Il primo ministro britannico, il conservatore David Cameron, è sotto tiro. Nei “Panama papers”, i documenti riservati finiti in mano ai giornalisti, ci sono fatti suoi e della sua famiglia che potrebbero essere incompatibili con la sua permanenza nell’incarico. A meno che non riesca a fare la dovuta chiarezza.
Secondo voi, gli basterà produrre la letterina di un commercialista con studi a Milano, Roma ed Avellino per cavarsela? O proverà a lamentare la violazione della sua “privacy”? Difficile. Anche perché gli inglesi, che sono gli inventori del concetto di privacy, sanno distinguere chi la usa per tutelare la propria sfera privata e chi invece per nascondere cose non consone al proprio incarico. Per ora, ha cominciato a pubblicare dati delle sue dichiarazioni dei redditi; non quelle future, cosa che sarebbe una presa per i fondelli, ma quelle del passato di cui deve rendere conto.
Consigliamo quindi prudenza, ad esempio, al Petriccioli Maurizio, segretario confederale della Cisl in carica dall’era Bonanni, a twittare e ritwittare richieste di chiarezza e giustizia sociale in relazione ai Panama papers.
Non ci dimentichiamo che finché non si fa chiarezza, anche lui, pur senza essere uno dei dieci ad avere avuto la “nomination” dalle Iene, potrebbe essere uno dei venti denunciati da Fausto Scandola il 19 novembre 2015.
Naturalmente, si tratta di situazioni coperte dalla privacy, e noi non sappiamo se sia stato denunciato, e con quali conseguenze.
Sappiamo però che lui è uno dei sette nani che assieme a Biancaneve ha ordinato alla Cisl-Probiviri di espellere Fausto Scandola.
Quindi si è messo comunque dalla parte di chi ha qualcosa da nascondere. Sia che ce l’abbia anche lui, sia che non ce l’abbia.
Quindi lui non ha alcun diritto a far lezione di trasparenza agli altri.Perché se fosse stato per gente come lui, come gli altri sei nanetti e come Biancaneve, e se fosse stato per gente come i cinque anziani della Cisl-Probiviri, anche i “Panama Papers” sarebbero rimasti segretissimi.
E David Cameron potrebbe continuare la sua battaglia contro i soldi nascosti nei paradisi fiscali senza che nessuno potesse chiedergli di controllare la coerenza fra quel che dice e quel che fa.


Caro amico ti scrivo…. Il Petruccioli, come i suoi comp…ari, quando restano fuori da qualche magna…magna diventano i più “populisti” di questo mondo; se invece ne sono parte interessata parte il refrain di smentite che non smentiscono nuovi regolamenti che non: regolano e non chiariscono ecc. ecc. ecc.ecc.
Capito mi hai? Sono tutti limoni dello stesso albero (della cuccagna naturalmente)
IN ONORE E A RICORDO DI SCANDOLA INVIO QUESTO MERITATO RICONOSCIMENTO
Lo scandalo Cisl è solo la punta dell’iceberg di Ruben Razzante 12-08-2015
In un Paese normale non si viene cacciati da un’associazione quando si dice il vero, ma quando si commettono gravi violazioni dello statuto. Nei sindacati italiani, che non a caso sono associazioni tecnicamente fuorilegge, nel senso che non si sono mai adeguati all’articolo 39 della Costituzione, può succedere di essere espulsi semplicemente per aver denunciato un andazzo deplorevole e a dir poco offensivo agli occhi dell’opinione pubblica.
E’ quanto è accaduto a Fausto Scandola, iscritto alla Cisl di Verona dal 1968 e ora defenestrato per aver reso pubblico il testo di una lettera nella quale si denunciavano i mega-compensi di alcuni dirigenti del sindacato. Trecentomila euro annui per alcuni di loro, che facevano vita sindacale a tempo pieno dichiarando di voler difendere i diritti dei lavoratori veri. Soldi dei contribuenti elargiti con disinvoltura a soggetti che vivevano di sindacato, alle spalle del sindacato, fingendo di fare gli interessi degli iscritti al sindacato.
Quella cifra, a quanto pare assai diffusa come compenso annuo tra i dirigenti Cisl, ricorda molto quella dell’ex segretario Raffaele Bonanni che, durante il governo Monti, presagendo la possibile fine dei suoi lauti guadagni a causa della riforma Fornero, pensò bene di giocare d’anticipo e di andare in pensione, aumentandosi lo stipendio nel periodo conclusivo del suo mandato (oltre 330.000 euro annui nel 2011, circa 60.000 in più dell’anno precedente).
