Il canovaccio (una proposta da Luigi Viggiano)

Luigi Viggiano ci manda da Savona una proposta, o come dice lui “un canovaccio di proposta”, per rivitalizzare il sindacato, imperniata sulla rivendicazione di un “reddito di sopravvivenza”; del quale si sente la necessità e per il quale ci sarebbero le possibilità.

Lo ringraziamo di questo e dei suoi numerosi cotributi e speriamo di ricevere altre proposte ed altre idee, da lui e da altri.

Anche perché la mancanza di idee e di discussione è uno dei sintomi certi della “notte del sindacato”.

www.il9marzo.it

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CANOVACCIO DI PROPOSTA VOLTA A RIVITALIZZARE IL SINDACATO

Comincio con l’osservare che, per adesso l’Italia è ancora “una Repubblica fondata sul lavoro” (art. 1° della Costituzione). E qui già mi viene spontanea una prima provocazione: come sindacato forse dovremmo batterci per cambiare questo articolo perché superato dalla realtà dei fatti; oggi l’Italia, come del resto, buona parte del mondo, non è fondata più sul lavoro ma sul consumo perché il primo si è ridotto al punto che gli esperti stimano in 3/400 milioni i lavoratori necessari per produrre, con la tecnologia e le macchine attuali, la ricchezza necessaria ai bisogni dell’intera umanità mentre contemporaneamente il consumo è cresciuto in modo esponenziale. Dove per consumo non si intende solo quello inerente i beni materiali ma anche quelli in larga parte invisibili come: sicurezza, salute, divertimento, cultura, welfare, ecc. A questo secondo tipo molto più che ai primi, la rivoluzione informatica ed internet hanno impresso una accelerazione supersonica, cosa che accorcia continuamente la durata dei piani di produzione di una azienda e dunque dell’utilizzo di determinate figure; se poi si considera che i beni materiali sono oramai, quasi interamente prodotti dalle macchine (in Corea si producono auto con catene di montaggio interamente robotizzate, al punto che i locali non hanno bisogno di essere illuminati), si arriva facilmente alla conclusione che continuare ad immaginare una persona che inizia e finisce la sua carriera lavorativa con la stessa azienda è pura utopia perché, come anzidetto, comporterà necessariamente periodi più o meno lunghi di non lavoro in attesa di una ricollocazione. Cosa che, allo stato attuale, provoca dei buchi di mancato reddito, nella vita di una persona e ancor più di una famiglia, dagli effetti devastanti perché fa da, freno a mano tirato, anche per quelle coppie che vorrebbero mettere su una famiglia ed avere dei figli.  Non si può continuare ad ignorare che il progetto di una famiglia dura una vita e quello delle aziende come visto molto meno e continua a ridursi con lo scorrere del tempo.
Un altro aspetto che penso vada riconsiderato è che, la rivoluzione industriale conseguente all’uso della macchina a vapore, concentrò i luoghi di produzione richiamando dalle campagne la manodopera necessaria (in Inghilterra i telai-tessili casalinghi, furono concentrati nella fabbrica dove venivano azionati tutti con l’energia di una sola macchina motrice); ma oggi con l’irrompere dell’elettronica e di internet si è modificato ogni aspetto della nostra vita, sia per quando riguarda la domanda dei prodotti che nei modi di produrli. Come già detto, più della metà di quello che si produce e consuma sono beni invisibili per i quali l’attività si concentra nell’ideazione, messa a punto e controllo lasciando all’utilizzatore finale l’attivazione autonoma della prestazione che gli interessa. Pertanto sempre di più al lavoratore sarà richiesta creatività, autonomia e capacità di svolgere il lavoro, a distanza, con collegamenti elettronici che rendono il lavoro discontinuo; aspetto quest’ultimo che infonde e alimenta una sensazione di precarietà che come detto ostacola fortemente il progetto di vita di tutti ma in particolare delle giovani coppie.
Di fatto dunque, sempre di più, il futuro del lavoro non sarà quello finora conosciuto, delle grandi fabbriche, bensì quello essenziale di una società informatizzata dove, le reti di sicurezza conquistate con le lotte sindacali saranno sempre meno efficaci, perché i computer ed internet hanno riportato il lavoro a casa come ai tempi dei telai prima della rivoluzione industriale. Ecco perché a mio avviso il sindacato deve rinnovarsi, battendosi non tanto per il posto di lavoro o contratto nazionale (che sarebbe molto limitativo) ma per un salario di sopravvivenza che dia continuità, anche se ridotta, al piano di vita di tutti i lavoratori che, come visto è molto più lungo di quello della singola azienda. Questa rete di sicurezza dovrebbe implicare una diversa distribuzione del reddito tra le classi sociali e tra le generazioni.
Immaginando la ovvia e ricorrente obiezione che, in questi casi viene mossa ad una simile proposta, ovvero la mancanza dei soldi, dico subito a scansi d’equivoci, che come già scritto di recente, una direttiva europea sulla questione esiste dal 1992 e a tutt’oggi dei 28 paesi europei, pensate un po’ chi l’ha finora ignorata? Italia e Grecia. Una domanda molto semplice a chi pone la questione dei soldi: come mai per una norma di salvaguardia non rispettata subito scattano le sanzioni ed in questo caso dopo 24 anni non è successo niente? Io una risposta me la sono data ma non voglio influenzare il lettore. (E COMUNQUE I SOLDI CI SONO BASTA VOLERLO. MI RIPROMETTO E PROMETTO DI SPIEGARLO COL PROSSIMO LAVORO).
Da tenere molto presente è anche l’inconsistenza del sindacato odierno, certificata non dal fatto che il Governo ha deciso di asfaltarlo ma dalla sua incapacità o volontà di formulare credibili e adeguate proposte al nuovo mondo, del terzo millennio. Si continua con ipocriti e stantii riti, triti e ritriti, in cui nessuno crede più, perché lontani anni luce dal paese reale, dalle classi lavoratrici e disoccupati in particolare. Più volte abbiamo letto e detto che il sindacato, da fucina di idee anticipatrici del futuro si è ridotto ad inseguire con affanno il nuovo che avanza; ma questo però scusate, non è la prova provata del suo totale fallimento? E non sto pensando alle categorie, ma alla dirigenza confederale che, con l’avvento di una donna alla massima carica, aveva aperto le porte a tantissime aspettative e speranze, andate letteralmente in fumo nel volgere di pochi mesi.

