“Alcune cose rimangono tali solo cambiando”

Riprendiamo, pur se in ritardo, un intervento di Giuseppe Bianchi, dell’Isril, che prende spunto dal decimo anniversario della morte del professor Vincenzo Saba per parlare di quello che è successo in questo decennio, nella Cisl ed in generale nei sindacati confederali.

Il fatto è, ci dice Bianchi, che se il sindacato vuole restare fedele alla propria vocazione di rappresentanza delle persone che lavorano deve cambiare sempre, perché il mercato del lavoro cambia e non aspetta le organizzazioni che restano ferme sulle forme e sugli strumenti che possono aver avuto successo un tempo. Lo aveva capito la Cisl quando è nata, rivendicando di essere sindacato nuovo, come Saba ci ha spiegato tante volte, ma oggi – il giudizio è nostro, ma forse Bianchi potrebbe essere d’accordo (Saba non lo tiriamo in ballo perché far parlare i morti è sempre una mancanza di rispetto) – non lo si capisce a Via Po 21, dove il ricordo e l’esaltazione del passato servono a non fare i conti con il presente e sono quindi un esercizio inutile, se non dannoso, per chi voglia capire dove bisogna cambiare per restare fedeli all’eredità dei padri.

Ci piacerebbe che lo spazio dei commenti ospitasse le riflessioni dei nostri lettori sugli spunti offerti da Bianchi almeno per un po’, prima di trovarsi di nuovo intasato dai botta e risposta sulle vicende della Fim; che sono interessanti, ma non sono ciò che può aiutare a capire che strada prendere per andare oltre l’ingorgo nel quale il sindacato confederale italiano è rimasto bloccato.

il9marzo.it

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Nota Isril n. 26 – 2021

Il ricordo di Vincenzo Saba: la Cisl di ieri e di oggi – di Giuseppe Bianchi

Il 21 ottobre di quest’anno è stata la giornata dedicata al ricordo di Vincenzo Saba, il maestro scomparso dieci anni fa. Nel corso della mattina è stata a lui intitolata la biblioteca dell’Inapp (Innovazione per le Politiche Pubbliche), su iniziativa del Presidente Prof. Sebastiano Fadda, e nel pomeriggio la Fondazione Pastore ha stimolato alcune testimonianze sull’impegno culturale di Saba svolto a favore della Cisl, nel solco di Pastore e di Mario Romani.

Saba ha vissuto la fase costitutiva della Cisl i cui tratti distintivi sono riconoscibili nel primato assegnato alla libera associazione dei lavoratori e allo sviluppo della contrattazione collettiva, con particolare attenzione a quella aziendale, nella prospettiva di portare il mondo del lavoro nel cuore dell’intreccio fra politica, economia e società.

Ci fu un primo percorso particolarmente premiante per la Cisl nella fase di maggiore crescita del processo industriale, le cui condizioni di rapido incremento del reddito e della produttività hanno favorito il dispiegamento delle sue strategie contrattuali innovative. Ciò non deve far sottovalutare le resistenze da subito attivate nei confronti del “nuovo sindacato” in un paese nel quale era ancora forte l’egemonia antagonista trasmessa dai partiti della sinistra storica che tendeva a privilegiare, anche nel mondo sindacale, il primato dello stato, quale costruttore di un modello di sviluppo alternativo.

Saba ha poi documentato nei suoi scritti le successive stagioni della Cisl, la cui evoluzione si è confrontata con le dinamiche alterne dei rapporti intersindacali e con il divenire di un sistema economico e sociale che si apriva alla nuova competitività del mercato globale e alle sfide del progresso tecnologico.

I rimbalzi sempre più accelerati sull’occupazione e sulle condizioni di lavoro in azienda hanno ricompattato le strategie di tutela dei sindacati dando vita a forme di unità d’azione a sostegno di piattaforme condivise. Una unità di azione che risultò efficace nell’obiettivo di difendere i diritti sociali acquisiti nella precedente fase dell’industrializzazione di massa, ma che fu deficitaria nella sua capacità di offrire una rappresentanza collettiva e una tutela sociale ai nuovi lavori creati da un mercato del lavoro sempre più frammentato. Ciò ha comportato una chiusura progressiva dei sindacati nella tutela degli interessi di lavoro più forti e più rappresentati e il diffondersi di nuove figure sociali – i precari, i nuovi poveri da lavoro, i giovani disoccupati e così via – di un mercato del lavoro alla deriva.

Risalire la china è una sfida difficile per i sindacati, in un contesto sempre più sfavorevole per il lavoro, per la presenza di una concentrazione di poteri, conoscenze e ricchezza, nelle mani di pochi, come prima non si era mai visto.

Queste evoluzioni si sono accelerate nell’ultimo decennio dalla scomparsa di Saba, per cui tocca a noi domandarci se l’attuale pluralismo sindacale che trova le sue occasionali convergenze nell’unità d’azione abbia le energie necessarie per gestire un riequilibrio nei rapporti capitale e lavoro. Una domanda non retorica se viene collocata nell’attuale momento di crisi sanitaria e di emergenza economico-sociale che propone un riposizionamento di tutti gli attori, pubblici e privati, impegnati nell’attuazione di un Piano di ripresa.

