Dall’unità sindacale all’oligopolio

Dal signor Giovanni Graziani riceviamo, e volentieri pubblichiamo, questo contributo che interviene nel dibattito sull’accordo del gennaio scorso di riforma delle relazioni industriali.

Un intervento che avete pubblicato  il 2 giugno sull’accordo Cgil-Cisl-Uil esprime il timore che la dirigenza della Cisl, di fronte alle difficoltà di quella che la Civiltà Cattolica ha definito “la notte del sindacato”, possa cercare un “comodo rifugio nell’illusione di un rilancio di una nuova stagione unitaria, dimenticando i connotati di una propria ed originale identità“.

Il timore mi sembra fondato. Anzi, mi sembra che la realtà sia ancor più preoccupante, e che si stia determinando una situazione schizofrenica, con una dirigenza Cisl i cui fatti sono dimentichi della propria identità mentre le parole sono sempre più (apparentemente) identitarie. E la prova viene dal fatto che chi firma l’accordo con l’apertura all’attuazione dell’articolo 39 (che vuol dire unità della rappresentanza per legge) è, allo stesso tempo, il primo a riempirsi la bocca dei richiami alla storia della Cisl di Pastore e alle idee di Romani. Una storia e delle idee che così diventano sempre più una bandiera da sventolare nei giorni di festa per tenere alto il morale delle truppe, ma da lasciare in naftalina quando poi si tratta di affrontare problemi concreti in cui entrano in gioco le idee che esprimono quella identità storica.

Questa situazione non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella degli anni ’70, quando la Cisl era divisa fra i fautori dell’unità, con la Fim in prima linea, e i contrari, raccolti attorno alla Fisba. Quell’unità, che i fautori immaginavano potesse essere rifondata dal basso dopo il fallimento di quella calata dall’alto negli anni del dopoguerra, poi non si fece. Qualcuno ne fu contento, qualcun altro se ne rammarica ancora oggi. Ma su quell’idea si era creato uno scontro ideale di alto livello (oltre a qualche qualche scontro fisico di livello più materiale) che rimane una preziosa eredità, in qualche modo condivisa sia dagli uni che dagli altri pur nella diversità dei giudizi. Perché ognuno fu chiamato a motivare le proprie scelte in modo forte, a dare il meglio di sé in quella polemica.

Invece oggi il disegno che viene avanti, già con gli accordi sedicenti “storici” sulla rappresentanza degli anni scorsi ed ora con questo sul modello di relazioni industriali (in assoluta continuità fra l’era Bonanni e l’era Furlan), è quello dell’accordo di cartello, dell’oligopolio sulla rappresentanza, della spartizione fra pochi chiamati a controllare “l’offerta sindacale” sul “mercato della rappresentanza”. Quindi di un’unità di fatto da costruire tenendo in piedi l’apparenza delle diverse sigle sindacali (o del brand, come dicono alcuni) e gli apparati ad esse connessi, svuotandole del significato della loro pluralità.

Nel momento in cui si perde rappresentatività, cioè la capacità di effettiva e incisiva rappresentanza, ci si coalizza per gestire assieme e in maniera esclusiva le risorse, di potere ed economiche, legate allo svolgimento della funzione sindacale. Una tendenza che coincide con l’interesse delle parti datoriali, perché la Confindustria ha problemi di rappresentatività non meno seri, e può coincidere con l’interesse del governo (di quello in carica, ma un po’ di tutti i governi) ad imporre una riforma che corporativizzi i processi negoziali collettivi e dia al sindacato oligopolista una funzione di collaborazione alla destrutturazione del sistema di tutele, legali e collettive, più che di tutela/autotutela dei lavoratori.

E per fare questo, il trucco è quello che un professore francese, Alain Supiot, ha chiamato “gouvernance par le nombres“, cioè sostituire al problema reale che si ha di fronte una sua rappresentazione numerica, e concentrarsi sui numeri invece che sulla realtà.

