Torino? Dov’è Torino?

Ogni tanto c’è qualcuno che ci porta notizia dei nostri ex fidanzati della Filca, quelli che, undici anni fa, ci volevano sposare per interesse e dicevano che lo facevano per amore della Cisl. E noi, senza rancore, più passa il tempo e più ci convinciamo che quel matrimonio non si doveva fare. E che se la Fai doveva finire (perché la Fai è finita, e chi oggi ne usa il “brand” e la sede è un’altra cosa) è stato meglio tenere alta la bandiera che portarla in dote a degli estranei. E pazienza se, saltato il matrimonio, il nostro patrimonio (fra federazione e fondazione) è finito dove è finito. E chi ne ha votato lo scioglimento oggi ne trae sostentamento.

Ora uno dei nostri che legge le cose cose scritte sui social ci segnala che l’attuale segretario generale della Filca ha spiegato in un’intervista la profonda riorganizzazione della federazione attraverso l’ottimizzazione delle risorse, nuove modalità operative, la responsabilizzazione di operatori e dirigenti su obiettivi chiari e condivisi. Cioè, mi permetto di sintetizzare, assumendo per il sindacato i criteri (spesso inefficaci all’atto pratico) che i manager usano nelle aziende.

Ma i risultati di questa riorganizzazione sono quelli visti alla Filca di Torino? Quelli per cui un dirigente (non uno che passava per la strada) è stato prima promosso nella segreteria territoriale e poi messo sotto processo con richiesta di condanna a 10 anni?

Finché la Filca non parla di questo, non spiega le responsabilità organzzative in questa vicenda (quale che sia l’esito del processo sulle responsabilità penali di un singolo) allora l’ottimizzazione delle risorse, le nuove modalità e tutto il bla-bla simil-manageriale sono solo una copertura di altro. E a noi non resta che constatare come la Cisl abbia commissariato la Fai per non essersi sciolta ed annessa alla Filca che, invece, non viene toccata nemmeno di fronte ad indagini penali (che poi sia ora sia parte civile nel processo vuol dire, nella migliore delle ipotesi, che ci sarebbe stato un patto illecito di cui i suoi dirigenti non si erano accorti. Il che non depone a favore della loro qualità).

Intanto ieri a Torino, proprio nell’anno della “legge Sbarra” sulla partecipazione, c’è stato uno dei quattro morti sul lavoro nella stessa giornata: un uomo di 69 anni (sessantanove anni!) è morto cadendo da una gru mentre sistemava cartelloni su un palazzo in ristrutturazione, peraltro a pochi metri da dove, quattro anni fa, erano morti tre operai che montavano una torre edile.

Già, ma Torino non è mica in Italia?

Grazia La Terza per il9marzo.it

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