rinunciare, poiché definisce il solo regime politico che può presentarsi come l’organizzazione di un potere disinteressato, in cui i governanti possono sempre dire di servire il popolo. Nonostante ciò, la democrazia non sfugge alla ‘ferrea legge’ di oligarchie di potere che si formano a dispetto dell’ideale di autogoverno del popolo. In questo sta la sua difficoltà: il rischio di essere il regime dell’inganno e della dissimulazione. Più realisticamente, dunque, la democrazia si riduce ad un lavorio continuo di distruzione delle oligarchie, con la precisa consapevolezza che a un’oligarchia distrutta subito seguirà la formazione di un’altra.
Da una Lectio Magistralis del prof. Gustavo Zagrebelsky

Abbiamo riportato queste sagge e autorevoli parole del prof. Gustavo Zagrebelsky perchè leggendolo abbiamo scoperto la teoria nota come ”La legge ferrea dell’oligarchia”, formulata nel 1911 dal politologo tedesco Robert Michels con la quale teorizzava che tutti i partiti/sindacati* si evolvono da una struttura democratica aperta alla base, in una struttura dominata da una oligarchia ovvero da un numero ristretto di dirigenti. Questo deriva dalla necessità di specializzazione, la quale fa sì che un partito/sindacato si strutturi in modo burocratico, creando dei capi sempre più svincolati dal controllo dei militanti/iscritti. Con il tempo, chi occupa cariche dirigenziali si “imborghesisce”, allontanandosi dalla bas, diventando così una élite compatta dotata di spirito di corpo. Nello stesso tempo, il partito/sindacato tende a moderare i propri fini: l’obiettivo fondamentale diventa la sopravvivenza dell’organizzazione, e non la realizzazione del suo programma.
Michels fornisce quattro prove a sostegno della sua tesi:
La democrazia non è concepibile senza una qualche organizzazione.
L’organizzazione genera una solida struttura di potere che finisce per dividere qualsiasi partito o sindacato in una minoranza che ha il compito di dirigere e una maggioranza diretta dalla prima.
Lo sviluppo di un’organizzazione produce burocratizzazione e centralizzazione, che creano una leadership stabile, che col tempo si trasforma in una casta chiusa e inamovibile.
L’insorgenza dell’oligarchia deriva anche da fattori psicologici, in particolare la “naturale sete di potere” di chi fa politica/sindacato e il “bisogno” delle persone di essere comandate

“La legge dell’oligarchia”: quando il partito/sindacato fallisce.
Di fronte a questa domanda, la risposta più semplice sarebbe quella di dire che un Partito/sindacato fallisce quando perde adesioni. Invece, i motivi per cui un partito/sindacato scompare sono molto più complessi e si sviluppano in varie fasi. Partendo dal presupposto che un partito/sindacato non durerà mai in eterno e che raggiungerà sempre delle circostanze che lo porteranno inesorabilmente a “morire”.
Questa visione di Michels, che avvenne dopo aver osservato la Spd tra fine ottocento ed inizio novecento, lo portò ad rilevare che un partito/sindacato, quando nasce, si deve sempre proporre come qualcosa di rivoluzionario o di rottura, che porti ad un cambiamento radicale nella società. L’ annuncio di cambiamento dovrà convincere gli iscritti che la loro adesione sia utile e che porta benefici per ognuno. Ma dopo l’adesione la legge prevede che il partito/sindacato, inesorabilmente, con lo scorrere del tempo, si “imborghesirà” e  non penserà più a mettere in pratica il programma od a mantenere un rapporto con gli iscritti. In poche parole, la necessità di specializzazione porterà il partito/sindacato a strutturarsi in modo burocratico, creando dei capi sempre più svincolati dal controllo della base. Col tempo, chi occupa cariche dirigenziali si “imborghesisce” e si allontana “dalla base”, per diventare una élite compatta dotata dello spirito di un nuovo corpo all’interno di uno vecchio. Nello stesso tempo, il partito/sindacato tenderà a moderare i propri fini: l’obiettivo fondamentale diventerà la sopravvivenza dell’organizzazione e non la realizzazione del suo programma!!!!
In effetti non si può negare che i sindacati italiani tutti, negli ultimi 5 lustri hanno subito un enorme ed impressionante trasformazione: sono nati come associazione di lavoratori di singole categorie (vecchie società di mutuo soccorso) per poi arrivare ad associazioni di massa, in cui i sindacalisti sono persone che svolgono questa attività come un lavoro a tempo pieno e come i partiti, si sono strutturati secondo la logica della sezione con l’obiettivo di ampliare al massimo il numero degli iscritti con l’obiettivo di sopravvivere dal punto di vista finanziario attraverso le quote versate dagli iscritti. Il prevalere degli interessi economici e della sopravvivenza del partito/sindacato portano l’élite di questo a dotarsi di alcuni mezzi per proteggersi come: i giornali, libri e un forte incremento del numero dei dirigenti con la conseguenza letale di dimenticarsi della base.
Michels, riguardo a quest’ultime cose, scrisse:
“Quanto più si estende e si ramifica l’apparato ufficiale del sindacato, tanto più si riduce il potere popolare sostituito dall’onnipotenza dei comitati e delle commissioni”.
L’ampliamento dell’oligarchia tende poi a trasformare il modo di pensare stesso dei dirigenti: chi occupa cariche di rilievo si “imborghesisce” e si allontana dalla massa dei lavoratori. Gli ex/neo lavoratori, cioè i funzionari stipendiati dal partito/sindacato, si approprieranno di una routine che li farà ascendere sempre più al di sopra dei loro “mandanti”, così che infine perdono il senso di comunità con la classe che li ha espressi; ne deriva una “nuova classe” all’interno del sindacato stesso.
La gerarchia, la strutturazione e l’imborghesimento all’interno dei sindacati, sono continuati fino ad oggi. Quale dei nostri sindacati non ha le caratteristiche elencate? Ognuno si è dotato di un coordinamento interno parallelo alle forme di governo presenti in Italia (coordinamento nazionale, regionale, provinciale, comunale…) che a sua volta si divide i compiti in base a determinati sotto incarichi (responsabile regionale dell’economia, responsabile nazionale del welfare, etc).
I modi con cui si cerca di tenere attivi i militanti ed i propri iscritti possono essere diversi. Si può partire dalle iniziative che coinvolgono tutti gli iscritti per giungere a delle consultazioni su alcune decisioni che il sindacato a breve deve compiere. Questi stratagemmi possono funzionare o meno, ma il problema con cui i sindacati si devono confrontare oggi resta quello del calo degli iscritti e della sempre maggiore dipendenza dai finanziamenti pubblici.
Finora la teoria di Michels ha trovato un notevolissimo riscontro (ricordiamo che fu formulata nel 1911) e la deriva oligarchica sembrerebbe ineluttabile a meno che, aggiungiamo noi, non si eliminano o limitino al massimo le cause degenerative fissando delle regole stringenti sulle modalità di ricoprire incarichi di dirigente per un numero di volte e anni ben definito ed inderogabili; per esempio non più di due mandati nell’arco della vita sindacale e non più di uno nello stesso livello; un limite all’età, per i lavoratori attivi che possono candidarsi a ricoprire cariche sindacali questo per rimanere ancorati alle esigenze dei lavoratori attivi; garantire sempre e comunque autonomia delle federazioni come avviene nell’unione sindacale tedesca.
Savona, 19 novembre 2015
Luigi Viggiano
*Sindacati è stato aggiunto da noi per la notevole affinità con i partiti

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