La scelta di Pinuccio

La scelta di Pinuccio

Redazione il9Marzo.it   admin 10 febbraio 2017 9 Commenti

Pinuccio Rustioni si è dimesso dalla Fai e dalla Cisl. Ed ha deciso di proseguire il proprio impegno per i lavoratori dell’agricoltura in provincia di Milano dentro ad un’altra organizzazione.

Non è il primo che ha fatto questa scelta, eppure poche notizie descrivono come questa la mutazione genetiche subita dalla Fai negli ultimi anni. Perché Pinuccio non è stato solo uno dei dirigenti più bravi della federazione, ma anche allievo e continuatore dell’opera di persone come Renzo Cattaneo e Pietro Massini. Nomi che dicono poco all’attuale gestione, e questo basta a dire quanto l’attuale gestione sia estranea alla storia della federazione.

Siccome veniva da quella tradizione, da un’idea di sindacato che deve servire ai lavoratori e non ai sindacalisti, Pinuccio ha saputo svolgere egualmente bene ruoli diversi e assumersi diverse responsabilità, sia quelle più prestigiose che quelle di base. Che poi sono la stessa cosa ed hanno la stessa dignità quando sai che il senso del tuo lavoro non è la tua carriera ma dare forza e voce alle persone che rappresenti. E farlo dentro alla Cisl vuol dire avere un’idea forte di sindacato come associazione, come luogo di incontro fra persone diverse unite da questa idea. Vuol dire promuovere un’idea della contrattazione come strumento di tutela di interessi concreti più che di affermazione di leadership o di ideologie.

In un’epoca in cui si grida al contratto “storico” ogni volta che si mette una firma qualsiasi e intanto le retribuzioni restano ferme, lui, con queste forti convinzioni e seguendo la strada dell’associazione, ha lavorato per la tutela in termini concreti delle famiglie di chi vive del lavoro, sapendo che queste decisioni è meglio prenderle a livello locale che nazionale. Nulla di “storico”, molto di utile a chi ne ha bisogno.

Evidentemente nella gestione attuale della Federazione gli erano  state precluse tutte le possibilità di continuare ad essere un sindacalista così. Evidentemente nella Fai di oggi un sindacalista così stona.

Quando uno così esce, vien da dire che della Fai c’è rimasto solo il nome sulla targa e l’indirizzo al quale recapitare la posta, ma è mutata la natura dell’organizzazione. E che la scelta di Pinuccio è un giudizio sulla Cisl attuale molto più chiaro di tanti discorsi.

Noi però, che rispettiamo la scelta del nostro amico come altre situazioni personali simili alla sua, riteniamo che non sia il momento del ‘tutti a casa’, ma sia il momento della chiarezza dei giudizi.

E allora salutiamo Pinuccio Rustioni riproponendo il documento intitolato “Il bivio” che il ‘Gruppo per la Fai’ ha preparato in occasione della stagione congressuale della Fai e della Cisl. Perché il bivio oggi non è tanto se restare in un’organizzazione o andare da un’altra parte, ma fra tornare ad essere sindacato-associazione (dentro a qualsiasi organizzazione ci si trovi), per dare voce ai lavoratori, o trasformarsi definitivamente in una casta, una burocrazia che vive sulle spalle di chi lavora. Quale che sia la sigla, e quale che sia stata la storia.

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Il bivio

Il sindacalismo in Italia si trova ad un bivio: ripartire dal lavoro, e dalla rappresentanza del lavoro, o sopravvivere in una serie di apparati che hanno in sé stessi e nella propria perpetuazione l’unica ragion d’essere. Gli autori del presente documento, che hanno condiviso nella Fai la loro sta sindacale, sono convinti che per la Fai e per la Cisl il bivio, la decisione da prendere, arriva nel 2017. E la decisione che sarà presa dalla Cisl sulla strada da seguire potrebbe indicare la strada quella giusta o quella sbagliata, alle altre organizzazioni.

