Il signor Giovanni Graziani scrive una lettera aperta al professor Pietro Ichino che volentieri ospitiamo
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Gentile professor Ichino,
Le scrivo in relazione ad una Sua affermazione che è stata recentemente ripresa da uno stimolante articolo della “Civiltà Cattolica” (“La notte del sindacato”, di F. Occhetta”).
«Non soltanto Maurizio Landini, ma anche Susanna Camusso, se vogliono essere onesti fino in fondo, devono riconoscere che dalla metà del secolo scorso è sempre stata la Cisl a compiere la scelta giusta e la Cgil a compiere quella sbagliata a tutti i bivi di fronte ai quali il movimento sindacale si è trovato».
Sarà forse che recenti vicende invitano alla prudenza, ma non so quanto sia il caso di alimentare l’autostima della Cisl (cosa che anch’io posso aver fatto in passato) dicendo che le scelte di questa organizzazione sono state “sempre giuste”. Certo, se la cosa fosse vera, allora si potrebbe forse spiegare il 30% che, a parità di mansioni e di inquadramento, il segretario generale della Cisl guadagna in più rispetto a quello della Cgil (sto alle loro dichiarazioni: Anna Maria Furlan vale 5.200 netti al mese, Susanna Camusso 3.850. Un “premio di risultato”?).
Ma è proprio vero che la Cisl ha “sempre” avuto ragione? Per esempio, sulla scala mobile? Perché è ben vero che negli anni ’80 ha ragione chi accetta la fuoriuscita da quel meccanismo che ormai costava alle imprese ed al paese senza dare, in termini reali, nulla ai lavoratori. Quindi aveva ragione la Cisl di Carniti, ma non solo lei, e torto la Cgil che seguiva il Pci. Ma è anche vero che all’origine del problema c’era quel “punto unico di contingenza” sul quale, nel 1975, a sbagliare erano stati i sindacati tutti assieme, cioè la federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil. E, a dirla tutta, era stata soprattutto la Cisl, Pierre Carniti in testa, a volere quella scelta sbagliata, ben più di Lama e Trentin.
Ma a stimolare una riflessione sono soprattutto gli esempi che Lei fa per dimostrare che è “sempre” stata la Cisl a fare la scelta giusta in tutti i casi citati:
«negli anni Cinquanta quello dello sviluppo della contrattazione aziendale; negli anni Ottanta quello del riconoscimento del part-time, poi quello della riforma della scala-mobile; negli anni Novanta quello del superamento del monopolio statale del collocamento e della introduzione delle agenzie per il lavoro temporaneo; negli anni 2000 quello del passaggio dal vecchio regime della job property per una metà soltanto dei lavoratori a quello della flexsecurity per tutti; ora di nuovo quello dello spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro».
A me sembra che, nel Suo pur sintetico racconto, ci sia una frattura un po’ troppo ampia fra anni cinquanta e ottanta. Fra l’altro, così si salta il tema dello statuto dei lavoratori (sul quale la Cisl ha avuto in quegli anni tre posizioni diverse: prima contraria, poi possibilista, poi, negli anni seguenti l’approvazione, quando quella legge veniva letta come un testo sacro dal sindacato unitario, ha raccontato di essere stata favorevole già da prima. Quale delle tre era stata quella “sempre giusta”?).
Gli esempi fatti, d’altra parte, non sono tutti della stessa natura. Alcuni parlano di una Cisl promotrice di innovazione, altri di una Cisl che condivide scelte preferibili ad altre, altri ancora di una Cisl che si limita ad andare a rimorchio delle idee di altri.
L’esempio della Cisl innovatrice è quello degli anni Cinquanta: quando non si limita ad essere a favore della contrattazione aziendale, ma la propone e la rivendica con forza. E’ lei a mettere gli altri davanti al bivio. E ad avere torto, a prendere la strada sbagliata, non fu tanto la Cgil, quanto la Confindustria, che preferiva avere a che fare con Di Vittorio mobilitatore di masse che con il “sindacato nuovo” di Giulio Pastore e la sua richiesta di entrare nelle fabbriche. Ma si potrebbe aggiungere che la Cisl ebbe ragione a volere (anche per questi motivi) la nascita per legge dell’Intersind, in modo da avere fra i “padroni” un interlocutore interessato all’innovazione. Ancora una volta contro la Confindustria prima ancora che contro la Cgil.
Gli altri esempi che Lei cita dagli anni Ottanta in poi raccontano un’altra storia: idee o proposte che la Cisl ha sostenuto ma non ha prodotto (a parte forse la predeterminazione dei punti di scala mobile). In qualche caso contraddicendo scelte del passato. Ad esempio, era stato Giulio Pastore, da segretario della Cisl eletto in parlamento, a presentare la proposta di legge sul lavoro a tempo determinato che poi diventerà la l. 230/1962, e che sarà superata quando altri decideranno, e la Cisl condividerà, che era ora di avere più flessibilità (o flexsecurity; che, giusta o sbagliata, non è un’idea prodotta né introdotta in Italia dalla Cisl).