Trattasi di cifre scandalose, che offendono la sensibilità dei cittadini, costretti a sopportare financo le esibizioni moralistiche di quegli stessi dirigenti sindacali durante i talk show e le trasmissioni di intrattenimento. In pubblico e in televisione quei finti paladini dell’equità retributiva tuonano contro i mega-stipendi, la moltiplicazione delle poltrone e il dilagare dei privilegi e rivendicano le sacrosante ragioni dei lavoratori. In privato, però, incamerano compensi d’oro, pagati da quegli stessi lavoratori che a parole dicono di voler difendere e proteggere da abusi e ingiustizie. L’apoteosi dell’ipocrisia si raggiunge durante le solenni celebrazioni della Festa dei lavoratori o durante gli scioperi, quando quei dirigenti, al fine di ricompattare una base sempre più scettica e disaffezionata, identificano un nemico, di solito il governo in carica, e snocciolano le drammatiche cifre della disoccupazione e dei bassi salari.
Questo andazzo si fonda sulla possibilità di cumulo di indennità, in particolare tra stipendio di sindacalista e incarichi esterni, il che porta a far lievitare il reddito di molti dirigenti nazionali e locali di Cgil, Cisl e Uil. Il leader del sindacato cattolico, Anna Maria Furlan, dopo la denuncia di Scandola, ha annunciato una svolta nel segno della trasparenza, con nuove regole in vigore entro fine anno e pubblicazione su internet dei compensi percepiti. Ma la sostanza è che viene punito un “delatore” come Scandola, nonostante le sue denunce siano attendibili (nessuno, neppure la Furlan, le ha smentite). Il sindacato,ancora una volta, non recita un doveroso “mea culpa” ma preferisce la scorciatoia dell’autoassoluzione.
In un’intervista, Savino Pezzotta, segretario della Cisl fino al 2006, prima dell’ascesa di Bonanni, suo acerrimo nemico, si toglie qualche sassolino dalla scarpa, parla di “furbetti delle buste paga” e invoca la restituzione dei soldi percepiti ingiustamente da alcuni dirigenti.
Ma alla radice di tutto questo c’è un peccato originale, quello del mancato adeguamento dei sindacati alle prescrizioni dettate dai Costituenti nell’articolo 39 della nostra Carta fondamentale. I sindacati non dovrebbero comportarsi come associazioni “anarchiche” e non riconosciute, come fanno da sempre, ma dovrebbero registrarsi presso uffici centrali o locali, ottenere personalità giuridica, darsi regole interne precise e statuti rigorosi e stipulare contratti collettivi con efficacia verso tutti i lavoratori appartenenti alla categoria interessata. In Italia ciò non è mai avvenuto perché i sindacati hanno preferito operare a briglie sciolte e politicizzare il proprio ruolo, tradendo la loro storia e venendo meno al loro ruolo. Con la complicità del potere costituito.
A comprovarlo non sono soltanto i mega-compensi dei loro dirigenti ma anche le carriere politiche di molti leader di Cgil, Cisl e Uil, indiretta riprova del legame consolidato e indissolubile tra alcune sigle sindacali e alcuni partiti politici. Una delle tante anomalie di una democrazia malata e senza un trasparente equilibrio tra i poteri.
Lo scandalo sugli “stipendi d’oro” dei dirigenti della Cisl in realtà non fa che confermare quanto già emerso un po’ più di un anno fa riguardo alla superpaga autoattribuitasi da Raffaele Bonanni, ex segretario generale della Cisl, protagonista ultimo e più accanito della definitiva svolta “complice” della Cisl.
Le denunce di un ex dirigente della Cisl veronese, Fausto Scandola, hanno portato alla luce il fatto che non è stato solo Bonanni a ricevere uno stipendio da nababbo (fino a 336.000 euro ogni anno), ma che la cosa si estende (perlomeno) a parecchi altri dirigenti, tutti con retribuzioni che vanno oltre i 200.000 euro l’anno. Tra questi è compresa, ovviamente, anche Annamaria Furlan, la nuova segretaria che ha sostituito Bonanni, tra l’altro con il preciso compito di reimbiancare l’immagine della Confederazione cattolica.
Lo scandalo si aggrava, se si pensa che queste retribuzioni non solo sono vergognose in sé, ma riverberano i loro effetti anche sui trattamenti pensionistici che costoro percepiranno (Bonanni lo percepisce già) quando andranno in pensione.