I – La Fai

1. La stagione congressuale che si apre nella Cisl vedrà la Fai riunita a livello nazionale per la quinta volta dal 2013 (congresso ordinario a Perugia 2013; assemblea congressuale all’Ergife 2014; conferenza organizzativa di Fiuggi 2015; congresso straordinario a Pomezia 2016; congresso ordinario 2017). Dei quattro appuntamenti precedenti, tre si sono conclusi all’unanimità; ma la verità sulla Fai l’ha detta il congresso del 2014 all’Ergife, e cioè che quell’unanimità non è vera quando non nasce da una sintesi reale, ed è il frutto di imposizioni dall’esterno.

Il successivo commissariamento come anche la gestione attuale che prosegue quella commissariale con altri mezzi sono segnati fin dall’origine da un’imposizione dall’esterno ad opera della confederazione; ed il risultato è una perdita di originalità e di autonomia della Federazione, azzerando volutamente la memoria della sua storia. Le difficoltà registrate nel rinnovo dei contratti provinciali degli operai agricoli, un livello dove la Fai era sempre stata l’elemento più dinamico e innovativo del sistema, ne sono in queste settimane la dimostrazione più chiara.

2. Né si tratta solo del problema agricolo, è tutta la linea della Fai a non essere più seriamente distinguibile per un verso dalle generali indicazioni confederali (che, per definizione, non possono dare risposte alle specifiche domande dei lavoratori di ogni settore) e per altro verso dalle posizioni assunte unitariamente con la Flai e la Uila, all’insegna di un’unità senza dialettica interna che sta costando cara alla federazione: la Fai che un tempo contendeva alla Flai il primato si trova superata dalla Uila, a livello nazionale ed in molti ambiti dove era tradizionalmente forza trainante.

Le radici di questa incapacità di rappresentare una proposta sindacale originale non sono da ricercare solo in quel che è successo a seguito del commissariamento del 31 ottobre 2014: ma certamente da allora questa perdita di originalità si è accelerata ed è stata anzi perseguita con tenacia: a cominciare dalla soppressione di tutti gli strumenti culturali e formativi che servivano ad alimentare quella originalità.

Il tutto a vantaggio delle altre organizzazioni.

La Flai-Cgil detta l’agenda all’azione unitaria, come si vede con la mobilitazione sul piano legislativo che ha provocato le resistenze e gli irrigidimenti della parte datoriale per il rinnovo dei contratti provinciali agricoli; col risultato di rimettere in discussione quell’assetto contrattuale che la stessa Flai aveva subito e la Fai aveva costruito nel 1995.

La Uila-Uil continua a rafforzarsi grazie alle risorse personali e alle posizioni sindacali che la Fai sta abbandonando e grazie ad una situazione in cui al lavoratore non sono proposte le motivazioni ideali che dovrebbero essere alla base della distinzione fra le organizzazioni.

3. La vicenda dell’unificazione (fallita) della Fai con la Filca, progettata all’insegna di un sindacato non più radicato nei luoghi di lavoro e nei territori ma erogatore di servizi, è esemplare di cosa succede quando un’organizzazione sindacale abbandona la propria identità rappresentativa per inseguire progetti organizzativi che sono nell’interesse del proprio apparato più che in quello di chi deve essere rappresentato: la Fai si è indebolita, ha perso la propria autonomia dentro alla Cisl aprendo la via del commissariamento ed ha indebolito la propria autorevolezza nei confronti delle altre organizzazioni, anche datoriali. Ed a distanza di due anni, ed in particolare dopo i diciotto mesi di commissariamento che sono serviti al commissario per farsi eleggere segretario generale, non è nemmeno chiaro se il progetto dell’unificazione sia ancora vivo o no.

