La decisione di oggi al tribunale di Verona, o meglio il rinvio per decidere preliminarmente sulla richiesta della Cisl di spostare il procedimento a Roma, conferma la tendenza di Via Po 21 a difendersi non tanto nel merito quanto su questioni preliminari, magari sperando che il giudice preferisca non prendere in mano la patata bollente.
Così è stato nel caso del commissariamento della Fai, dove tutto si è giocato sulla possibilità o meno di ricorrere all’articolo 700 c.p.c. o al 23 c.c. (e già a scriverlo così si capisce quanto poco le decisioni prese abbiano riguardato la legittimità della decisione impugnata). E così sembra essere, per quel che è dato di sapere, nel caso di Scandola.
Ma se lo spostamento di sede cambierebbe poco dal punto di vista della possibile decisione finale, perché le leggi da applicare sono le stesse a Roma e a Verona ed a decidere sarebbero magistrati di pari livello, cambierebbe molto dal punto di vista tattico. Perché significherebbe portare la decisione da un Tribunale (relativamente) poco ingolfato a quel girone infernale che è il Tribunale di Roma.
Ora, se nel caso della Fai la decisione, per quanto criticabile, di non accettare il ricorso d’urgenza per ragioni non di merito poteva servire al Tribunale a non ingolfare ulteriormente gli uffici giudiziari, nel caso Scandola le cose stanno all’opposto: in termini di economia processuale meglio tenere la decisione a Verona e non appesantire Roma. Per chi volesse una decisione serena e senza troppe perdite di tempo, non ci sarebbe motivo di sollevare la questione della competenza territoriale.
Quindi non è la rapidità della decisione che si cerca da parte della difesa di Via Po 21. Quindi non si è molto sicuri di quel che può decidere il giudice. Quindi si preferisce perder tempo e fare melina.
Quindi una certa paura per la decisione finale ce l’hanno. E non lo nascondono.