A livello politico si è dato vita ad un governo di emergenza, il governo Draghi, il cui signoraggio tecnocratico è la garanzia nei confronti dei nostri creditori europei. Ma è lo stesso governo Draghi a dire che per attuare le riforme strutturali previste dal Piano ha bisogno del supporto del mondo delle imprese e del lavoro per sbrogliare il conflitto di interessi in una prospettiva di sviluppo condiviso.

Non è arbitrario ritenere che tale sfida si ponga, soprattutto per i sindacati, in quanto l’attivazione prevista di investimenti pubblici e privati e l’accelerazione delle applicazioni tecnologiche più avanzate produrranno modifiche sociali importanti nella riallocazione del lavoro e nella sua composizione quali-quantitativa.

Per i sindacati i problemi che si prospettano sono riassumibili nella capacità di ricomporre i fili dispersi di un mercato del lavoro frammentato in una più attrattiva solidarietà e quella di intermediare la partecipazione dei lavoratori alla costruzione di un futuro che si va delineando, invertendo le tendenze in atto che accentuano diseguaglianze e povertà da lavoro.

Allora si fanno più pressanti alcune domande: non è questa una opportunità per riconsiderare le ragioni storiche alla base dell’attuale pluralismo sindacale a fronte di un sistema economico-sociale in profonda riconversione e di un sistema politico nel quale i partiti storici di riferimento sono ormai scomparsi da tempo? In un mondo del lavoro post-ideologico non c’è spazio per una nuova rappresentanza sindacale che si realizzi nella sua capacità di agire recuperando la mescolanza di interessi e di valori che era propria del sindacalismo alle sue origini? Come non notare poi come la crescita dei sindacati autonomi e l’ampliarsi dell’economia sommersa stiano mettendo a rischio la stabilità di un ordinamento sindacale la cui effettività si basa sulla tutelata rappresentanza istituzionale dei sindacati maggiormente rappresentativi, motivata proprio al fine di prevenire tali tendenze centrifughe?

Sarebbe arbitrario da parte mia ritenere che le valutazioni fatte possano oggi essere condivise da Saba, che non poté vivere questa nuova stagione.

Di sicuro non avrebbe mancato di rilevare la perdita di autorità degli uffici studi e dei centri di ricerca che nel passato alimentavano il dibattito interno fra i sindacati e il loro isolamento progressivo dal mondo accademico e degli esperti che ha accompagnato l’involuzione verticistica e burocratica in atto. Il depauperamento del capitale di conoscenze condivise tra i sindacati è una causa non secondaria delle loro attuali difficoltà di essere attori propulsivi di un nuovo modello di crescita basato sulla sua sostenibilità ambientale e sociale.

La creazione di un centro unitario di ricerca sindacale può essere un primo passo perché il loro potere non si consumi nelle resistenze corporative.

Chi si richiama all’eredità di Saba non può accontentarsi di celebrarla. Perché non diventi cenere occorre tener viva la brace che alimentava il suo impegno culturale. Vale ancora, a distanza di secoli, la regola di Eraclito “alcune cose rimangono tali solo cambiando”. Non è arbitrario ritenere che tale regola si applichi ai sindacati di oggi.

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3 Commenti - Scrivi un commento

  1. Adriano Serafino · Edit

    Ricordo qualcosa un po’ diverso da quanto cita Anonimo del 3 dicembre. Guido Baglioni rispose, a distanza, ad un interrogativo posto da Vincenzo Saba, in un convegno di studio di cui non ricordo luogo e data.
    Saba si chiedeva se la strategia seguita da Carniti non avesse trasformato il Dna originatrio della Cisl improntato sull’associazionismo e sul contrattualismo fino al punto di non più riconoscerlo. Riguardava ovviamento il percorso (organizzativo e strategico) che in quegli anni – per il rilevante contributo ideale e teorico di Pierre – si dette corso “all’assalto al cielo” con un sindacato unitario nel ruolo di “soggetto politico” che metteva in causa il ruolo del Parlamento e quindi dei partiti politici, fino a un loro bay-passamento conseguente ad accordi definiti tra Governo e Confederazioni. Un problema molto vivo allora per la forza unitaria espressa dal sindacato, problema esistente tutt’ora nonostante la maggior forza del sindacato, come si può evincere anche dalle ultime vicende per la Legge di Bilancio 2022. Baglioni rispose che il DNA originario della Cisl era tanto originale e innovativo da consentire grandi trasformazioni e innovazioni della strategia della Cisl per seguire i segni del tempo e le trasformazioni sociali e economiche. Mutati i tempi e i contesti anche la strategia di Carniti è stata consegnata alla storia, fondamentalmente perchè il sindacato non ha retto alla seconda prova per la sua unità organica. Quindi non già una parentesi ma una metamorfosi possibile proprio per come era stato concepito fin dalle origini il Dna e la potenzialità di un “sindacato nuovo”. Comunque credo sia bene discuterne ancora con un pluralismo di vedute. Adriano Serafino

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