Entro cinquantasei giorni/Gli scocciatori

In attesa che la giudice del tribunale di Roma decida la causa intentata da “Sbarra and friends” contro il signor Giovanni Graziani (e non contro questo blog, cosa che ci rende tecnicamente estranei al giudizio, pur se umanamente e politicamente solidali con il convenuto) vi aiutiamo a ingannare l’attesa riepilogando alcuni passaggi della vicenda. Che presenta più di una bizzarria. A comincire dai tempi.

Come mai passano più di quattro anni dalla lettera dell’avvocato (mandanti Sbarra e Furlan) che minaccia iniziative giudiziarie fino alla procura alle liti che segna l’atto con cui la troika Sbarra-Furlan-Ragazzini prende l’iniziativa di promuovere la causa? E perché passano altri venti mesi venti mesi prima che l’avvocato incaricato invii l’atto di citazione, che dà avvio al procedimento? E che conseguenze ha il fatto che la citazione abbia la data del 3 marzo 2021, cioè esattamente il giorno in cui la signora Anna Maria lascia la poltrona al dottor Sbarra dell’Anas?

Ma andiamo con ordine.

Come abbiamo raccontato subito sul blog, pubblicando subito i documenti, nel maggio 2015 l’avvocato Maurilio D’Angelo scriveva al signor Giovanni Graziani per diffidarlo da scrivere su questo blog quello che nessuno aveva ancora scritto ma qualcuno avrebbe potuto scrivere, “dovendo in caso contrario procedere nell’adempimento del mandato conferitomi”. L’avvocato avvertiva così di avere un mandato per fare causa, quindi era come se dicesse ‘attento a quello che scrivono sul blog sennò ne chiediamo conto a te’.

Ripetiamo che la lettera non faceva riferimento a fatti o cose che erano state scritte, ma attribuiva ex ante al destinatario l’intenzione di diffamare. Il che non è serio. E infatti la risposta del signor Giovanni Graziani fu, detto in altre parole, ‘non mi scocciate più, tu e i tuoi mandanti’. E infatti l’avvocato, per un po’ non ha più scocciato pur avendo avuto il mandato a farlo.

Intanto noi, fra le tante storie che abbiamo raccontato, ci siamo occupati anche dell’uso cialtronesco di strumenti di agibilità sindacale fatto dall’allora segretario generale della Usr Calabria, assunto dall’Anas senza doverci lavorare; ma non abbiamo mai scritto che, così facendo, il dottor Sbarra veniva ad avere una posizione che poteva essere utile a gonfiare la pensione come fatto da altri; perché noi siamo persone serie e non accusiamo qualcuno per qualcosa che potrebbe fare ma non ha ancora fatto (e non è detto che lo voglia fare o che mai lo farà). A differenza dell’avvocato D’Angelo e dei suoi mandanti.

È solo il 28 giugno 2019 che la troika Furlan-Sbarra-Ragazzini manifesta l’intenzione di tornare a scocciare il signor Graziani, firmando la procura alle liti per promuovere la causa che era stata minacciata quattro anni prima. Solo che non è per niente facile promuovere una causa contro un signore perché un blog ha scritto cose sgradite a Via Po 21 ma tutte vere e documentate. E così l’avvocato D’Angelo impiega venti mesi a scrivere una citazione di una ventina di pagine (più o meno una al mese). E la deposita, dando via al procedimento, il 3 marzo 2021. La stessa data in cui lascia il posto a Via Po 21 la signora Anna Maria. La quale ha firmato la procura alle liti venti mesi prima come segretario generale in carica della Cisl. Ma allora la sua firma aveva ancora valore? O forse bisognava andare a vedere se il deposito dell’atto era avvenuto in un orario anteriore all’accettazione delle dimissioni?

Ad ogni modo la questione si risolve da sola. perché l’avvocato degli scocciatori, avendo fatto passare venti mesi a girarsi le carte fra le mani cercando di farsi venire un’idea, alla fine ha avuto quella sbagliata. Ed ha citato in giudizio il signor Giovanni Graziani per cose scritte nel 2020. Cioè dopo il conferimento della procura alle liti, che è del 2019. Come la lettera scocciatrice minacciava iniziative giudiziarie per cose ancora da scrivere, così l’atto di citazione lamentava cose scritte dopo che la procura alle liti era stata firmata. Solo che una procura per il futuro non vale.

Ma perché fare due volte lo stesso errore? Escludendo che l’avvocato possa non conoscere la procedura (tempus regit actum, pare si dica così), resta una sola ipotesi plausibile: quando una causa è fatta non per chiedere giustizia, ma per scocciare, anche i migliori avvocati (che nel frattempo avranno avuto cose più serie a cui pensare) si scordano delle più banali regole procedurali.

Tanto l’importante è rompere le scatole su mandato di un gruppo di anziani scocciatori.

Condividi il Post

Commenti