Di tutto questo tempo, l’unico documento politico significativo prodotto dalla Fai è la relazione del commissario al congresso straordinario del 13-14 aprile 2016. Significativo soprattutto di come il commissario ha gestito il potere in questo periodo: con molti slogan di conio confederale e roboanti affermazioni autocelebrative, dietro alle quali nascondere il rifiuto di rispondere alla più semplice delle domande: perché la Fai è stata commissariata? Ovvero, perché gli organismi associativi democratici, che erano pienamente legittimati ad esprimere una nuova dirigenza al posto di quella dimissionaria dopo il congresso del 2014, sono stati sciolti d’autorità?

4. Non potendo dare risposte precise, con fatti e circostanze, a questa domanda si è fatto ricorso al trucco manicheo del “nuovo che avanza” e della condanna del “vecchio”; a dispetto del fatto che molto di vecchio è rimasto anche nella “nuova” Fai (a cominciare da molti che avevano avuto responsabilità politiche e patrimoniali nella precedente gestione, a differenza di altri che sono stati o si sono allontanati). Il tutto condito con una retorica sulla trasparenza nei comportamenti di cui il commissario non ha dato alcuna dimostrazione relativamente ai suoi compensi nel periodo in cui era segretario confederale (compensi che Fausto Scandola ha rivelato essere stati superiori alle indicazioni del regolamento confederale) e relativamente al fatto che dalla sua busta paga risulta dipendente in distacco dall’Anas nonostante che dal suo curriculum pubblicato sul sito della Fai non risulta aver mai lavorato presso questa azienda. Questioni sulle quali, dopo la vicenda Bonanni e quello che ne è seguito, nessuno si può permettere di non dare risposte se non perdendo il diritto ad essere considerato minimamente credibile.

5. Alla mancanza di trasparenza personale corrisponde anche una serie di dubbi rimasti senza risposta sul piano delle decisioni organizzative della gestione commissariale: perché la tenuta della contabilità della Federazione è stata data in appalto all’esterno? E perché fin dai primi mesi del commissariamento è stata chiusa la Fondazione Fisba-Fat (che aveva come principale compito la salvaguardia dell’identità storica della Fai) sostituendola con una fantomatica “Fondazione Fai Cisl-Studi e ricerche” che non ha mai fatto studi né ricerche, e della quale si è parlato solo in occasione della raccolta del 5 per mille? Perché si è tentato di cancellare ogni forma di controllo sulla gestione delle risorse della nuova fondazione, provocando la bocciatura del suo statuto da parte della Prefettura di Roma in data 11 febbraio 2015?

II – La Cisl

1. La vicenda del commissariamento della Fai è esemplificativa di come nella Cisl si sia alterato e pervertito il rapporto fra i livelli dell’organizzazione. Rapporto che dovrebbe essere imperniato sulla centralità della persona e quindi costruito su di una pluralità di livelli organizzativi articolati secondo un criterio di tipo sussidiario. Dal basso verso l’alto, non dall’alto verso il basso.

Al posto di questo sistema, si è affermato un controllo totale del centro sui livelli periferici, che, combinato alle scarse capacità di leadership della segretaria attuale e ad un abbassamento della sensibilità ai limiti giuridici ed etici del potere che Fausto Scandola ha avuto il merito di svelare, ha prodotto lo scandalo di una Cisl dove tutte le decisioni negli organismi sono prese in forza di una fittizia unanimità mentre la lotta politica si fa attraverso ricatti e lettere anonime invece che negli organismi democratici.

2. Il mancato chiarimento sul modo in cui Raffaele Bonanni è stato costretto a lasciare in anticipo la segreteria, e dopo l’uscita di Bonanni la mancata chiarezza sulle questioni sollevate da Fausto Scandola in base a documenti mai smentiti relativi anche al segretario generale Annamaria Furlan, significano ormai che questo gruppo dirigente non vuole o non può fare chiarezza.

