La confusione durata per mesi attorno alla fondazione che ora si chiama “Fondazione Fai-Cisl Studi e ricerche”, ha indotto qualche amico a preoccuparsi, ingiustificatamente, per noi.
Quello che abbiamo scritto sulla gestione pasticciata, approssimativa e dilettantistica da parte del commissario e dei suoi aiutanti per portare frettolosamente sotto al proprio controllo anche ciò che non rientrava nell’ambito dei poteri del commissario (la fondazione Fisbafat), ci ha chiesto qualche amico, potrebbe essere stato smentito dal fatto che in extremis, prima della pausa estiva, è arrivata l’approvazione della pubblica autorità al cambiamento di statuto voluto dal commissario-presidente?
Rifacciamo allora una semplice cronologia, così da tranquillizzare tutti, e mandare sotto l’ombrellone chi non c’è ancora andato senza portarsi dietro troppi dubbi, malevoli o benevoli che siano.
Quanti ai nodi che restano da sciogliere, come la presenza o meno dei revisori dei conti e su come sia stato controllato il bilancio, aspettiamo che sia completata la costruzione (con questo caldo, chissà che sudate!) del sito della Fondazione Fai Cisl-Studi e ricerche, dove certamente sarà pubblicato, prima o poi, il nuovo statuto.
Il 9 gennaio 2015 il commissario dotato di pieni poteri per un anno sulla Fai (nell’antica Roma questa figura si chiamava dittatore, durava sei mesi e non era prorogabile) che ha usato questi poteri per conquistare la presidenza della fondazione Fisbafat, fa approvare alcune modifiche allo statuto della fondazione, fra cui il cambio di denominazione, che vanno all’esame della Prefettura di Roma per la necessaria approvazione.
Mentre la fondazione usa già, senza averne diritto, il nuovo nome, le modifiche proposte vengono respinte. Riproduciamo qui di seguito la lettera del dirigente responsabile del procedimento, il vice prefetto Serafina Mascolo (la trovate anche a questo link), che comunica di non poter accettare le modifiche a causa della soppressione del collegio dei revisori. Questa lettera, a quanto ci risulta, non viene diffusa dal commissario.
Quindi, a partire dall’11 febbraio 2015, data della comunicazione della Prefettura, l’uso, ad esempio, della nuova denominazione, come viene fatto nella richiesta del cinque per mille, non è più un errore in buona fede. Così come è un fatto che qualsiasi atto relativo al patrimonio della Federazione avviene senza quel controllo dei revisori dei conti che invece, come è stato spiegato dal vice prefetto agli incauti riformatori di statuti, è assolutamente imprescindibile.
Questa è la situazione che abbiamo correttamente descritto in tre puntate, dal 30 luglio al 2 agosto, sulla base di informazioni acquisite nel corso del mese di luglio, esattamente sei mesi dopo l’inizio del pasticcio, nel rispetto delle leggi sul procedimento pubblico e senza averle rubate a nessuno (questa precisazione ad uso eventuale di avvocati che volessero insinuare alcunché).
Per una strana coincidenza, proprio il 30 luglio, subito prima o subito dopo la pubblicazione della prima puntata (o magari, tutto è possibile, nello stesso preciso istante), il commissario diffonde alle strutture della Fai un annuncio: “tutte le modifiche” sono state approvate una settimana fa!
In realtà, come scrive chiaramente il vice prefetto Mascolo, quel “tutte le modifiche” non vuol dire “tutto quello che era stato approvato il 9 gennaio”, ma vuol dire che delle modifiche statutarie esiste una seconda versione, che ha dovuto correggere in qualche modo il pasticcio voluto dal commissario e dai suoi collaboratori pasticcioni il gennaio (riproduciamo la lettera, che trovate anche a questo link).
Dal 9 gennaio al 23 luglio sono passati sei mesi e mezzo; in questo tempo, la fondazione si è trovata in una deprecabile situazione di incertezza giuridica. A cominciare dal proprio nome e dal controllo sull’uso delle risorse.
Non ci è chiaro invece quali studi siano stati realizzati o quali ricerche siano state avviate nello stesso periodo dalla fondazione che ha usato impropriamente il nome “Fondazione Fai Cisl Studi e ricerche”.
Anche questa volta, lo diciamo per tranquillizzare qualche amico forse un po’ troppo impressionabile. ci sono le carte che cantano. E chi volesse provare a raccontare un’altra storia, in questa o quella sede, farebbe meglio a lasciar perdere.

