L’ostacolo

Da un po’ di tempo, i metalmeccanici hanno un nuovo nome: sono diventati “l’ostacolo”.

L’ultimo a chiamarli così è stato il solito Enrico Marro sul Corriere della Sera, ma basta fare una ricerca in internet con “metalmeccanici” e “ostacolo”, ed ecco che escono fuori parecchi risultati recenti.

Eppure fino a qualche tempo fa “l’ostacolo” era uno solo, e si chiamava Maurizio Landini: un sindacalista vecchio più di quel che dica l’anagrafe, bravo a parlare in tv ma non a chiudere i contratti, e giù con altre meritatissime critiche (che, al tempo stesso, valevano anche come elogi per gli altri). Un ostacolo, quello della Fiom (così si diceva e così poi accadeva), destinato comunque ad essere travolto dal nuovo che avanza.

Oggi invece Landini va meno in tv e i metalmeccanici sono tornati, se non proprio all’unità dell’autunno caldo, in una situazione in cui lo schema “di qua il nuovo, di là il vecchio” non funziona più. Addirittura hanno scioperato assieme per il contratto nazionale, ed ecco che sono diventati “l’ostacolo”: le federazioni di quella che fu la categoria principe, la guida di tutto il movimento sindacale, si frappongono ad una riforma che sancisca  – come spiega l’articolo di Enrico Marro – la prevalenza del contratto aziendale su quello nazionale.

Evviva l’ostacolo, viene allora da dire.Perché questa storia che il contratto aziendale deve prevalere su quello nazionale altrimenti non si riesce a contrattare la crescita della produttività è un po’ come la storia del “salario variabile indipendente” dell’autunno caldo: cioè qualcosa di non dimostrato, anzi, di smentito dai fatti. In breve, una fesseria (allora le fesserie erano operaiste, oggi di segno opposto, ma sempre fesserie sono). Perché a livello aziendale gli aumenti di produttività specifici si possono tranquillamente ripartire senza alcun bisogno di dover massacrare il contratto nazionale. Basta riequilibrare e redistribuire le funzioni fra primo e secondo livello. E basta lasciarlo fare a chi lo sa fare.

E la stessa minaccia del governo di cui Marro si fa ambasciatore (“se non si supera l’ostacolo interviene la legge”) può anche essere letta al contrario: se il governo può fare la legge, perché aspettare che la riforma la facciano i metalmeccanici? Il motivo è lo stesso di sempre: perché le leggi che vogliono regolare il sistema contrattuale costano fatica e non raggiungono il risultato. Ad esempio, ve lo ricordate il famoso “articolo 8”? Quello che ha già stabilito, per una lunga serie di materie, la prevalenza del contratto aziendale non solo sul contratto nazionale ma addirittura sulle leggi dello stato?

Quindi il legislatore è già intervenuto, ed ha dimostrato la propria incapacità regolatrice; e la sua pistola (“altrimenti faccio la legge!”) non ha molti colpi in canna. E la mira non è quella di Campriani. Anche perché il mondo della contrattazione collettiva è molto più vario e articolato, ma la parola giusta è da usare è più “libero”, dei corsetti legislativi in cui si vorrebbe farlo entrare. Il bersaglio è mobile, ed è una bella pretesa dirgli che deve stare fermo.

Un esempio: il contratto per gli operai agricoli, dal 1995, prevede un sistema in cui il contratto nazionale regola il sistema e garantisce aumenti minimi, ma poi la regolazione effettiva viene fatta nei contratti provinciali. E qui come la mettiamo? Qual è il livello al quale il contratto aziendale dovrebbe derogare? E a che scopo?

E’ evidente che lo sviluppo della contrattazione, proprio se la si vuole legare alla produttività, non ha bisogno di pseudo-riforme (legislative o contrattuali che siano) che mettono nello stesso calderone la contrattazione nell’industria e nei servizi, in agricoltura come nel pubblico impiego. In breve, ci vuole più spazio ai sindacati di categoria, e meno alla politica e alle confederazioni.

