Questo contributo torna a riflettere sui problemi aperti dall’accordo fra le tre centrali confederali a gennaio. Che viene approvato all’unanimità ma poi si scopre che non piace a tutti; che a parole decentra e di fatto accentra la contrattazione; che dice no alla legge sul salario minimo e poi accetta il principio dell’attuazione dell’articolo 39 che comporterebbe un’intrusione ben più massiccia del legislatore nell’autonomia organizzativa e contrattuale dei sindacati. E altro ancora che non vi anticipiamo lasciandovi alla lettura integrale di un testo che ci piacerebbe fosse seguito da altri contributi.
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L’ACCORDO CGIL-CISL-UIL SULLA RIFORMA DEI MODELLI
CONTRATTUALI: ALCUNI ELEMENTI DI CRITICITA’
In casa Cisl si è salutato con grande entusiasmo l’accordo sulla riforma dei modelli contrattuali approvato dagli esecutivi confederali di Cgil-Cisl-Uil nel gennaio scorso.
Il segretario nazionale Petteni che ha condotto la trattativa per conto della Cisl ha parlato di svolta nelle relazioni sindacali interne, viatico fondamentale per un dialogo, a suo dire, costruttivo con le controparti datoriali a partire da Confindustria.
Invero, qualche voce fuori dal coro c’è stata anche se non ha trovato “evidenza politica”, tant’è che l’approvazione dell’accordo da parte dei tre esecutivi è avvenuta all’unanimità.
Eppure in casa Fim, il segretario generale Bentivogli ha sollevato più di una perplessità, che vogliamo riprendere in quanto condivisibile, anche se a Bentivogli in premessa vorremmo chiedere “dell’assenza politica” del suo dissenso, non è infatti la prima volta che la Fim esce dal coro del generale consenso senza che lo stesso diventi “atto politico” riscontrabile dalla votazione dei documenti (vedasi approvazione del regolamento economico Cisl dell’estate scorsa). Timori di isolamento? Forse si, a questo proposito basta ricordare la veemente e decisamente fuori luogo, sia nella forma che nei contenuti, reazione dell’allora commissario (oggi segretario generale) della Fai nazionale Sbarra alle considerazioni critiche fatte dal segretario Fim di Torino (Toh! ancora la Fim!) sul rinnovo del contratto nazionale dell’industria alimentare.
Ma torniamo al merito delle questioni poste dal numero uno della categoria dei metalmeccanici della Cisl, la prima criticità rileva una contraddizione di non poco conto presente nel citato accordo e cioè il voler caricare di ulteriore peso il ruolo salariale del contratto nazionale e nel contempo puntare sulla contrattazione aziendale e territoriale. Non si può fare centralizzazione e decentramento nello stesso tempo, il rischio è di fare un bel pasticcio dove nei fatti si fa prevalere un livello sull’altro, come è accaduto con il già citato contratto nazionale degli alimentaristi.
La seconda criticità espressa dal nostro Bentivogli riguarda il salario minimo legale che, stante il citato accordo di riforma dei modelli contrattuali, dovrebbe uniformarsi ai minimi stabiliti dai contratti nazionali di categoria. Anche in questo caso la contraddizione è palese, prima si enuncia la contrarietà all’intervento legislativo su materie di competenza delle parti sociali e poi si pretende che l’atto negoziale collettivo ma privato, diventi legge, cioè atto pubblico!?
Aggiungiamo noi una terza criticità riguardante la registrazione pubblica dei soggetti sindacali, in netto contrasto con i principi costitutivi della Cisl, fondata sul libero associazionismo e quindi sull’autogoverno delle categorie di settore. Principi oggi più che mai essenziali per una concreta tutela dei lavoratori e per un reale sviluppo del nostro paese. La contraddizione è ancora evidente anche se non possiamo non osservare che purtroppo è strettamente correlata e conseguente alle prime due criticità.
A questo punto ci domandiamo: Cisl dove sei? Perché questo annebbiamento così invasivo? Un dubbio ci assale: e se l’attuale dirigenza Cisl, nei suoi livelli di massima espressione, in questa fase di oggettiva difficoltà, trovi comodo rifugio nell’illusione di un rilancio di una nuova stagione unitaria, dimenticando i connotati di una propria ed originale identità? Davvero sarebbe un errore, non solo strategico ma anche e soprattutto storico, la mancanza di un vivo corpo intermedio in una società fluida come l’attuale, capace di fare la sua parte, di rilancio di una vera contrattazione aziendale/territoriale legata alla produttività e di soggetto in grado di richiedere il “giusto” alla politica ovvero che la stessa sia all’altezza di svolgere il suo ruolo costruendo le condizioni nelle quali singoli cittadini, famiglie ,corpi intermedi possano esprimersi nella loro piena libertà e responsabilità e non l’esatto opposto dato dalla richiesta di voler istituzionalizzarsi venendo meno al proprio compito associativo, certo rischioso ma libero!