Da Luigi Viggiano, sul libro di Bentivogli e molto altro

Dal nostro amico Luigi Viggiano della Fnp di Savona riceviamo un contributo ad ampio spettro di contenuti che volentieri proponiamo alla riflessione di tutti.

www.il9marzo.it

<<ABBIAMO ROVINATO L’ITALIA?>>

IO PREFERISCO LIBERARMI NEL LAVORO NON LIBERARMI DAL LAVORO
<<IL SINDACATO DEL FUTURO? SE NON TUTELA I GIOVANI E’ GIA’ MORTO>>
(Così parlò Marco Bentivogli segretario della FIM CISL)

Che il sindacato abbia rovinato l’Italia mi sembra esagerato e forse anche presuntuoso; diciamo che vi ha contribuito in modo non proprio marginale, con la conseguenza che oggi patisce la perdita di peso e ruolo politico come tutti i corpi intermedi e con l’aggravante di aver tradito deliberatamente la fiducia di tanti iscritti ed il pensiero di quanti contribuirono alla sua fondazione e crescita che mai avrebbero immaginato un tradimento così sfacciato, degli ideali che li avevano ispirati. Bisogna riconoscere che per essere il segretario nazionale di una categoria di peso (quale è stata finora la fim), a parte il solito abbaiare alla luna non è che poi concretamente il suo operare si discosti tanto dal resto della segreteria; è solo una questione di forma, come osa il tapino assumere iniziative autonome, ignorando che nella Cisl da un po’ di anni vige il centralismo democratico al quale le categorie, fim compresa, devono soggiacere?

      Questi signori continuano a vivere in un mondo che non c’è più e come gli struzzi pensano che basta ignorare l’evidenza di tutte le rivoluzioni ed evoluzioni accadute, per poter continuare, indisturbati come sempre.
Naturalmente questa è la mia impressione che sarà senz’altro smentita dalle parole ma non certo dai fatti che, in quanto tali, pesano come macigni sulla coscienza di chi ce l’ha.

    Senza la presunzione di voler togliere il ruolo a nessuno mi permetto di riportare un’analisi della realtà che andrebbe meglio approfondita e compresa per tentare di rivitalizzare il sindacato del terzo millennio. Molte informazioni le ho acquisite da letture di vari autori ed in particolare del prof. Domenico De Simone.

    Ebbene è evidente a tutti che la a produzione (in senso lato) si sta modificando in maniera talmente radicale da rendere necessario un nuovo paradigma concettuale per poterne comprendere la natura e capire in che maniera essa incide sulla nostra libertà e capacità di scelta. Presto si dovrà abbandonare il concetto di ricchezza come di una torta che si divide perché questa idea non è più vera da anni, anche se continua ad essere usata per la giustificazione politica delle scelte economiche.

Oggi, in un contesto di produzione immateriale, nel quale cioè, quello che conta sono le idee e le capacità personali dei produttori, è divenuta ancora più falsa. Se può avere apparentemente un senso impadronirsi di uno stabilimento, di immobili o terreni, l’esproprio di una società che produce idee (dal software al cinema, alle consulenze, al finanziario) comporta la dissoluzione dell’azienda e del suo effettivo valore. Rappresentare i nuovi lavori e le nuove professionalità, non è facile perché sono troppe le variabili e sempre più rapidi i tempi con cui interagiscono e modificano la società. E’ riconosciuto da tutti che il contesto esterno è diventato, per i sindacati, decisamente ostile. Eppure questi invece di accettare e studiare la realtà adeguandovisi, ristrutturandosi e riorganizzandosi; stoicamente mantengono le posizioni e insistono nell’affrontarle trasferendo, in larga parte il core business nell’attività di servizi (uffici pubblici parastatali).

D’altra parte però cambiano i luoghi del lavoro e laddove ancora resistono si scompone l’appartenenza di classe, si fraziona la prestazione lavorativa. “Non c’è mai stato un momento peggiore di quello di oggi per un lavoratore che ha da offrire soltanto capacità “ordinarie” perché computer, robot e altre tecnologie digitali stanno acquisendo le medesime capacità e competenze a una velocità inimmaginabile”, hanno scritto Erik Brynjolfsson (professore al Mit di Boston) e Andrew McAfee (ricercatore) ne “La nuova rivoluzione delle macchine.

