Contrattazione e reddito di base: Luigi Viggiano rilancia

Il nostro amico Luigi Viggiano ci manda un nuovo contributo su tema, a lui carol del reddito di base. E noi volemtieri lo ospitiamo.

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PARTE DELLA RICCHEZZA PRODOTTA DAI ROBOT VA DATA AI CITTADINI COME REDDITO BASE
Un reddito di base garantirebbe tutti i poveri con costi amministrativi limitati perché eliminerebbe tutti i controlli con annessi i brogli per verificare l’esistenza dei requisiti

Quando Bentivogli dice che “si deve puntare su nuovi diritti per rispondere alle esigenze dei lavoratori e anticipare i cambiamenti perché l’assenza di novità sostanziali favorirebbe il declino delle relazioni industriali”, centra il problema mettendo a fuoco quello che una confederazione avveduta (lui compreso) avrebbe dovuto prevedere ed affrontare già da tempo. Almeno da quando la politica si è messa al servizio dei tecnici europei regalando loro il governo del Paese e fondendosi in una entità indefinita e indefinibile che pensa a vivere il presente, arraffando in ogni dove.
Pur apprezzando quanto fatto dal sindacato per la formazione dico che non si può usare una simile foglia di fico per giustificare la contrattazione nazionale perché perdente in partenza. Questa pietra filosofale che si continua ad invocare per trasformare tutte “le crisi aziendali in nuove opportunità di lavoro meglio qualificate” in verità, stante alle esperienze vissute nella mia realtà savonese, penso: all’Acna, alla Ferrania, alla Piaggio, alla stessa centrale Enel di Vado ed oggi anche alla Bombardier, tanto per citare solo le maggiori ma a seguire si è sgretolato tutto l’apparato produttivo a cui queste facevano da traino. Ebbene tutte hanno seguito lo stesso copione: si partiva per riconvertire le attività produttive e nel giro di qualche anno si chiudevano le saracinesche definitivamente; altro che riconversione sono servite a desertificare il territorio dal lavoro cosa che a quanto mi risulta e successo il larga parte dell’Italia. Altro mito da sfatare è l’alternanza scuola lavoro, perché chi si affanna a proporla dovrebbe spiegare con dati certificati quanta gente ne ha tratto beneficio ricollocandosi. Proporre di perseguire questi obiettivi significa continuare a prendere in giro i lavoratori perché sono gli unici ad essere certi di non trarne vantaggio, diversamente dalle società di formazione che ad ogni occasione spuntano come funghi. In quanto poi al “rafforzamento del welfare, e suoi annessi e connessi necessari: per dare sicurezza soprattutto ai giovani quale soluzione può essere migliore del reddito di cittadinanza? Perché lo si osteggia? A chi nuoce? Ai lavoratori no di certo. Per evitare distorsioni o accantonamenti si potrebbe dare sotto forma di moneta elettronica che si svaluta nel tempo; per esempio entro tre mesi si riduce a zero. Questo obbligherebbe i beneficiati a spenderla al più presto sostenendo i consumi: l’altra moneta, guadagnata col lavoro, per chi ha la fortuna di averlo ancora continuerebbe ad essere usata come sempre. Non vi pare che questo risponderebbe proprio a quella che Marco chiama “piena assunzione della dimensione umana nella realtà del lavoro”. Sul timore poi che il reddito di cittadinanza renderebbe residuale la contrattazione nazionale come è avvenuto in Germania non mi risulta che i lavoratori tedeschi si siano lamentati come pure i sindacati visto che l’hanno accettato; ma allora il problema quale è? Che non risponde all’interesse dei lavoratori o della confederazione? Non parliamo poi del fatto che secondo Bentivogli il reddito di cittadinanza impedirebbe ”il dispiegarsi dell’impegno per il miglioramento dei processi produttivi delle aziende” Non è vero per il semplice motivo che le aziende lo dispiegano eccome ma non per avere più operai ma per ridurli sostituendoli con le macchine cosa dimostrata molto efficacemente dalla trasmissione “presa diretta” del 5 settembre scorso. Ecco perché ritengo che il modello tedesco vada introdotto anche in Italia. Perché, come propone l’ex Ministro del lavoro e delle politiche sociali Saccone, “non dare alla contrattazione aziendale la possibilità di derogare dalla legge e dal contratto nazionale come previsto dell’articolo otto del decreto 2011 che finora è stato usato senza nominarlo solo in chiave difensiva per salvare le aziende in crisi”. Si potrebbe usare in fase espansiva per migliorare la produttività estendendo il campo di applicazione ai contratti individuali purché certificati. Permettere che una percentuale del salario del contratto nazionale venga rinegoziato a livello aziendale in questo modo sarebbe trasformato in premio e per questo tassato molto meno 10% invece che 38% altrimenti quello che fa in più il lavoratore invece che premiato dal fisco verrebbe punito. Restando su questo aspetto si potrebbe aumentare la quota tassabile al 10% che oggi è ferma a 2000 euro.
