Una federazione che firma una ventina di contratti nazionali quanti rinnovi si trova a gestire nell’arco di diciotto mesi? Dipende, naturalmente, da quanti ne vanno a scadenza. Ed ognuno ha le sue peculiarità.
Ma volendo dare un’occhiata d’insieme, la sensazione che si ha dalla comunicazione della Fai commissariata sull’attività contrattuale durante i 18 mesi di gestione del dottor Sbarra dell’Anas, non è gradevole. Tutto si è ridotto a glorificare un accordo non particolarmente innovativo come quello dell’industria alimentare (il cui principale effetto, fra allungamento di un anno della vigenza del contratto nazionale e la moratoria su quella aziendale, è stato quello di frenare la dinamica dei rinnovi), e poi a ripetere per la cooperazione alimentare gli stessi slogan su “accordo strategico”,”qualità” e “bilateralità” (quasi si trattasse dello stesso contratto con controparti diverse).
E il contratto della cooperazione agricola? E le aziende artigiane alimentari? E i consorzi agrari? E che ne è stato delle delle difficili trattative per il rinnovo del contratto nazionale della bonifica? E di quello degli allevatori? E la lavorazione foglie di tabacco? Per non parlare dei contratti provinciali di lavoro, che riguardano 960.000 operai agricoli, o del contratto per i dipendenti da aziende di conto terzi, rinnovato in sordina nel 2015.
Forse sono contratti di serie B? A giudicare dalla diversità di enfasi, si direbbe di sì.
Ma d’altra parte, bisogna capire il commissario. Uno che gira l’Italia in lungo e in largo per la sua campagna elettorale, impegnato a tirare fuori dal sacchetto e pronunciare con vigore tante parole con l’accento sulla “a” (“rilancio della bilateralità”, “centralità delle parti”, la “solidarietà”, la “qualità”…; ieri, in Sardegna, ha aggiunto “l’insularità”), spende tutte le energie per questo scopo e non può essere troppo preparato anche sui contenuti.
Per quelli, ci vorrebbe un sindacalista.