      Ecco, la tecnologia trionfante abbatte il sindacato e non solo. Le medie imprese innovative italiane che possono sviluppare questo nuovo modo di lavorare sono circa un terzo del totale. Andrebbero incoraggiate assistite ed incentivate. Purtroppo però il sindacato come sappiamo è impegnato a non creare problemi al Governo e questo a non crearne all’Europa, risultato di tanto servilismo è uno scenario da disoccupazione di massa. I Generali Cisl, dovrebbero chiedersi: che cosa fanno le persone se non c’è il lavoro? La robotizzazione progressiva ha raggiunto livelli totalizzanti in molti settori. Tanto che ormai il robot non sostituisce solo l’operaio generico ma anche l’infermiere e tante altre mansioni. Eppure chi lo ha posto portandolo a conoscenza ed in discussione tra i lavoratori? Si è chiusa una fase storica iniziata con la catena di montaggio del fordismo se ne aperta un’altra. Quella del reddito di cittadinanza.

   Passare dall’operaio-manuale all’operaio-ingegnere. Lavoratori intelligenti, “il prototipo come ha scritto l’economista dell’Università di Milano Giorgio Barba Navaretti del lavoratore a-sindacalizzato. Perché avendo loro delle competenze specialistiche hanno anche individualmente un certo tipo di potere di mercato, e quindi ritengono di non aver più bisogno del sindacato”. Il sindacato se vuole avere ancora un futuro deve puntare sulla partecipazione; che però come sanno bene gli iscritti è proprio quella che, da noi, è stata eliminata con sistematicità certosina.

     Non è un caso allora che nel documento unitario di Cgil, Cisl e Uil sulla riforma del sistema di contrattazione l’aspetto culturalmente più innovativo sta proprio nel tema della partecipazione e gli sgravi di produttività. Questa della produttività è la partita sulla quale i sindacati, ad oggi, hanno fallito alla grande accettando di recuperare il gap accumulato negli ultimi due decenni, sempre e solo con lo sguardo rivolto al passato, agli anni delle scorciatoie permesse, dall’inflazione e dall’autonomia monetaria: svalutazione e indicizzazione dei salari. Tradotto in termini meno sindacalesi. Aver cercato di mantenere il passo della produttività a scapito dei lavoratori invece che agire sulle innovazioni tecnologiche; questo ci ha fatto sopravvivere ma retrocedendoci pesantemente rispetto ai paesi concorrenti, con il risultato che le condizioni di lavoro e le paghe sempre più basse hanno spostato una grossa fetta degli occupati nella fascia dei poveri. E ciononostante si insiste col voler far pagare la crescita della produttività ai lavoratori cosa ormai impossibile. La produttività non può aumentare solo con investimenti in nuove tecnologie ma favorendo la crescita che a sua volta aumenta solo in presenza di una domanda ovvero aumento dei consumi. Ecco dunque che si arriva alla new economy immateriale che può vivere solo con un salario di cittadinanza. L’immaterialità del digitale crea nuovi problemi a livello culturale con conseguenze anche economiche perché si ha difficoltà a percepirne il valore essendo abituati a concepire lo stato patrimoniale di una azienda costituito essenzialmente dai suoi beni materiali. Ma oggi la parte immateriale, in molti tipi di aziende ha superato quella materiale nel rapporto con gli utenti e consumatori. Praticamente sono cambiati i fondamentali della nostra economia per adeguarsi alla nuova realtà creatasi con la forte dematerializzazione in atto. Così si crea una discrasia tra il conservatorismo istituzionale, politico, sindacale e la società che, sottoposta a continue rivoluzioni scientifiche, tecnologiche progredisce sempre più velocemente provocando cambiamenti in tutti i settori sociali ed in particolare in quello del lavoro. Secondo gli studiosi è proprio rispetto a quest’ultimo aspetto che il sindacato ha fallito preferendo rimanere ancorato al passato invece che lottare per dare alle giovani generazioni una nuova e credibile visione del futuro. E’ da questa incapacità che origina essenzialmente il disagio sociale di oggi.

     Uno studio realizzato dall’istituto di ricerca Fast-Future per conto del governo britannico ha individuato, attraverso le previsioni di illustri scienziati, le 20 nuove professioni che nasceranno o si svilupperanno entro il 2030. Naturalmente, non si può affermare con certezza che le cose andranno così ma le probabilità, assicurano gli esperti, sono molto alte. Un motivo in più per approfondire e, perché no, trovare ispirazione per le prossime scelte in ambito lavorativo. Ecco la lista dei lavori del futuro. La new economy è una vera rivoluzione strutturale del sistema socioeconomico che investe il sistema produttivo-distributivo.

      Il passaggio chiave che ha portato alla new-economy si è avuto con la traduzione digitale delle informazioni che tramite internet (mezzo di comunicazione individuale di massa che unisce: tv, tel. e pc). Internet è il più grande sistema di comunicazione creato dall’uomo e la new-economy non è parte dell’economia ma l’intera economia. Con essa si passa dalle imprese a castello gerarchizzate e lavoro parcellizzato a imprese rete insieme di tecnici e programmi connessi e facilmente modificabili.

