Licenziare è il modo più antisindacale di risolvere i problemi di lavoro. A maggior ragione dentro ad un sindacato. Ma proprio questo è il sistema che va di moda negli ultimi anni come sappiamo bene alla Fai, dove il licenziamento di Giampiero Bianchi, padre vedovo con tre figlie a carico, fu usato per stroncare la resistenza interna contro l’illegittimo commissariamento secondo la logica del colpirne uno (o due, ci fu anche la revoca del distacco per Maurizio Ori) per educare tutti gli altri (che, infatti, si allinearono).
Ma qualche volta capita che il boccone vada di traverso agli ingordi e ai licenziatori. E quando la cosa accade proprio nella terra del dottor Sbarra dell’Anas (il licenziatore di padri di famiglia che abbiamo conosciuto da illegittimo commissario) allora la cosa è anche più divertente.
È stata da poco pubblicata (e, dopo averla ricevuta, riteniamo di diffondere per la sua rilevanza politico-sindacale oltre che giuridica) la sentenza di primo grado che condanna la Fisascat di Reggio Calabria a reintegrare un’operatrice licenziata. Operatrice che era, in effetti, la ex segretaria provinciale, diventata poi dirigente di un’altra organizzazione (la Filcom Fismic-Confsal). E che, come si accenna anche nella sentenza, si è trovata in questa situazione anche a causa della, o almeno in coincidenza con la, maternità.
Proprio le questioni familiari rendono ulteriormente interessante la storia; si sa che in Calabria chi dice Cisl dice legami parentali. Come in questo caso, dove la Fisascat è guidata da Fortunato Lo Papa, figlio di Rosetta Raso, mentre alla tutela delle donne è assegnata Nausica Sbarra, sorella del dottore (e componente della segreteria provinciale guidata da Romolo Piscioneri, cugino di Cosimo).
Per questo, la sentenza di Reggio Calabria ha un’importanza che non è solo locale perché ne escono sconfitte un paio di famiglie reggine importanti.
E perché ad uscirne vincitrice, in primo grado, è una donna, una mamma e una lavoratrice.
n. 995 / 2023 RG
TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA
Sezione II Civile (Settore Lavoro e Previdenza)
Il Giudice del lavoro, dott. Francesco De Leo,
richiamato il decreto di trattazione scritta della presente controversia emesso ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c. in data 27.05.2024, dispositivo della sostituzione dell’udienza prevista per il giorno 19 Luglio 2024 con note scritte da depositarsi entro il 12.7.2024;
letti gli atti di causa e le note scritte depositate dalle parti;
ritenuta la causa matura per la decisione;
all’esito della riserva, pronuncia la seguente sentenza ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA
Sezione II Civile (Settore Lavoro e Previdenza)
Il Giudice del lavoro, dott. Francesco De Leo, previo scambio e deposito telematico delle note scritte ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c., ha pronunciato in data 20/07/2024, mediante deposito telematico contestuale di motivazione e dispositivo, la seguente
S E N T E N Z A
nella controversia iscritta al n. 995/2023 del ruolo generale affari contenziosi, avente ad oggetto:
Licenziamento individuale per giusta causa;
T R A
Rita Raffa(…) rappresentata e difesa in virtù di procura allegata al ricorso dall’Avv. Vittorio Milardi;
Ricorrente
CONTRO
Fisascat Cisl di Reggio Calabria nella persona del legale rappresentante pro-tempore, domiciliata come in atti, rappresentata e difesa dall’avv. Pietro Siviglia,
Resistente
Inps – Istituto nazionale della previdenza sociale in persona del legale rappresentante pro-
tempore;
Resistente contumace
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato il 10.3.2023 la ricorrente, indicata in epigrafe, ha lamentato l’illegittimità
del licenziamento comminatole da parte della resistente in data 30.8.2022, in quanto ritorsivo,
discriminatorio e, comunque, illegittimo o nullo.