Si tratta di cifre non contestabili dato che sono ricavate dalle denunce dei redditi e, dunque, occorre notare, non contemplano tutti i benefit non tassabili, come appartamenti in comodato, telefoni “aziendali”, rimborsi forfettari, buoni pasto, auto “blu”, buoni benzina, ecc. che, per dirigenti di quel livello possono superare la cifra di parecchie migliaia di euro al mese per ciascuno.
E’ grottesco quanto ancora appare su varie pagine del sito della Cisl (ne linkiamo una) circa la legge di iniziativa popolare, consegnata al parlamento alla fine del 2013, per la limitazione delle retribuzioni dei manager pubblici e privati. Bonanni, Furlan, e i loro compari percepiscono o percepivano retribuzioni che paradossalmente dovrebbero cadere sotto la mannaia del meccanismo previsto dal progetto di legge targato Cisl.
E non citiamo le ripetute invettive di Bonanni contro le pensioni d’oro, prima che lui stesso, pensionandosi, venisse a percepire una pensione di 5.400 euro netti mensili (che peraltro si sommano agli emolumenti sottobanco che il sindacalista avrà sicuramente contrattato con la sua Cisl al momento del passaggio di mano).
Queste somme risultano ancora più vergognose se messe a confronto con le retribuzioni e le pensioni miserevoli che percepiscono milioni di lavoratrici e di lavoratori italiani anche grazie ai contratti e alle riforme previdenziali che la Cisl ha firmato (con Cgil e Uil). E costituiscono un vero e proprio ladrocinio, visto che, per pagarsi, costoro attingono ai soldi che lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati versano mensilmente al sindacato allo scopo di tutelare le proprie condizioni economiche.
E non dimentichiamo che i segretari “generali” della Cisl (ma anche degli altri grandi apparati sindacali) hanno, relativamente alle loro strutture un potere che fa impallidire quello dei manager di azienda che comunque devono rendere conto agli azionisti e, soprattutto, ai consigli di amministrazione. Le retribuzioni dei segretari generali possono essere aumentate (nel caso di Bonanni si dovrebbe dire moltiplicate) con una semplice “delibera di segreteria”, cioè con un atto (sostanzialmente segreto) dell’organismo esecutivo della struttura sindacale, cioè varato da una riunione di dirigenti il cui ruolo dipende totalmente dal gradimento del “generale”.
Un fatto analogo si è prodotto anni fa anche nella Cgil, quando la segreteria deliberò l’aumento dello stipendio di Epifani (allora segretario generale della Confederazione di Corso d’Italia), al fine tra l’altro di incrementare sensibilmente il suo trattamento previdenziale al momento dell’imminente pensionamento. Il meccanismo nella Cgil è analogo a quello della Cisl, anche se la realtà delle retribuzioni è parecchio più contenuta (le retribuzioni, al netto dei benefit “fuori busta” però, non dovrebbero superare i 75-80.000 euro l’anno, un po’ più di 4.000 euro netti mensili).
Confrontando i bilanci 2014 dei centri nazionali di Cisl e Cgil (cioè solo dei palazzi di Corso d’Italia e di via Po, e dandone per buone le cifre in essi contenute) il volume di spesa è analogo: Cisl 23 milioni e mezzo e Cgil 24 milioni, ma la quota delle spese per il personale della Cisl (10 milioni e mezzo è nettamente superiore a quella della Cgil: meno di 7 milioni. In più occorre tenere conto che la Cgil deve “spalmare” le sue spese per il personale su un numero di funzionari che (a livello nazionale) sono oltre 15.000, più del doppio di quelli Cisl (meno di 7.000).
Ma, giustamente, l’opinione pubblica percepisce il mondo sindacale come un tutt’uno e spesso non coglie le “differenze di stile” tra le varie sigle. Per di più il silenzio assordante dei vertici Cgil (e Uil) di fronte a quanto denunciato e confermato riguardo ai loro “partner” cislini mostra un imbarazzo vischioso che trascinerà anche le altre due confederazioni in questa nuova “bonannopoli” che si sta delineando. Il fatto che (al momento) non emergano fatti “penalmente rilevanti” non toglie nulla allo scandalo morale che queste notizie suscitano.