        Il lavoratore non è più operaio/massa ma un soggetto imprenditore di se stesso che dispone di conoscenze per interagire con altri per raggiungere determinati risultati. IL LAVORATORE DELLA CONOSCENZA fa del sapere e della tecnica il suo Habitat che con l’impresa-rete Opera/relazionandosi. In quest’ottica, il destino dell’economia sta nella sua dematerializzazione. La maggior parte dei prodotti della new-economy sono già beni immateriali, non tangibili e pertanto di difficile misurazione. Siamo ormai nell’era della conoscenza dove il fattore principale non è il fare ma il sapere (quello che si sa conta più di quello che si ha). Proprio rispetto a quest’ultimo aspetto il sindacato ha fallito rimanendo ancorato al passato.

       Il sapere scientifico avanzato produce innovazione di processi e di prodotti. Siamo così arrivati all’era dell’accesso. Con internet la proprietà privata e il mercato sono superati dal diritto di accesso così dall’economia dei mercati si è passato a quella delle reti. Cambia l’essenza del sistema capitalistico spostando il baricentro dalla produzione industriale a quella culturale.

              Secondo Rifkin (economista americano) una maggiore conoscenza potrebbe comportare per un verso, maggiore democrazia e benessere, con l’affrancamento dal lavoro e dall’alienazione, ma anche il pericolo dello strapotere delle multinazionali dei media che posseggono le reti elettroniche, i maggiori provider internazionali che gestiscono l’accesso ad ogni attività e controllano la vita di ognuno. Dalla divisione di ricchi e poveri si passerebbe a tra chi è connesso e chi non lo è tra chi vive nel cibern-spazio e chi ne è fuori. Solo qualche decennio fa non erano immaginabili molti profili professionali che oggi occupano milioni di persone nel mondo; né si possono prevedere quali saranno le nuove professioni che emergeranno nei prossimi anni. Con l’industrializzazione gli uomini si divisero in: contadini, operai e soldati guidati da una ristretta élite. La new economy ha creato migliaia di attività totalmente scoordinate tra loro da rendere difficile se non impossibile accorparle o al massimo con una qualifica molto generica come per esempio lavoratori dei servizi. Questo aspetto ha un rilievo storico enorme perché per la prima volta è impossibile identificare le classi sociali, oltre che per il censo anche dalle attività che svolgono in modo prevalente. Questo fa venir meno una forma tipica dell’esercizio del potere: quale è la gerarchia ovvero la collocazione in un gruppo funzionale agli interessi del potere, della produzione.

              Cosa accadrà nel futuro se i governi non troveranno soluzioni? Come è possibile indirizzare educazione e cultura per creare nuovo lavoro? E come possono gli affari diventare più etici? Questi sono alcuni degli interrogativi che piacerebbe vedere all’ordine del giorno di un sindacato al passo coi tempi ma che per il momento se li è posti, cercando di dare una risposta, Il Millenium project un network con base a Washington composto da 52 nodi nel mondo nello studio 2050 responsabile Work/Tech Alternative Scenarios.

                          Oltre 450 esperti delle dinamiche di tecnologia e lavoro hanno definito tre potenziali scenari per i prossimi anni, in cui si alternano: un’umanità disperata nel disordine politico ed economico, un mondo multipolare di mega-corporazioni e governi con capacità strategica e adozione della tecnologia altalenanti e un’economia dell’autorealizzazione dell’essere umano, con strategie a lungo termine condivise a livello internazionale.

     Ma se queste sono le alternative che ci attendono, quali decisioni è possibile prendere oggi in Italia per creare un futuro migliore?

       Suddivisi in quattro sottogruppi tematici su: educazione/cultura, governo, scienza/tecnologia, affari/lavoro, alternati a sessioni plenarie, secondo il metodoCharrette, i partecipanti al workshop, organizzato da Millennium Project Italia e SingularityU Milan, presso la sede di Ars&Inventio, hanno cercato di definire strategie e azioni a breve, medio e lungo termine per indirizzare il nostro futuro. Una campagna di sensibilizzazione per diffondere il messaggio di cambiamento che sarà necessario negli anni a venire. Necessità di strategie di promozione dell’imprenditorialità, attraverso modelli di scuola alternativi, sistemi di mutual coaching tra senior e giovani e riduzione degli orari scolastici tradizionali.

A medio termine scambio formativo intergenerazionale e di come portare gli over 60 nelle startup. La scuola è ancora in ridefinizione, con ulteriore riduzione degli orari, nuovi utilizzi dello spazio e con il potenziamento dell’educazione civica e della liberalizzazione degli open data. L’idea è che non ci sarà più separazione tra educazione e vita normale, ma sarà un continuum.

