Oggi, 20 giugno, era il giorno indicato dall’atto di citazione per la prima udienza sull’azione civile contro il signor Giovanni Graziani, considerato (erroneamente e strumentalmente) unico responsabile di quel che scrive questo blog; che invece è frutto di un’azione collettiva e di un’identità collettiva che si richiama a ciò che la Cisl e la Fai (e la Fisba prima ancora) sono state un tempo, ed ora non sono più.
La frettolosità dell’avvocato di Via Po 21, uno che si occupa di tante cose e non può controllarle tutte, gli ha impedito di guardare il calendario e accorgersi che il 20 giugno da lui indicato cadeva di domenica. La giudice designata ha quindi ordinato lo spostamento dell’udienza al 15 settembre.
Nonostante il rinvio, ci sembra giusto, in questa data a suo modo simbolica, spiegare quale sarà per noi la posta in gioco nel giudizio: e cioè la libertà di parola. Una cosa che va rivendicata esercitandola sempre, quale che siano i costi relativi. E quindi anche quale che sarà la decisione finale della giudice. Perché una libertà va rivendicata con fatti concludenti, e se ci sono delle leggi in base alle quali chi esercita questa libertà può essere condannato, allora quelle leggi vanno violate apertamente, rivendicando di averle violate se ad obbedirle si cade nell’errore di chi non si accorge quando obbedire non è più una virtù.
Di fronte al Tribunale Supremo spagnolo che lo processava per aver organizzato un referendum sull’indipendenza della Catalogna, rivolto a quei signori con le toghe ed i pizzi che di lì a poco si sarebbero riuniti in camera di consiglio per decidere se tenerlo in galera per altri anni ancora, uno dei leader indipendentisti, Jordi Cuixart, ha detto apertamente: “ho tornarem a fer”, lo rifaremo. Perché la loro iniziativa, giusta o sbagliata, era una rivendicazione di libertà. E chi rivendica una libertà non cerca clemenza né compromessi ma la esercita di fatto.
Anche noi del 9 marzo, che possiamo avere idee diverse fra di noi sulla questione catalana, andremo a giudizio rivendicando la libertà di scrivere tutto quel che abbiamo scritto. A cominciare dai giudizi sulle persone. E se la giudice dovesse condannarci (sbagliando) a risarcire i presunti danni sofferti dal dottor Sbarra dell’Anas per essere stato definito “un non sindacalista”, un “licenziatore di padri di famiglia” o “il peggior segretario generale della storia della Cisl”, noi diciamo fin d’ora che nessuna sentenza ci impedirà di farlo ancora. Vada come vada, “ho tornarem a fer”, lo faremo ancora e ancora. E daremo ancora voce, attraverso i commenti (meglio se firmati, ma rispettando la scelta dell’anonimato) a chi trova qui la libertà che non c’è più in una Cisl dove commissariamenti, espulsioni e licenziamenti sono usati come strumenti di governo.
E tutto questo lo diciamo fin d’ora, a prescindere dal fatto che la citazione sia talmente sconclusionata e piena di bugie da non doverne temere alcunché, o che dalle puntate di Report siano uscite fuori cose che autorizzano a definire l’attuale segretario generale della Cisl non solo un licenziatore di padri di famiglia ma anche un collocatore di persone di una famiglia in particolare, cioè la sua.
Ma sul perché il processo al 9 marzo non ci fa paura parleremo più ampiamente nelle prossime puntate.
Pensano che tutto il mondo sia come l’esecutivo della cisl. I “tengo famiglia” che per salvare i loro stipendi e prebende hanno chiuso un occhio sulle ossessioni di una pazza. Come dicevano altri, ora la Uil ci dà lezioni di moralità…