Il presidente del consiglio, la signora Giorgia Meloni, nella replica al Senato prima del voto di fiducia il 26 ottobre scorso ha preso posizione sulla questione del salario minimo legale. Siccome in Italia, ha detto, ci sono i contratti collettivi il cui campo di applicazione copre la grande maggioranza dei lavoratori dipendenti, il salario minimo legale sarebbe solo “uno specchietto per le allodole”.
Parole di una banalità tale, ci perdoni il presidente Meloni, che avrebbe potuto dirle tale e quali lo stesso dottor Sbarra dell’Anas. Il quale, essendo un corporativo più o meno come l’attuale presidente del consiglio (corporativismo e presidenzialismo, notiamo di passaggio, sono due dei caratteri distintivi della destra da cui viene la signora presidente Meloni), può anche immaginare come soluzione l’estensione a tutti dell’efficacia dei contratti collettivi. Cioè, più o meno, quella “forza di legge” che avevano i contratti ai tempi del bisnonno politico della signora presidente del consiglio.
Stando così le cose, ci sono le basi per un’ottima intesa fra Via Po 21 e Palazzo Chigi, che condividono lo stesso modo (vecchio e sbagliato) di vedere il problema.
Passano pochi giorni dalle parole della signora Meloni, e la realtà offre, attraverso l’Istat, alcuni dati che offrono un buon termine di paragone per capire cosa è mera parvenza per ingannare le allodole credulone e cosa invece è realtà non contestabile.
Il primo dato è l’inflazione a due cifre (11,9%), che non era così alta dal 1984; con la differenza che nel 1984 quel dato segnava l’inizio di una discesa, qui rischiamo di essere all’inizio della salita.
Il secondo dato riguarda il “come” della copertura dei contratti collettivi, che in Italia è ampia, ma non piena. Perché un conto è essere vestiti in maniera completa, un conto è avere solo la foglia di fico sulle pudenda e dire che si è “coperti”. Più o meno tutto il lavoro dipendente in Italia rientra, in effetti, nell’ambito di copertura di un qualche contratto collettivo nazionale; solo che quando questi contratti collettivi scadono, poi restano in attesa di rinnovo per anni. Attualmente (dato Istat di ieri), la metà dei lavoratori dipendenti (il 50,7%) è “coperto” da un contratto scaduto e in attesa di rinnovo. E, sempre dati Istat, la media del ritardo nel rinnovo è di quasi tre anni (33,9 mesi). E se tre anni è la media, vuol dire che c’è chi aspetta da quattro o cinque anni.
Quindi ad essere una mera parvenza è l’affermazione che tutti o quasi i lavoratori italiano sono coperti da un contratto collettivo. Perché se i contratti non si rinnovano alla loro scadenza, allora è questa copertura, gentile signora Meloni, ad essere uno specchietto per le allodole o, se vuole, una foglia di fico talmente piccola da essere inutile. E tanto più in tempi di rapida crescita dell’inflazione dovuta al costo dell’energia di cui i contratti, se e quando vengono rinnovati, non tengono nemmeno conto. In poche parole, in Italia i contratti non vengono rinnovati in tempo per coprire gli effetti dell’inflazione; e quando vengono rinnovati li coprono solo in minima parte.
È anche per questo che alla testa della Cisl ci vorrebbe un/una sindacalista, e non un gerontocrate capace solo di dire oggi quello che ogni volta e su qualsiasi argomenti ripete come un disco incantato; “ci vuole un grande accordo di politica dei redditi”. Una posizione equivoca e pericolosa sia perché oggi non ci sono più i presidenti del consiglio ed i ministri del lavoro degli anni ’80 e ’90 con cui trattare e anche i sindacalisti non sono dello stesso livello di quelli di allora, sia perché la tradizione politica da cui viene il presidente del consiglio in carica tende a dare risposte formali a problemi economici sostanziali. Come l’efficacia generale di contratti collettivi che però, se non vengono rinnovati o sono rinnovati senza calcolare il costo dell’energia per il recupero dell’inflazione, non servono a nulla.
Qui non c’è da aspettare alcun patto con il governo, qui ci sono contratti da rinnovare, al più presto ed in maniera credibile. Se i sindacati, Via Po 21 in testa, ne sono capaci, che lo facciano. Altrimenti è il patto con il governo sulla politica dei redditi ad essere l’unico specchietto per le allodole.