A lungo termine, offuscamento dei confini tra pubblico e privato e tra macchine e umani, con l’etica che diventerà il tema culturale in assoluto più importante per l’umanità. Il gruppo governo ha focalizzato l’attenzione su una strategia per il reperimento delle risorse, per attuare azioni e strategie proprie e degli altri gruppi. La prima azione si concentra sulla demonetizzazione completa: eliminare il contante permette l’emersione dell’economia sommersa, che libera risorse da investire in infrastrutture e ampliare, così, l’accesso alla tecnologia. A questi investimenti pubblici devono essere integrati investimenti privati, da attrarre con incentivi fiscali.

      Nel lungo periodo, grazie alla tecnologia, sarà possibile ridurre i costi dello Stato e liberare risorse da continuare a investire nell’innovazione. Risulta necessario anche minimizzare l’impatto sociale della disoccupazione: nei primi 15 anni, si ipotizza che la rete sociale della famiglia italiana assorbirà la crisi sociale; dal quindicesimo anno, con le innovazione di processi e i proventi dall’evasione fiscale e dalla riduzione dei costi che la tecnologia permetterà, sarà possibile avere le risorse per erogare un reddito di base universale: ciò permetterà alle persone di gestire la propria vita e decidere in quale settore specializzarsi in base alle proprie reali aspirazioni. Bisogna iniziare da subito dei percorsi di separazione dell’economia reale dalla pura finanza e dell’identità professionale e personale da quella aziendale focalizzandosi sull’individuo come centro del progetto professionale.

Dopo qualche decennio si dovrà pensare ad investire le risorse dei costi del personale, liberate da un’automazione aziendale almeno al 40%, in tematiche di benessere e work balance. Sarà molto importante, per questo, gestire le aziende come dei network professionali e pensare a riforme giuridiche intelligenti.

Così si arriverebbe al 2050, con le aziende quasi totalmente automatizzate e le risorse potranno essere dedicate alle persone rendendo il benessere sempre più sganciato dal reddito cosa che permetterà il libero arbitrio professionale, cioè la libertà di scegliere il nostro destino: potrà essere di fare tutto o niente, ma sarà una scelta libera e individuale. Le associazioni di categoria, in un 2050 in cui il trattamento pensionistico sarà sostituito da un modello di reddito di base, potranno a tal fine essere focalizzate sui bisogni individuali e del territorio, inteso come ecosistema, e sul mantenimento di tutto quello che è la salute e l’equilibrio biologico del Paese.

Questo workshop sarà replicato in diversi Paesi dalle varie sezioni del Millennium Project, forse di nuovo anche in Italia, e le strategie in discussione possono essere considerate un work in progress per discutere insieme sulle conseguenze delle nostre decisioni di oggi… perché il futuro è adesso!

Ho riportato, quasi integralmente quest’ultimo pezzo che in larga parte, rispecchia il mio pensiero per dimostrare con un esempio concreto, quello che un sindacato all’altezza del compito avrebbe dovuto e dovrebbe fare.

Concludo rispondendo a Bentivogli che scrive “IO PREFERISCO LIBERARMI NEL LAVORO NON LIBERARMI DAL LAVORO”.

Ebbene Marco deve sapere che fino a quando il fine principale dell’attività economica è di far crescere il capitale dell’attività stessa, il capitale verrà sempre spostato sulle attività che rendono di più prescindendo dal fatto che siano più o meno utili per l’uomo. Questa è la vera portata dell’efficienza che libera l’uomo nel lavoro a cui pensa? E ancora ha considerato Marco che le banche centrali prestando i soldi allo Stato innescano un debito permanente e dunque inarrestabile? Oggi viviamo in un economia basata sul debito che prima o poi diventerà insostenibile perché può solo crescere; ma se la moneta è fondata sul debito, l’uomo è costretto a lavorare per restituirlo dunque è schiavo del debito ma allora il lavoro non è una scelta, espressione della propria creatività (come lo diventerà col reddito di cittadinanza); deve lavorare per vivere. (il debito oggi  per l’uomo e gli Stati ha preso il posto delle catene usate dai negrieri qualche secolo fa).
Savona, 8 agosto 2016

L u i g i    V i g g i a n o

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Un Commento - Scrivi un commento

  1. Davvero forte questo Luigi che, se lo leggono i grandi capi, rischia di gettare “margaritas ante porcos”.
    Per noi umani mi permetto di suggerire una maggiore brevità, per non rischiare di sviare il lettore: sarebbe un peccato non ottimizzare questi contributi interessantissimi.
    Vive cordialità a tutti i gentili lettori

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