Ha premesso di essere stata assunta dalla Fisascat Cisl in data 23.5.2014 e di aver ricoperto la
carica di Segretario Generale Provinciale dal 2013 al 2021 allorquando il Congresso del sindacato,
tenutosi in data 17.12.2022, le revocò l’incarico, non avendo – in precedenza – rassegnato le
dimissioni sollecitate dal segretario regionale in ragione della sua volontà di maternità.
Esautorata dall’incarico “dirigenziale” sindacale, ha evidenziato di aver mantenuto formalmente
la funzione di conciliatrice sindacale della Fisascat Cisl e di aver ricoperto, pur essendo stata posta
in uno stato di totale inattività, il ruolo di operatrice fino al 29.8.2022, data di comunicazione del
licenziamento senza preavviso, preceduto dalla contestazione di addebito disciplinare dell’1.8.2022.
Oggetto della contestazione era stata, in particolare, l’assunzione delle funzioni di Segretario
territoriale di Reggio Calabria della Filcom Fismic-Confsal, carica invero effettivamente ricoperta
dal 13 maggio 2022, ponendo così in essere una condotta presuntivamente violativa dell’art. 48 del
Regolamento Cisl che, individuando gli obblighi del dipendente, prescrive di “condividere il codice
etico e mantenere la massima riservatezza sugli interessi della Struttura, né svolgere attività che
rispetto a tali interessi siano comunque incompatibili o contrari”.
Ha pertanto eccepito la nullità del licenziamento comminato per motivi discriminatori in ragione
del presunto proselitismo sindacale legato all’attività svolta in favore di un’altra sigla o, comunque,
ritorsivi per via del manifestato desiderio di maternità.
Ha inoltre sostenuto come alcun inadempimento degli obblighi contrattuali era stato posto in
essere e dimostrato dal datore di lavoro, non sussistendo dunque alcuna causa idonea a recidere il
rapporto fiduciario tra dipendente e sindacato e potendosi al più optare per una sanzione conservativa allorchè si considerasse integrato un inadempimento contrattuale.
Ha concluso chiedendo l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento in quanto
(alternativamente o cumulativamente) discriminatorio, ritorsivo o comunque nullo, nonché la
condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria pari
all’ultima retribuzione globale di fatto calcolata dal giorno del licenziamento a quello della reintegra nonchè al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti; o, in subordine, al pagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici ed un massimo di ventiquattro mensilità dall’ultima retribuzione globale di fatto.
Ha chiesto, in via ulteriormente gradata, di condannare la controparte alla riassunzione entro il
termine di tre giorni o, in mancanza, al risarcimento del danno versando un’indennità di importo
compreso fra un minimo di 2.5 ed un massimo di 10 mensilità dell’ultima retribuzione globale di
fatto.
Si è costituita tempestivamente in giudizio la Fisascat Cisl di Reggio Calabria che, di contro, ha escluso la natura ritorsiva del licenziamento, sottolineando che la ricorrente non era stata esautorata
dall’incarico di dirigente sindacale, giacché lo stesso era giunto a scadenza e il Congresso
democraticamente aveva ritenuto di non confermarla.
Allo stesso modo, ha negato che stessa fosse stata costretta all’inoperosità, considerato pure che
nel lasso temporale in cui si sarebbe determinato il demansionamento la Raffa si era assentata spesso dal posto di lavoro.
Ha rivendicato la legittimità del licenziamento, pienamente giustificato dalla particolare natura
del datore di lavoro, riconducibile alla categoria delle associazioni di tendenza, che caratterizza in
maniera peculiare anche il rapporto fiduciario tra il lavoratore e il datore di lavoro nell’ambito del
quale è escluso il dissenso ideologico. In tal senso l’assunzione da parte della ricorrente di una carica
sindacale direttiva in altra sigla rappresentava una chiara manifestazione di dissenso ideologico
idonea a rompere il rapporto di fiducia e a giustificare la risoluzione unilaterale dello stesso.
Ha concluso, pertanto, chiedendo il rigetto del ricorso.