I sindacati sono meno rappresentativi, meno capaci di elaborare soluzioni e di ottenerne la realizzazione a tutela dei lavoratori? Si fa una regola per stabilire le soglie di rappresentatività. Cioè si dà una risposta aritmetica ad un problema politico, che non è calcolabile né esprimibile in numeri. E se poi i tre sindacati storici mettono da parte le differenze, cioè l’elemento che in democrazia è necessario al confronto, ed agiscono assieme, ecco che la loro rappresentatività numerica complessiva è assicurata contro il rischio di contestazioni, esterne ed interne. I tre si coalizzano per escludere altri, non perché uniti dalla stessa idea, o perché rifondati dal basso fra i lavoratori nelle aziende, come si credeva negli anni ’70. E gli esclusi dall’accordo di cartello sono sia le altre organizzazioni, quasi che i loro iscritti fossero solo per questo lavoratori di serie B, sia chi, all’interno delle organizzazioni di serie A, non rispetta la disciplina dall’alto. Come è capitato alla Fai commissariata, cui viene negato il diritto di seguire una propria linea di politica organizzativa.

A quel punto, messi al riparo dal rischio della concorrenza e dal dissenso interno, i tre del cartello oligopolista si possono spartire i benefici politici (il ruolo di rappresentanza sociale e del lavoro, almeno quando il governo te lo riconosce) ed economici (ad esempio, gli enti bilaterali e i fondi contrattuali chiedono più unità, anche al tavolo contrattuale, che differenziazioni), le imprese hanno una controparte priva di aggressività (perché se tira la corda ha paura di rompere il giocattolo) e il governo può muovere le leve del potere, concedendo o negando risorse a seconda degli obiettivi da raggiungere.

Ecco perché oggi si sente la mancanza della Cisl. Ed ecco perché anche le parole di Fausto Scandola (“dare la disdetta non serve a niente”) non possono essere prese come un invito a non far niente ed accettare come inevitabile la china oligopolista ben più che unitaria su cui si muove l’attuale dirigenza.

Perché Scandola poi continuava dicendo che “bisogna combattere”. Mentre restare nella Cisl a testa bassa, maledicendo il destino ma accettando per fedeltà alla storia passata uno stato di cose presente che con quella storia ha sempre meno a che fare, sarebbe la cosa peggiore.

Perché c’è un momento nella vita delle organizzazioni, ed è questo, in cui bisogna saper distinguere fra la fedeltà alla bandiera e la fedeltà a ciò che la bandiera significa. Perché l’attuazione dell’articolo 39, o comunque agire in maniera oligopolista come se l’attuazione fosse già avvenuta, lascerebbe a ciascuna organizzazione le sue bandierine colorate da sventolare come allo stadio, ma cancellerebbe la possibilità di esercitare la libertà di azione e di organizzazione sindacale.

E la democrazia di questo paese perderebbe un altro pezzo, uno dei suoi principi dinamici più importanti, quello della libera dialettica fra organizzazioni, per ripiegare su soluzioni sostanzialmente corporative. Qualcosa di vecchio, di inutile, di dannoso.

Grazie dell’ospitalità, e avanti così

Giovanni Graziani

 

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2 Commenti - Scrivi un commento

  1. Ferrarotti Agostino · Edit

    Buonasera, signor anonimo del piano di sopra ( scusi del post di sopra) io non la conosco in quanto Lei è anonimo e non ha il coraggio di firmarsi, ma non so per quale motivo le sue parole mi hanno messo di cattivo umore. La sua battuta non so a che cosa si riferisca e poco mi interessa, ma nel suo tono trovo arroganza e spirito di superiorità. Forse i temi trattati sono a Lei indifferenti, i contenuti riportati in questo sito la disturbano o la offendono o forse nulla di tutto questo, le sono solo antipatiche le persone che lo frequentano o che lo animano. La CISL sta attraversando una situazione drammatica dal punto di vista della democrazia interna, dove i tribunali dell’inquisizione confederale colpiscono gli avversari che non si allineano al sistema, dove le federazioni vengono sistematicamente occupate da dirigenti favorevoli al volere di chi comanda , dove non esiste più la discussione democratica. Immagino naturalmente che per Lei queste cose non esistono, non sono vere, ma chi frequenta questo sito ha a cuore il destino della vera CISL e quindi discute, propone, critica, denuncia e non spara parole a vanvera. Come vede io mi firmo ….!!!!!!!!!!!!! cominci a farlo anche LEI oppure resti anonimo , ma abbia il coraggio di confrontarsi su temi veri e concreti, accettando anche chi la pensa diversamente. Saluti
    Ferrarotti Agostino iscritto CISL FP

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