Il dovere/desiderio di “tenere accesa la fiammella”

Dalla periferia, il punto di osservazione migliore per capire la realtà, ci arriva un contributo che legge le vicende del presente della Fai a partire dalla storia della Fisba e che dà una lettura non convenzionale e non unanimistica della fusione con la Fat da cui è nata la Fai. Considerazioni critiche e anche giustamente autocritiche, che indicano la strada di un futuro da costruire facendo tesoro degli insegnamenti di una storia lungo la quale è stata forgiata la nostra identità associativa, pur fra errori ed omissioni. Un invito che, per molti aspetti, apre il cuore alla speranza

Come scrisse un poeta francese, “la speranza, dice Dio, ecco quello che mi stupisce”.

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Ci sono momenti nella storia delle singole persone o di gruppi di esse che ti costringono a riflettere in modo approfondito, oseremmo dire spietato, sul perchè si è arrivati al presente punto della propria storia. Il commissariamento di una associazione come la Fai-Cisl, che affonda le sue radici in un passato robusto e vivace, è sicuramente uno di questi.

Riflettere su questo versante è davvero impresa ardua, sia per ovvi motivi di spazio, che, soprattutto, per la limitatezza di visione storica dell’estensore del presente scritto.

Tuttavia il dovere e il desiderio di affrontare questa tematica è forte e vogliamo correre questo rischio, preavvisando chi vorrà spendere del tempo nel leggere queste righe, della parzialità delle riflessioni contenute.

Iniziamo dal ’68,la guida coraggiosa di un certo Paolo Sartori, assecondato da studiosi di rango, quali il prof. Silvio Costantini, portò la Fisba la categoria dei lavoratori agricoli della Cisl, fuori dalle secche aride di un ideologismo difficile da sconfiggere, che si muoveva verso una unità sindacale fine a se stessa.

Non così fu per la Fulpia, la federazione degli alimentaristi Cisl, che disconoscendo un tessuto di delegati bel radicati nei caseifici e nelle aziende di trasformazione, che si stavano preparando a fare il grande salto industriale (Invernizzi, Galbani, Citterio,…….), cavalcò esperienze di astrattezza sindacale che ne segnarono il lento e inevitabile declino, nonostante il settore conobbe in quegli anni uno sviluppo senza precedenti.

Due federazioni che presero strade diverse per ritrovarsi dopo quasi trent’anni a condividere un percorso di accorpamento.

Nel frammezzo, negli anni ’80 e ’90 cosa successe?

La Fisba,in continuità con la sua radicale scelta di fedeltà alle intuizioni originarie fondative della Cisl, sviluppò appieno la sua “autonomia categoriale”, non senza errori.

Si pensi a questo proposito alla sciagurata scelta di fine anni ’70, sotto il comando dell’allora segretario generale Carlo Biffi, di optare per il contratto nazionale agricolo, come livello di negoziazione principale, trasformando i patti provinciali in integrativi con una mera funzione residuale.

Ci vollero più di vent’anni per rimediare a quell’errore, con la rivoluzione contrattuale del settore agricolo del 1995, con indiscussi protagonisti chiamati Albino Gorini (segretario generale Fisba) e Pietro Massini (segretario responsabili delle politiche contrattuali Fisba).

La Fulpia, diventata nel frattempo Fat, arrivò all’appuntamento della fusione “moribonda”, dissesto organizzativo e debiti, al di la di qualche lodevole eccezione, erano all’ordine del giorno.

La Cisl invitò le due federazioni ad accorparsi, al fine di organizzare al meglio tutti i lavoratori della filiera agro-alimentare.

Un progetto ambizioso e allo stesso tempo naturale, però di non facile costruzione, data la diversa storia organizzativa, contrattuale, ma ancor di più culturale.

Chi scrive pensa che un primo “vulnus”, foriero dell’attuale commissariamento, nasca in questo contesto, non tanto per il disegno di affiliazione delle due categorie, quanto per la posizione della Cisl, che al di la della bontà del progetto di fusione, voleva attraverso questo passaggio attirare a se una categoria troppo “autonoma e anomala” quale era la Fisba.

La storia dell’accorpamento Fai ha vissuto degli alti e bassi, alcuni sindacalisti Fisba lusingati da una prassi tutto sommato più facile e notoria, hanno perso molto smalto operativo scimmiottando un politichese sindacale denso di appuntamenti con dirigenti sindacali e riunioni di apparati, mentre i sindacalisti targati Fat, anche qui con qualche positiva eccezione, non si sono mai del tutto integrati, vedendo spesso nel settore agricolo “la gallina dalle uova d’oro” al pari di quanto capitò dieci anni prima in casa Cgil, con l’allora Federbraccianti “risucchiata” dalla propria categoria alimentare.

Però il progetto stava in piedi, si guardava al futuro, con la formazione di una nuova generazione di sindacalisti Fai.

Fulcro essenziale divenne percio la politica formativa, dove un ruolo operativo di primo piano venne assunto dal prof.Giampiero Bianchi,vero erede della viva tradizione di costantiniana memoria.

E poi?……E poi la storia dei giorni nostri, il progetto Fai-Filca, la più marcata invadenza della Cisl, le debolezze di tanti, le molte incomprensioni fraterne e quindi una storia spezzata, ferita ma non morta………sotto le ceneri di una categoria commissariata può infatti nascere un sindacato nuovo.

Un settimanale degli anni ’80, si chiamava “Il Sabato” pubblicò in quel periodo una pagina interamente dedicata alla Fisba, titolata: “Un sindacato nuovo nasce dalla terra”.

Il commissariamento prima o poi finirà, stiamo vigilanti “con le lampade accese”, perché un sindacato nuovo nascerà dalla terra, dobbiamo provarci, se non altro per lealtà verso quegli uomini che ci hanno consegnato un sindacato reale.

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