Pur regolarmente citato in giudizio, non si è costituito l’Inps che risulta, pertanto, contumace.
*******
Il ricorso risulta fondato.
Come anticipato l’oggetto della controversia afferisce alla asserita illegittimità del licenziamento
irrogato dalla Fisascat Cisl e alla conseguente condanna di quest’ultima a tutte le conseguenze ex lege previste.
Ciò premesso, in forza del principio della ragione più liquida, occorre vagliare il motivo di
impugnazione fondato sulla natura discriminatoria del licenziamento per effetto dello svolgimento di attività sindacale presso una sigla distinta.
In questa prospettiva, nel dettaglio, il thema decidendum attiene alla compatibilità tra la copertura
di una carica di vertice in altro sindacato e l’espletamento della prestazione in qualità di dipendente
presso la sigla d’origine; e, dunque, alla possibilità che tale circostanza costituisca una causa di rottura del rapporto di fiducia che informa il rapporto di lavoro tra il dipendente e l’organizzazione sindacale.
Ai fini della soluzione della controversia giova illustrare le norme dell’ordinamento che
assumono rilievo nel caso di specie.
Va osservato, in primo luogo, come la Carta Costituzionale riconosca all’art. 30 la libertà
sindacale (quale specifica manifestazione della libertà di associazione di cui all’art. 16) che include
il diritto di costituire un’associazione sindacale, di aderirvi e di svolgere attività sindacale.
A sua volta l’art. 14 dello Statuto dei lavoratori (l. 300/70), rubricato Diritto di associazione e di
attività sindacale, specifica che “Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro”.
Sulla scia del principio sopra delineato il successivo art.15 (Atti discriminatori) dispone che “È
nullo qualsiasi patto od atto diretto a: a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione
che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare
un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei
provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività
sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.
Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di
discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età, di nazionalità o
basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali”.
Enucleate le fattispecie di discriminazione, la risposta dell’ordinamento ad atti annoverabili tra
quelli discriminatori, rappresentata dalla nullità del provvedimento datoriale ex art. 15, l. 300/70, si
arricchisce di un ulteriore effetto rimediale, con la previsione dell’art. 4, l. 604/1966, secondo cui “Il
licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza a un
sindacato, dalla partecipazione ad attività sindacali o conseguente all’esercizio di un diritto ovvero
alla segnalazione, alla denuncia all’autorità giudiziaria o contabile o alla divulgazione pubblica
effettuate ai sensi del decreto legislativo attuativo della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, è nullo”.
Ancòra, nel medesimo senso, in base ad una reductio ad unum dei rimedi citati, l’art. 3, l.
108/1990 (Licenziamento discriminatorio) dispone che “Il licenziamento determinato da ragioni
discriminatorie ai sensi dell’articolo 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e dell’articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo 13 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta (….)”.
Ciò posto, nel caso di specie risulta documentalmente provato – e la lettera di contestazione è in
tal senso eloquente – che il datore di lavoro abbia licenziato la ricorrente in quanto la stessa era
divenuta dirigente sindacale di altra sigla così ponendosi la relativa attività – secondo la
prospettazione del datore di lavoro – in conflitto di interesse (o in modo incompatibile) con quella di operatrice della Fisascat.
Ebbene, in disparte ogni valutazione in merito alla riconducibilità nella nozione di giusta di
licenziamento della violazione di disposizioni di un Regolamento sindacale, quello della Fisascat,
difficilmente assimilabili a quella previste ex lege o nel CCNL di riferimento, nella specie non si
riviene – neppure in astratto – un’ipotesi di conflitto di interessi, come quello contestato, se sol si
consideri che tutte le associazioni sindacali svolgono attività a tutela dei lavoratori.
Con maggiore precisione, il conflitto citato si sarebbe potuto ritenere integrato allorchè fosse
stato allegato che la dipendente avesse, contemporaneamente, tenuto comportamenti tali da
danneggiare la sigla sindacale per cui lavorava, favorendo – con la medesima condotta e secondo uno schema soggettivo unitario – la sigla sindacale per cui ha, da ultimo, avviato un’attività sindacale.