Perché nel 1993, quando c’erano da risolvere problemi generali, la politica e le confederazioni furono in grado di dare le risposte che erano necessarie. Da allora, ed è passato quasi un quarto di secolo, non hanno più saputo dare risposte, ma anzi hanno impedito (con gli “accordi storici” sulla rappresentanza che non hanno risolto nulla, con riforme come gli articoli 8 e altre amenità varie) ai sindacati di categoria ed alle controparti di trovare direttamente le soluzioni. Mentre Marchionne le sue riforme alla Fiat, giuste o sbagliate che fossero, le ha fatte uscendo da quel sistema, e trattando liberamente con chi ci stava.

E se il vero “ostacolo” fossero proprio i governi e le confederazioni?

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3 Commenti - Scrivi un commento

  1. E se il vero “ostacolo” fossero proprio i governi e le confederazioni?
    A mio avviso è proprio così SONO LORO IL VERO OSTACOLO, per un motivo molto semplice perché è risaputo che l’origine delle confederazioni fu il punto di mediazione tra partiti ed ideologie diverse ma oggi non ci sono più ne partiti ne ideologie ne democrazia, (però non si può dire al popolo) e allora come fare convivere un governo presieduto da un non eletto che lavora per una dittatura costituzionale con una classe politica dove ogni politico è un partito che opera in funzione della propria convenienza del momento; anzi più che dittatura mi viene in mente un nuovo vocabolo che il prof. Amber Kumar Parajuli ha coniato in un suo libro dove riferendosi all’Italia scrive: “un paese di cui un po’ conosco pregi e difetti perché ho studiato lì a partire dal 2011 cessarono i governi eletti o almeno i governi che praticassero i programmi votati dagli elettori. Anzi, chi comandava governava in senso del tutto opposto, poiché “nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso“ come aveva previsto Guy Debord negli anni ’60 del XX secolo. Le elezioni democratiche non erano state abolite, ma le regole venivano costantemente cambiate in modo che nulla cambiasse nella selezione della classe dirigente, espressa da una minuscola oligarchia finanziaria quasi sconosciuta alla gente comune. E più che governare, il capo comandava, poiché lo stile e la vivacità della tirannide avevano conquistato il cuore della gente. La strada verso la forma di governo che oggi conosciamo come olicratura era stata imboccata. Anche il significato originario delle parole si era evoluto, se la guerra era diventata per tutti una missione di pace e, parlando del denaro trattato con religioso rispetto, la “garanzia interna” chiamata appunto bail-in non garantiva per nulla il depositante, assimilato all’obbligazionista. Perciò l’iniziale diffidenza per la parola “olicratura” venne presto superata. In fondo, era la sintesi perfetta di tre sistemi imperfetti: oligarchia, democrazia e dittatura, con un pizzico di tirannide. E, alla fine degli anni ’20 del XXI secolo, la governance olicraturiale godeva di grande consenso»”.
    Capite bene che mantenere in vita l’involucro del vecchio sistema democratico trasformato in olicratura senza che il POPOLO e nel nostro caso che i lavoratori ed iscritti se ne accorgano diventa sempre più arduo per non dire impossibile.

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  2. Avete letto quanti improperi raccoglie la Sig.ra Annamaria in risposta ai suoi tweet da statista?
    Oramai che si è sputtanata con le note vicende non le crede più nessuno; ha portato nel fango tutta la Cisl!
    Che vergogna! Si vergogni lei è tutti quelli che le hanno retto bordone! E glielo reggono ancora!
    Ma possibile che non si riesca a mettere insieme una mozione alternativa alla Furlan & co. in vista del prossimo congresso?
    Ma in Cisl c’è ancora gente con le palle?

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  3. anonimi per necessità · Edit

    Speriamo in qualche pensionato che si attivi con ricorsi, articoli e domande ufficiali prendendo spunto dalla grande massa di informazioni giunte a questo sito. Gli attivi, in nome dell’unità(solo per i loro privilegi) li espellono.
    L’avete capito?

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