Il pericolo che spaventa la confederazione è che la proposta delle aziende sulla contrattazione aziendale prevalga su quella nazionale rendendola marginale; ma non è così perché il contratto nazionale continuerebbe a vivere nelle parti comuni a tutti i lavoratori.
Invito pertanto chi legge a non lasciarsi travisare dai no preconfezionati e ad approfondire la questione, io stesso all’inizio lo ritenevo farlocco ed impossibile ma poi approfondendone la conoscenza e le argomentazioni ho dovuto ricredermi perché, potrà piacere o meno ma il futuro prossimo ce lo porterà con o senza il nostro volere. Un ulteriore segnale che si va in quella direzione arriva dalla sperimentazione che ha messo in campo non un ente pubblico ma uno dei più importanti acceleratori di startup del mondo. Si tratta di un fondo d’investimento che negli ultimi 10 anni ha lanciato startup per quasi 65 miliardi di dollari di capitalizzazione. Che negli ultimi 2 anni ha avviato una ricerca sperimentale sul reddito di cittadinanza. Il primo progetto pilota è già in atto a Oakland in California. Questo esempio acquista una particolare importanza per la realtà in cui si realizza, ricca di imprese tecnologiche quale è la silicon Valley dove per primi hanno dovuto prendere atto: che la tecnologia elimina più posti di lavoro di quelli che crea; il lavoro è meno sicuro; le persone che anche col lavoro fanno fatica a vivere sono in continuo aumento. Sono queste le motivazioni che hanno spinto a sperimentare una nuova rete di sicurezza. La novità di questa sperimentazione, che dovrebbe farci riflettere, è che sia proprio il mondo delle imprese a spingere per la diffusione del reddito di cittadinanza, perché hanno preso coscienza dell’impatto sul mercato del lavoro e sulla società di due fenomeni che alla Silicon Valley si riconducono direttamente: l’intelligenza artificiale e i nuovi monopoli digitali (o monopoli algoritmici), fenomeni che stanno spiazzando milioni di posti di lavoro in America e fuori. E vogliono trovare il modo di mitigare le ricadute sociali, evitando di creare freni allo sviluppo della loro industria. Di fatto in California si comincia a credere che possa esistere un mercato senza lavoro. Insomma, si comincia a credere che possa esistere un capitalismo in cui porzioni sempre più vaste della popolazione non partecipano più alla produzione di valore tramite il loro lavoro. Lo fanno, al massimo, come consumatori attivi, che acquistano servizi e producono, in cambio, grandi masse di dati da cui le grandi aziende del web estraggono valore.
Il reddito di cittadinanza di oggi possiamo vederlo come la naturale evoluzione del Fordismo per il quale era essenziale che il salario degli operai fosse tale da permettersi di comprare quello che producevano. Oggi il lavoro vale sempre meno, e il valore si crea: dalle rendite finanziarie, dagli algoritmi, dallo sfruttamento di grande masse di dati ecc. Si sostiene che i lavori che scompaiono vengono sostituiti da altri però con la novità che gli androidi (intelligenze artificiali) sostituiscono anche mansioni di concetto lasciando agli uomini lavori meramente esecutivi. Un esempio che rende l’idea in tal senso lo abbiamo da Amazon, dove gli algoritmi consigliano ai clienti quali libri comprare e gli uomini li consegnano come fattorini. In conclusione ribadisco il concetto con cui ho aperto: un reddito di base permetterebbe di aiutare tutti i poveri con costi amministrativi limitati (nonsarebbe necessario infatti controllare che esistano i prerequisiti e la dichiarazione sia onesta) e soprattutto non introdurrebbe incentivi perversi (tipo non lavoro perché altrimenti perdo il reddito) come avviene con altre prestazioni sociali.

S a v o n a, 12 Settembre 2016

L u i g i    V i g g i a n o
F N  P       S A V O N A

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