Non può infatti sostenersi che la prestazione, resa nell’ambito di un ruolo apicale in altra sigla,
possa costituire circostanza idonea alla interruzione del rapporto di lavoro ex art. 2119 c.c. in assenza di una specifica contestazione di un inadempimento degli obblighi propri del dipendente, i quali – si ribadisce – non risultano minimamente dedotti né provati ma esclusivamente paventati in termini di rischio sub specie di proselitismo a favore della nuova sigla sindacale.
Né, soprattutto, ai fini della configurazione della giusta causa, può ritenersi integrato nel caso di
specie quel dissenso ideologico considerato dalla Suprema Corte (Cass. civ., Sez. lavoro, 08/07/1997, n. 6191) quale presupposto per il recesso del datore di lavoro, qualificato come associazione di tendenza.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla resistente, nella pronuncia citata, adottata al termine di un
giudizio – avente ad oggetto il licenziamento di un dipendente di sindacato con un ruolo di dirigente
sindacale, espulso dall’organizzazione sindacale da parte del Collegio dei probiviri per una condotta
ritenuta incompatibile con i valori permeanti la vita sindacale e, pertanto, licenziato – è stato statuito che: “Una volta, infatti, riconosciuta la pregnanza che l’elemento fiduciario e dell’intuitus personae assume nel rapporto di lavoro “ideologico”, è assolutamente conseguente che il
grave dissenso ideologico (che si può manifestare anche in comportamenti privati) del lavoratore
possa farsi rientrare nella nozione di giusta causa, che non consente la prosecuzione anche
provvisoria del rapporto, ex art. 2119 c.c. (….) Non può, perciò, contestarsi che, nei rapporti di
lavoro che si svolgono nell’ambito delle organizzazioni di tendenza ed in astratta correlazione con questa, l’intensa fiduciarietà del rapporto faccia sentire la sua influenza soprattutto in ordine alla
permanenza in vita del rapporto medesimo. Nel senso che, ove la fiducia venga oggettivamente meno, venendo a mancare l’utilitas, che si attende dai futuri adempimenti, è consentito al datore di lavoro di estinguere il rapporto ex art. 2119 c.c.”.
Ebbene, anche a volere ammettere, attraverso un’interpretazione estensiva (atteso che nella
sentenza menzionata il licenziato era un dirigente sindacale e non un semplice operatore), che nel
caso in esame il rapporto tra un’operatrice e il sindacato sia o debba essere permeato da intensa
fiduciarietà, il dissenso ideologico non può essere valutato in senso meramente astratto.
A ben vedere, il lavoratore di un sindacato gode della libertà sindacale costituzionalmente
garantita e, nell’esercizio della stessa, ha il diritto di svolgere anche per un’altra sigla un’attività
sindacale che, evidentemente, mira a tutelare gli interessi dei lavoratori al pari della prestazione
disimpegnata per il sindacato di originaria appartenenza.
In altri termini la mera copertura di un incarico apicale presso un altro sindacato non può essere
qualificata sic et simpliciter come dissenso ideologico in assenza (o quantomeno mancanza di prova) – come nel presente giudizio – di atti concreti idonei a configurare la fattispecie descritta, venendo in rilievo – in ipotesi contraria – il rischio di collisione con i principi costituzionali sopra descritti.
Per tali ragioni il licenziamento della ricorrente è nullo in quanto discriminatorio, ai sensi dell’art.
4 della legge 604 del 1966 e dall’art. 3 della legge 108 del 1990.
Quest’ultima norma detta gli effetti che conseguono alla declaratoria di nullità del licenziamento
discriminatorio, specificando che lo stesso “comporta, quale che sia il numero dei dipendenti
occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970,
n. 300, come modificato dalla presente legge. Tali disposizioni si applicano anche ai dirigenti”.