Forse, dopo gli anni della crisi, ci sarebbe bisogno di chi ha il coraggio di produrre idee nuove, correndo il rischio di sbagliare come sul “punto unico”, ma non quello di sopravvivere a rimorchio degli altri. Perché un conto è cercare di innovare, e allora anche da un’idea sbagliata, correggendola, ne può nascere una giusta; un conto è farsi trasportare dagli eventi solo perché si crede che in fondo non ci sia alternativa. Nel primo caso, quando si è capaci di proporre alternative al “così va il mondo”, è giusto assegnare meriti e colpe per scelte giuste o sbagliate; nel secondo caso viene solo in mente il detto per cui i pesci che nuotano con la corrente sono i pesci morti.
E allora non sorprende che anche l’articolo di padre Occhetta, che pure cita la Sua interpretazione, accomuni comunque la Cisl e la Cgil nel giudizio sulla “notte del sindacato”.
La ringrazio per la cortese attenzione.
Giovanni Graziani
” I PESCI CHE NUOTANO CON LA CORRENTE SONO I PESCI MORTI” parto da questa espressione usata da Graziani per dire che Il prof. Ichino come buona parte dei suoi colleghi del mondo accademico hanno fondato il loro successo non su proposte veramente innovative ma semplicemente compiacenti per il pensiero dominante; come metafora penso che andrebbe bene quella del serfista che cavalca di volta in volta l’onda di turno. Graziani, a mio avviso, ha ragione da vendere coi rilievi mossi al professore ed io mi permetto di estenderli alla maggior parte dell’intellighentia italiana che alla pari dei mass media hanno giocato di sponda sostenendosi a vicenda nel tenere in piedi il sacco nel quale si dovevano confinare i lavoratori. questo spiegherebbe anche come mai Ichino e non solo si sono sempre spesi con i distinguo rispetto alla Cisl e ancora di più il silenzio e l’insabbiamento continuo degli scandali che l’hanno investita. Avete idea di quanti milioni di euro di fondi statali hanno inghiottito i vari IAL sparsi per l’Italia tipo: Piemonte , Veneto, Abruzzo Liguria, Sicilia ecc.? Noi continuiamo a immaginare i professoroni come menti fumanti dallo spremere le meningi per risolvere i problemi io da visionario quale sono vedo invece gente che pensa solo a non disturbare il manovratore anzi a compiacerlo. Si continua a ciurlare nel manico spacciando come successo l’abolizione della scala mobile come una vittoria per i lavoratori quando da qualche tempo da tutte le parti si sostiene che oggi la crisi è dovuta proprio alla scarsa o nulla inflazione. AL PROFESSORE ICHINO CHIEDO: DI GRAZIA QUAL’E’ LA VERITA? IO PENSO CHE NON SIA NE L’UNA NE L’ALTRA VERO PROFESSORE?
Credo che Giovanni Graziani abbia proprio ragione e che le “riflessioni” di padre Occhetta dovrebbero essere da monito e da riferimento per tutti quanti abbiano ancora voglia di mettersi al servizio di una visione obiettiva e distaccata da logiche di appartenenza per lavorare ad una inversione di tendenza del sindacato in generale ma della CISL in particolare, che metta (o rimetta) al centro dell’azione di soggetti nati per rappresentare i lavoratori e difenderne i diritti,appunto,la persona lavoratore. Certo,si rischia di apparire ingenui o visionari,come si firma uno degli amici commentatori di questo blog, sostenendo ed affermando quanto sopra,specialmente se confrontato alla “condizione” in cui versa attualmente e da troppo, l’universo mondo del sindacato complessivamente ma della CISL in particolare. Parliamo purtroppo,e sempre con riferimento alle “obiezioni” di Graziani,delle vicende “involutive” e spesso contraddittorie che hanno caratterizzato il sindacato di Giulio Pastore in modo progressivamente peggiorativo. Se poi infine rapportiamo la riflessione alla attuale…”dirigenza”(?), allora lo sconforto rischia di prendere il sopravvento. Di “questi”,infatti, non è possibile alcuna considerazione riguardante elementi come “la linea politica”, “le scelte organizzative”, “gli orientamenti programmatici”,tutto semmai “connesso” con la “mission” e con il dovere di rappresentanza di chi “paga la delega”. Certo, perché tutto,ma proprio tutto,ciò che conta per gli attuali gestori di via Po’ 21, e’ solo occuparsi,appunto,di come distribuire(attribuendosene previo spregio dl regolamento-vedi vicenda Scandola- ed anche forse di qualche norma di legge) i proventi,ancora molto cospicui,delle deleghe dei “malcapitati” lavoratori. Per questo,e non solo per questo, non bisogna mollare e mettere in atto tutto quanto utile a fare in modo che prima o poi (spero e penso prima) a via Po 21 come a via Tevere 20,si ricominci a respirare aria più pulita