(dedicato a chi va dicendo in giro che non è coerente per chi condivida la cultura della Cisl andare a chiedere giustizia al giudice)
Si può essere coerenti con le parole, che però di per sé sono solo parole; e si può (anzi, si deve) essere coerenti con ciò che le parole significano.
La coerenza con le parole è fine a sé stessa; e qualche volta può essere un paravento per non guardare in faccia la realtà e non riconoscere il proprio dovere di agire.
La coerenza col significato delle parole non si autocompiace, ma è il tentativo rischioso e difficile di fare in modo che la nostra azione serva ad affermare la sostanza di ciò in cui si crede.
La coerenza con le parole è pura ed incontaminata, perché è vuota.
La coerenza col significato delle parole non è mai perfetta, perché è reale.
E soprattutto, ma chi ha detto mai che chiedere al giudice di garantire il rispetto di un contratto (e lo statuto è un contratto) sarebbe in contrasto con il valore dell’autonomia? Perché nella vicenda del commissariamento della Fai una cosa è certa: che il congresso ha votato liberamente contro l’autoscioglimento, e per reazione la Cisl ha commissariato la Federazione. Quindi ha violato lo statuto che lega le federazioni nella confederazione sulla base del principio dell’autogoverno delle categorie.
Noi andiamo dal giudice a chiedere il rispetto dei patti. Dov’è l’incoerenza?