Posto che il datore di lavoro è un’associazione di tendenza e la ricorrente assume di essere stata
assunta dall’organizzazione sindacale resistente in data 23 maggio 2014, ovvero prima dell’entrata in vigore del Dlgs 23 del 2015, alcun elemento ostativo sussiste in ordine all’applicazione della tutela reintegratoria di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
L’art. 4, l. 108/1990, prescrive infatti che “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 3, le
disposizioni degli articoli 1 e 2 non trovano applicazione nei rapporti disciplinati dalla legge 2 aprile 1958, n. 339. La disciplina di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo 1 della presente legge, non trova applicazione nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione”.
Secondo l’orientamento consolidato di legittimità tale norma “nel riconoscere alle cosiddette
organizzazioni di tendenza l’inapplicabilità dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, fa salva l’ipotesi
regolata dall’art. 3, sull’estensione della tutela reale ai licenziamenti nulli in quanto discriminatori;
ne consegue che, ove il licenziamento sia stato determinato da motivo di ritorsione o rappresaglia,
va ordinata, anche nei confronti di dette associazioni, la reintegra del lavoratore, restando privo di
rilievo il livello occupazionale dell’ente e la categoria di appartenenza del dipendente (…) In effetti
la legge n. 108, art. 4, inizia con le parole “fermo restando quanto previsto dall’art. 3”, per proseguire con la indicazione che la L. n. 300 del 1970, art. 18, non si applica alle richiamate organizzazioni di tendenza: orbene, se vuol darsi un senso all’incipit dell’art. 4, è evidente che la deroga prevista dall’art. 4, non riguarda i casi di quei licenziamenti considerati dal legislatore dal 1966 in poi particolarmente odiosi e per i quali la conseguenza è l’integrale applicazione dell’art. 18.” (cfr. ex multis Cass. civ. sez. lav., 03/10/2016, n. 19695).
Richiamati tali condivisibili principi, giova riportare testualmente il contenuto dell’art. 18 dello
Statuto dei lavoratori (Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo) il quale, nella parte
di interesse, dispone: “Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento
perché discriminatorio ai sensi dell’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato
in concomitanza col matrimonio ai sensi dell’articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo
e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento
di cui all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di
tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
151, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla
legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile,
ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel
posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei
dipendenti occupati dal datore di lavoro (…) Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma,
condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il
licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata
all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello
dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo
svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere
inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato
inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali”.
Pertanto, in ragione del carattere discriminatorio del licenziamento e in applicazione dell’art. 18
dello Statuto dei lavoratori, deve disporsi la condanna della parte resistente alla reintegrazione della
ricorrente nel posto di lavoro ricoperto al momento del licenziamento, nonchè al versamento a favore dell’attrice di un’indennità risarcitoria pari all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino all’effettiva reintegrazione.
La resistente va altresì condanna al versamento in favore dell’Inps dei contributi previdenziali
relativi al medesimo periodo.
Sulle somme liquidate in favore del ricorrente decorrono gli interessi legali e la rivalutazione
monetaria dalla maturazione al soddisfo ex art. 429 c.p.c.
Le spese di lite seguono la soccombenza ai sensi dell’art. 91 c.p.c. e si liquidano, come in
dispositivo, ex art 4 comma 1 Dm 55/2014 così come modificato dal Dm 147/2022, in ragione del
valore della causa (indeterminabile, complessità media) e dei valori minimi (stante l’assenza di
complessità nelle questioni giuridiche e di fatto trattate) per ciascuna delle fasi del giudizio (studio,
introduttiva, trattazione/istruzione, decisionale), con distrazione a favore del procuratore di parte
ricorrente dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA Accoglie il ricorso e dichiara la nullità del licenziamento impugnato condannando la Fisascat Cisl di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante p.t., alla reintegrazione della parte ricorrente Rita Raffa nel posto di lavoro ricoperto al momento del licenziamento.