Ma non si tratta solo di un fatto morale. Le retribuzioni disvelano il carattere del tutto falso ed ipocrita di un sindacato che si autodefinisce strumento di difesa del mondo del lavoro. Gli apparati sindacali, con queste notizie, appaiono per quello che sono: strutture di potere e di promozione personale di un ceto che ormai non ha più nulla a che vedere con la classe lavoratrice, con le sue sofferenze e le sue lotte.
Come può un dirigente che “naviga” sui 200.000 euro comprendere e fare proprie le ragioni di chi vive e mantiene una famiglia con non più di mille euro al mese? L’esplodere delle retribuzioni dei dirigenti sindacali è l’altra faccia della medaglia della complicità con cui la Cisl (ma anche Cgil e Uil) ha accompagnato l’aggressione padronale alle condizioni di vita di milioni di lavoratori. Si tratta di un modello organizzativo e politico che è sempre più lontano dalle funzioni che un sindacato dovrebbe avere.
E tutto ciò non può non riportare alla mente i numerosi casi di sindacalisti che, senza neanche il buon gusto di un periodo di “riposo sabbatico”, passano dal ruolo di dirigenti sindacali a quello di manager aziendali. Particolarmente scandaloso è il caso dell’ex Cgil Mauro Moretti che, già segretario nazionale della Cgil Trasporti, torna all’improvviso nelle Ferrovie dello stato (nelle quali nel frattempo era stato promosso da Capo-officina ad alto dirigente) per diventarne infine Amministratore delegato. Per poi essere promosso ad AD di Finmeccanica al suono di 2,3 milioni annui di retribuzione.
Il pioniere di questa pratica fu Gastone Sclavi, dirigente dei chimici della Cgil, che negli anni 70 divenne dirigente della Montedison. Ma tanti sono stati successivamente i suoi imitatori. E se allora questi episodi suscitavano scalpore e si attiravano l’accusa di tradimento, oggi appaiono del tutto fisiologici. Perché?. Perché il sindacato è cambiato e i suoi vertici hanno assunto tra l’altro la funzione di gestione della manodopera nell’ambito di “compatibilità” aziendali e di sistema sempre più ristrette. E se si deve gestire la manodopera questo si può fare da sindacalista complice, ma ancora meglio da capo del personale o da manager.
E questi ex sindacalisti hanno gestito la manodopera spesso nel modo più brutale, proprio nella fase della svolta liberista della classe dominante a cui hanno aderito con entusiasmo. Il caso Moretti è esemplare, visto che ha amministrato le Ferrovie dello stato proprio nel periodo della loro privatizzazione, gestendone la ristrutturazione, le esternalizzazioni, gli spacchettamenti, la decimazione del personale.
Il momento agostano aiuta a dare minore risonanza a quanto è affiorato, ma l’autunno (peraltro segnato dallo svolgimento delle conferenze d’organizzazione della Cgil e della Cisl) vedrà con molta probabilità il riesplodere fragoroso della crisi degli apparati burocratici sindacali.
L’offensiva contro la “casta” sindacale porterà altra acqua al mulino della campagna di Renzi (e con lui della Confindustria) per la cancellazione non degli apparati ma della stessa azione sindacale e di ogni idea di conflitto nei luoghi di lavoro (non a caso si preparano anche nuove leggi antisciopero).
FAUSTO IL TUO ESEMPIO E IL TUO RICORDO RIMARRANNO INDELEBILI NELLA STORIA DELLA CISL
GRAZIE DA TUTTI NOI
Caro Roberto Ruzzante, non ti pare di contraddirti?
Come fai a dire che i sindacati sono fuori legge perché non c’è la legge sull’articolo 39?
Se non c’è la legge, come si fa ad essere fuori legge?
E non ti sei accorto che ad essere diventata favorevole all’attuazione dell’articolo 39 è proprio quella dirigenza della Cisl contro la quale si è alzata la voce di Fausto Scandola? E che lui rimproverava alla dirigenza della Cisl, oltre al resto, anche questo cedimento?
E soprattutto, non sai che con l’attuazione dell’articolo 39 i sindacati potrebbero imporre il pagamento dei contributi ai non iscritti?
Allora sì che si potrebbero aumentare di parecchie volte gli stipendi …
fanno schifo ognuno di noi dovrebbe scrivere ai propri amici e chiedere di sottoscrive un appello a tutti gli iscritti nel quale affermare che non serve il reato penale ma quello reputazionale per essere non idonei a rappresentare gli interessi dei lavoratori.
O no?
che differenza c’è tra chi falsa la busta paga, la pensione e chi evade?