Se al Bentivogli Marco almeno un referendum su due è andato bene, la signora Anna Maria è più sfortunella.
Assieme ai suoi due colleghi pari grado, quella proletaria sottopagata della Camusso e il crocierista suo malgrado Barbagallo, lei ci aveva messo la faccia per arrivare all’accordo al ministero nella vertenza Almaviva poi firmato dalle federazioni di categoria. Ma alla fine il voto è stato un no, un po’ come le è successo nel referendum costituzionale, o la notte dell’Ergife al congresso della Fai 2014 (a proposito, ma la fusione con la Filca per fare la quale avete commissariato la Fai, poi l’avete fatta?)
Per le Rsu Almaviva (quelle di Roma, mentre a Napoli hanno detto sì) quando il salario è già minimo se non sotto al minimo, meglio rischiare di doversi accontentare dell’indennità di disoccupazione che lavorare senza un compenso serio, senza un salario che sia il riconoscimento, anche economico, del valore di quel che fai. Del resto, la Costituzione dice qualcosa di simile (articolo 36 – Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa).
Giusta o sbagliata che sia, questa posizione dei lavoratori e delle tante lavoratrici (non lo scriviamo per essere “genericamente” corretti, ma perché è così) Almaviva di Roma non va sottovalutata. Un lavoro che vale poco e un sindacato che non riesce a dargli valore economico e sociale, alla fine non vengono accettati più né l’uno né l’altro. Meglio la disoccupazione, meglio fare da soli. E il trucco di aggirare il problema del consenso dei lavoratori trattando con i vertici confederali non funziona più.
Perché il call center è un caso limite, ma neanche tanto; e se non si inverte la tendenza se si continua a non migliorare la condizione di chi lavora e ad affidare alla deflazione (o a uno strumento ambiguo come il welfare aziendale, foss’anche in partnership col prestigioso gruppo Favaretto) la tutela del salario reale, e se la rappresentanza sindacale è costruita in termini di gerarchia invece che di autonomia e di competenza (diremmo di prossimità, se la parola non fosse stata contaminata da un uso sbagliato che ne è stato fatto), allora il caso limite Almaviva potrebbe diventare la metafora di un destino che incombe.
E non basterà, come forse pensa qualcuno e come Dario Di Vico ha scritto, sostituire gli attuali vertici confederali con i metalmeccanici (quelli capaci di vincere il referendum sul loro contratto). Qui non si tratta di cambiare i vertici (il trasformismo lascia le cose come stanno, come visto nel passaggio Bonanni-Furlan), si tratta di ricostruire alla base. Dove non basta chiedere un sì al contratto, che qualche volta diventa no, si tratta di ritrovare il filo di un discorso, quello del sindacato come strumento di promozione del lavoro e del suo valore anche economico, che è stato interrotto da parecchio tempo.
Tutto sacrosantamente vero e oserei dire ovvie, se i dirigenti CISL fossero delle persone NORMALI ma purtroppo sono ECCEZIUNAL’ VERAMENTE nell’accezione piu’ negativa possibile del termine altrimenti avrebbero capito che prima di proporre certi accordi da fame avrebbero dovuto potare abbondantemente i propri supe rstipendi. Con quale faccia osano proporre simili accordi? Vergogna, vergogna, vergogna ecco cosa dovrebbero provare ma non accadrà mai perché bisognerebbe avere il senso dell’onore cosa a loro sconosciuto.
IL VISIONARIO