Condanna la Fisascat Cisl di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante p.t., a pagare
in favore del ricorrente un’indennità, ragguagliata all’ultima retribuzione globale di fatto, maturata
dal momento del licenziamento e sino al giorno dell’effettiva reintegrazione, oltre interessi legali e
rivalutazione monetaria alle condizioni di legge dalla maturazione al soddisfo.
Condanna parte resistente Fisascat Cisl di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante
p.t., al versamento in favore dell’Inps in persona del legale rappresentante p.t., dei contributi
previdenziali dovuti relativamente al periodo intercorrente tra il licenziamento e l’effettiva
reintegrazione della ricorrente.
Condanna la Fisascat Cisl di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante p.t., al
pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite pari a € 5.665,00 oltre iva, cpa, rimborso
forfettario come per legge, con distrazione.
Manda alla Cancelleria per l’immediata comunicazione telematica alle parti costituite del presente
provvedimento in forma integrale, comunicazione telematica che sostituirà la lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione prevista dall’art. 429 cpc..
Così deciso in Reggio Calabria, lì 20/07/2024.
Il Giudice
Francesco De Leo
tutta la fisascat a partire dal nazionale conoscono questa vicenda e altre vicende tipiche della Grande Famiglia calabrese,purtroppo tutti stanno zitti,chi ha visto il segretario fisascat e rispettiva famiglia della calabria sa che da anni sguazzano nei conti correnti fisascat e non solo….speriamo che lla fine ingordi come sono soffochino….per quanto riguarda il resto ,pare che tra un po tutto si sposti in puglia,da mesi ormai sembra che la cisl in puglia sia il miglior sindacato possibile e che tutte le iniziative mirabilianti e miracolose avvengano la,persino,anzi per primi si adeguano i pensionati,che sembra siano i piu forti del mondo poi scopri che fanno cosucce che glia altri facevano 10 anni fa….questo sindacato davvero deve sparire almeno da firenze in giu……ultima cosa,ma il lavoro nero in agricoltura in puglia e a latina ,i morti i feriti non esistono piu….ahhh….gia….scusate c’è la patente a punti e sopratutto una miriade di tavoli dove noi ci siamo….poco importa poi cosa portiamo a casa ma ci siamo…
Caro Amico, lo scriviamo da tempo su questo blog (l’unico strumento a disposizione) per poter dibattere, visto che negli organismi della cisl a tutti i livelli vige la regola del “signorsì signore”. Dopo aver messo in atto tutt’a una serie di epurazioni di personaggi scomodi solo perché avevano una testa per pensare, la cisl sarebbe dovuta diventare la confederazione sindacale più forte in assoluto. Ma ahimè, sono rimaste poche teste e di legno per giunta, per cui l’escalation verso il baratro e’ inevitabile. A sentire “loro” va sempre tutto bene, ma i disastri sono sotto gli occhi di tutti (il tesseramento ne da ampia dimostrazione). Un caso per tutti, la femca guidata da incapaci persino di mettersi i calzini la mattina, di “sindacalisti(?)” che contrattano per il settore gas/acqua, ma che il gas lo conoscono solo perché la mattina mettono su il caffè e l’acqua perché la mattina si lavano il viso.
Cambiare tutto per non cambiare niente?
No, cambiare tutto per peggiorare tutto.
Del resto, con la carta di credito della federazione in tasca si aggiusta tutto. Brutti tempi.
Secondo l’Ocse i redditi nel primo trimestre sono cresciuti rispetto l’inflazione del 3 e qualcosa %. La mia impressione è che sia diminuita l’inflazione vedi costo benzina, e pochi altri beni di consumo. I redditi per quanto mi riguarda sono gli stessi da anni. E i rinnovi contrattuali sono ben sotto l’inflazione reale. Ma immagino che la Cisl esulti e ne faccia suo il presunto merito.