Il movimento donne la cui maggioranza è, a quanto dicono, particolarmente infastidita da una simile rappresentazione della propria componente non ha niente da recriminare? Per loro va bene così?
Mi permetto di ricordare che il nostro centro studi di Firenze, per decenni è stato una autentica fucina d’idee, di uomini e di proposte, non tanto e non solo a livello categoriale ma quanto confederale. L’esempio che racchiude ed esprime al meglio il mio pensiero è Pierre Carniti quando, nel 1978 venne fuori con la proposta rivoluzionaria (per quei tempi) della riduzione dell’orario di lavoro; allora si che facevamo da battistrada altro che inseguire. E questo, nonostante la politica contasse e come; oggi invece che è diventata del tutto inconsistente, lasciando un ampio spazio di manovra, noi cosa facciamo? Ci adeguiamo passivamente invece che incalzarla o addirittura sostituirla nel ricoprirne i vuoti sociali che si creano a profusione come, molto immodestamente ho cercato di evidenziare con alcuni recenti interventi. Il terreno, da questo punto di vista lo ritengo pronto a ricevere proposte che incontrano le esigenze sociali che la politica ha di fatto archiviato.
Fino a prova contraria siamo rappresentanti di una buona parte della società. Perché ci siamo ridotti a seguire la linea del governo pedissequamente, rinunciando ad avanzare proposte ripeto, sto parlando non di proposte categoriali ma d’interesse nazionale. Certo i rapporti di forza, se guardiamo solo al mondo del lavoro, non sono quelli degli anni settanta; ma noi, come ho già detto, non dobbiamo rivolgerci più al lavoratore ma al cittadino prescindendo dalla sua attività. I partiti saranno pure spariti ma le classi sociali no e noi abbiamo il dovere, in questa difficile fase storica, per la salvaguardia della democrazia e del Paese, di colmare il vuoto lasciato dai partiti. L’occasione di essere protagonisti non va sprecata e per questo faccio un semplice ragionamento. Per millenni l’uomo ha lottato contro la natura, per sopravvivere, oggi è arrivato a produrre più del necessario eppure nel mondo si muore ancora di fame e di stenti. Sua Santità Papa Francesco direbbe ”questo non va bene”.  E non va bene no!!  Se è vero che oggi si sono raggiunte le condizioni per assicurare un reddito di sopravvivenza a tutti perché allora non contrattare a livello politico questa garanzia minima in cambio del riconoscimento della teoria capitalistica secondo la quale chi sa fare più soldi legalmente senza danneggiare gli altri è giusto che li faccia. Pensate che con un reddito di sopravvivenza in ogni paese commisurato al tenore di vita medio dello stesso vivremmo lo stesso il fenomeno dell’immigrazione di massa di oggi?

Non volendo tediare oltre il lettore mi fermo anche se avrei tante altre cose da dire ma lo spirito di questo pezzo non è quello di fare un pistolotto ma di presentare come recita il titolo un “canovaccio” a cui ognuno può se vuole aggiungere o togliere pezzi.

S a v o n a, 7  M a g g i o   2 0 1 6
L u i g i       V i g g i a n o
F N P          S A V O N A

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