Risulta così pregiudicata la natura della Cisl come confederazione di sindacati dotati di autonomia. Risulta pregiudicato il patrimonio ideale elaborato negli anni della fondazione del sindacato nuovo, come dimostra la sottoscrizione del documento con Cgil e Uil nel quale l’attuazione dell’articolo 39 della Costituzione – sempre rifiutata dalla Cisl – è evocata per ben due volte. Risulta pregiudicata la trasparenza sui comportamenti del gruppo dirigente, che è premessa indispensabile alla responsabilità democratica verso gli iscritti. E risulta pregiudicata anche l’incisività politica della Cisl, che ormai si limita a fare da sponda ai governi nei periodi in cui la Cgil si mette all’opposizione.

III – Il sindacato in Italia

La crisi della Cisl si colloca a sua volta in quella che, a ragione, la Civiltà cattolica ha definito “la notte del sindacato”. Una notte che non riguarda solo le organizzazioni dei lavoratori ma coinvolge pienamente la rappresentanza delle imprese.

L’involuzione della Cisl non nasce solo da motivi interni, ma è figlia anche di un’involuzione generale che vede i sindacati, compresi quelli datoriali e di impresa, staccarsi dalla base di riferimento, cioè i lavoratori, le imprese e la rappresentanza dei loro interessi, e farsi corporazione che si alimenta attraverso forme di contribuzione diversa dai versamenti dei soci; ad esempio attraverso la bilateralità, e normative di sostegno a queste forme che permettono di drenare risorse dai lavoratori, iscritti o meno, e di redistribuirle fra le organizzazioni.

Il “trentanovismo” riscoperto dai sindacati italiani e fatto proprio dalla Cisl ha anche questa motivazione di garantirsi, con contratti erga omnes, le fonti di finanziamento attraverso i servizi. Come abbiamo sentito ripetere tante volte da Mario Grandi, quello che si prefigura quando ci si mette su questa strada è un destino da ente parastatale, garantito da un adeguato finanziamento pubblico.

IV – Il sindacalismo ad un bivio

Di fronte a questo scenario, nella Cisl e nella Fai c’è il rischio che i rispettivi congressi del 2017, invece di essere chiamati a fare le scelte necessarie, siano ridotti ad un momento di redistribuzione del potere interno, risolvendosi in momenti di suggello dei nuovi equilibri, di rafforzamento delle leadership e di seppellimento della questione morale sollevata anche di fronte all’opinione pubblica che anch’essa aspetta, finora invano, risposte credibili.

Per questo, il 2017 è l’anno in cui la Cisl arriva ad un bivio, che è lo stesso al quale stanno arrivando tutti i sindacati e le organizzazioni di interesse. Ma la Cisl, che almeno in questo dimostra di aver conservato qualcosa del proprio passato, ci arriva prima degli altri e sembra destinata a fare da apripista: se prenderà la strada del ritorno alla rappresentanza potrà essere battistrada di una rigenerazione anche per le altre organizzazioni; ma se si farà trascinare dall’inerzia sulla strada seguita finora, rischia di fare una fine non molto diversa da quella fatta dai grandi partiti all’inizio degli anni ’90. Solo che, in questo caso, la fine avverrà più per consunzione lenta che per improvviso collasso.

Chi ha ancora interesse ad un esito diverso, sia come azione sindacale che come leadership nell’organizzazione, deve organizzarsi per tempo. Non è più il momento di stare nascosti ed aspettare il prossimo giro di carte sperando che ti capitino quelle buone, quando l’asso di briscola resta in mano a qualcun altro.

E’ il momento della chiarezza e delle decisioni di fronte alla propria coscienza e alla storia: della responsabilità verso un passato verso il quale abbiamo il dovere di non disperdere il patrimonio che abbiamo ricevuto, e della responsabilità verso un futuro che non potrà essere migliore del presente senza la forza del lavoro organizzato in sindacati liberi e responsabili.

GRUPPO per la FAI – dicembre 2016

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