In Femca comandano gli ex,quelli che hanno messo la signora Disatri,quelli che per vendetta hanno fatto fuori tutti quelli che erano chimici comunque flerica,quei tessili che hanno prima portato al baratro la filta e poi continuano a fare danni impunemente….usano i soldi anche di dove sono ora pur di mantenere il potere su quella disastrata categoria e continuano a riempirla di teste di legno che ben che vada fanno “solo” tante ferie con le auto grosse dell’organizzazione millantano iscritti che non ci sono mantengono elenchi fittizzi di anni fa…insomma sono come le truppe di Mussolini….con le scarpe di cartone in russia…..chissa se qualche dirigente serio vedrà queste cose e chiamerà a raccolta i pochi onesti rimasti….dubito ma la speranza è l’ultima a morire
Chiediano a Daniela se avra’mai il coraggio di chiedere conto a Nora della situazione sul suo settore di provenienza cioe’il gas acqua anzi del settore acqua visto che ne e’molto esperta. Come e’ noto a tutti lei e’ di provenienza dall’ Amap di Palermo dove si riscontra la cronica mancanza di acqua e dove lei forse ne ha visto un sol bicchiere.
Che le si chieda quanti iscritti ci sono, da chi sono seguiti e soprattutto come vanno le elezioni delle Rsu. Ne scopriremo un quadro desolante praticamente azzerato soprattutto dopo gli interventi isterici con la FLAEI che ne han portato la disfatta della femca in Acea.
Tutto questo Daniela lo sa?
Non credo …
E non credo voglia nemmeno saperlo perche’ ad oggi con questa cisl a trazione meridionale non interessano i lavoratori ma la gestione del potere..e qual’e’ la miglior testa di legno se non Nora per poterlo gestire al meglio in federazione per intressi di bottega?
Ieri ero al meeting
Che pena vedere la cisl ridotta cosi..
Servi che si accreditano fintamente al suo al capo morente..
Una schiera di lacche’ ad uso meridionale (come piace molto al capo meridionale) che seleziona il gruppo in base alle convenienze di potere con nepotismo spinto e donzelle di corte come nelle migliori dinastie regali in decadenza.
Al meeting si vede questo si percepisce questo
La Cisl e’ cosi..
Nobilta’ borbonica in decadenza
Anzi in putrefazione e se ne sentono gia’ i miasmi…
Servi infedeli..così li chiamo io. Perché sono sempre pronti a saltare sul carro del vincitore….e sarà la stessa cosa anche con Daniela. Prima servitori e lacchè e poi pronti ad abbandonarla alle sue prime esitazioni.. Vedrete, andrà proprio così..è già scritto.
Non devi essere più in Cisl da molto , oppure non devi frequentare gli organismi o ..terza ipotesi al meeting non ti hanno fatto entrare.
Perché io c’ero , e di consiglio generale ne ho visto un bel po’
commento dvvero efficace,in poche righe il disastro della cisl degli ultimi 10 anni….che pena per chi milita da decenni in questa organizzazione e ha sputato sangue nelle fabbriche prima con le brigate rosse e poi con la cgil….qualcuno sopra richiamava la speranz dei pochi onesti rimasti,ma dove sono ormai anche a nord ci siamo riempiti di lacchè e di gente che stà là per lo stipendio e basta….ancora una volta guardare alla femca ,una categoria di zombie con gli iscritti finti e dirigenti del passato remoto che dirigono dietro le quinte….poi un velo pietoso sulle cisl intese come confederazione…dirigenti che solo poco tempo f non avrebbero nemmeno superato i corsi di formazione per delegati…
Naturalmente su questo blog nessuno pensa, e quindi non lo pensi neanche tu, che le brigate rosse possano essere messe sullo stesso piano della Cgil Se non altro per rispetto verso Guido Rossa.
avete fatto bene a correggermi,onestamente non pensavo di metterli sullo stesso piano anzi insieme abbiamo combattuto le brigate rosse….mi riferivo poi a battaglie esclusivamente sindacali ….graie davvero di avermi ripreso serviva chiarire
Non ti abbiamo ripreso, non ce lo saremmo mai permesso. Abbiamo solo voluto evitare eventuali equivoci.
La Cisl al meeting va a pagamento. Paga per gli stand di Inas Caaf e in cambio li invitano al panel col Governo. Almeno quest anno c era il Ministro del lavoro (per quel che vale). Gli anni passati invitati panel spesso palesemente appiccicati. Con convocazione (a spese di lavoratori e pensionati iscritti) degli organismi delle regioni circostanti e dell esecutivo per avere il pubblico.
Come le pagine su Avvenire e il Dubbio.
Tipo quando pagavamo fior di quattrini degli iscritti per far scrivere libri ( parola grossa ) da alcuni segretari generali…brutti vizi
Caro “vizio”, lo diciamo a te per dirlo a tutti: ma perché non fate mai nomi e cognomi? Come sapete, su questo blog non abbiamo difficoltà a pubblicarli.
fare nomi e cognomi e presentare fatture. Comunque già scrivere é una grossa competenza ormai faticano a leggere whatsapp.
Lo scorso 2 agosto la cisl veronese ha sostituito Sabaini Andrea che da qualche settimana è entrato in segreteria regionale del veneto. Peccato che nel cooptare Creston Fabrizio nel consiglio generale, prima di eleggerlo in segreteria, la segreteria provinciale, il nuovo segretario generale del veneto e la signora Fumarola Daniela non si sono fatti bene i conti. Pare che su 95 aventi diritto al voto ci fossero 63 votanti. Se si fanno bene i conti in termini percentuali solo il 59,85% del consiglio generale ha partecipato alla cooptazione. Questo significa che a detta operazione di voto hanno partecipato meno dei due terzi degli aventi diritto e che l’elezione del signor Creston è illegittima. Ma in questa cisl e con questo gruppo dirigente ormai di legittimo non è rimasto più niente. E le regole sono solo una proforma. In bocca al lupo a questo nuovo corso che è più vecchio del vecchiume che ci ha governato sino a ora,……
Non siamo in grado di verificare queste informazioni, e offriamo come sempre ogni spazio per qualsiasi replica. Però è vero che quello di non rispettare le regole nelle votazioni è un vizio ormai diffuso da almeno un decennio. Come quando nel 2014 si voleva far votare lo scioglimento della Fai senza voto segreto (e chi l’ha chiesto e ottenuto è stato punito per questo). O come quando Sbarra proclamò eletto il segretario della Fai in Abruzzo in una votazione con meno del 50 per cento dei votanti, come risultava dallo stesso verbale.
Rispondo all’anonimo del 27 agosto 2024 ore 22.15. A me risulta che i componenti del direttivo in questione siano 94 e non 95. È comunque una differenza minima, che in termini percentuali non mi pare cambi un granché.
Pura considerazione algebrica: 63 votanti, su 94 componenti, rappresentano i 2/3, o sbaglio?
Crediamo di sì, come crediamo che 63 su 95 non lo sarebbero. Poi bisogna distinguere fra la questione matematica, la questione statutaria e la questione politica. La prima è determinante ai fini della seconda, ma la più interessante è la terza.
Se han votato in 63 su 94, i 2/3 ci sono, o sbaglio?
Per cui la femca nazionale sarà il refugium peccatorum ?
La Femca è già refugium peccatorum, loro e la Fim soprattutto in Puglia e Lombardia stanno facendo a gara per accreditarsi con la futura segretaria nazionale, non hanno capito che sull’ industria lei vede solo la Filca .
Sbarra farebbe bene a controllare iscritti e conti di alcune province lombarde e pugliesi di quelle due categorie prima di andarsene
Altroché che Fim in difficoltà, al loro esecutivo nazionale hanno accolto Graziani con affetto e calore , le foto dimostrano unità e compattezza finalmente
ma a chi interessa ?
la notizia è che la cisl ha mandato il bagnino
che brutta vita che fai:
accreditarti al segretario di turno.
E ad invidiare chi fa come te.
da impiegate tecniche a componenti delle segreterie, a segretarie generali. Quanti San Giuliano anche nella cisl