Libertà di parola: perché i giovani italiani se ne vanno?

Il nostro amico Luigi Viggiano ci manda da Savona un’altra delle sue sollecitazioni a non adagiarsi in ingiustificate autocelebrazioni, come quella andata in scena per due giorni a Pomezia, ed a saper riflettere ed affrontare le urgenze che abbiamo di fronte. Come quella di un paese che vede ritornare gli emigranti dall’Italia. E la Cisl non sembra aver niente da dire.

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Il dato lo abbiamo appreso dal dossier sull’Immigrazione 2015 del Centro Studi Idos: dove è riportato che nel 2014 per la prima volta dagli anni ’90 gli italiani emigrati all’estero hanno superato gli immigrati stranieri arrivati (non clandestini) in Italia. Risulta infatti che 155.000 nostri connazionali si sono trasferiti all’estero contro i 92.000 stranieri regolari che si sono insediati da noi. Secondo il rapporto, nessun straniero si è trasferito in Italia utilizzando i flussi per motivi di lavoro, ma poco meno di due terzi (60.000) sono arrivati per ricongiungersi ai familiari. Nello stesso anno però 89.000 italiani si sono cancellati definitivamente dai ruoli dell’anagrafe.
E’ cominciata così una seconda grande ondata di emigranti italiani composta dal 56% di uomini e da 44% di donne; diversa dalla prima che era composta quasi esclusivamente da uomini, con un età piuttosto avanzata. La fascia dei 20-40 anni trasferitisi all’estero nel 2014 è infatti solo 1/3 circa del totale (45.000), mentre il 52% sono over 40. Gli ultra 65enni residenti all’estero sono il 19,9% del totale, dato che rende mediamente più giovane la popolazione emigrata, visto che in Italia la percentuale di ultrasessantacinquenni è del 21,7%. Un dato preoccupante è il numero di 20/30enni che rispetto al 2013 è aumentato del 28,4%, quindi molti giovani stanno abbandonando il nostro Paese, in larga parte per sfiducia nelle possibilità lavorative.
Questo andamento dell’emigrazione è confermato anche dal rapporto della Fondazione Migrantes dove si legge che è cresciuta in 10 anni del 49,3% e negli ultimi anni ha visto espatriare una prevalenza di cittadini del Nord e del Centro Italia rispetto a quelli del Sud: nel 2014 ben 18.425 provenivano dalla Lombardia e, se 8.765 venivano dalla Sicilia, un numero pressoché uguale (8.720) erano invece veneti. Ma il vero boom è stato quello del Lazio, il quale ha visto emigrare 7.981 persone.
Una novità di questa nuova emigrazione è rappresentata dal il livello di istruzione che è generalmente buono, a differenza della prima emigrazione composta per la stragrande maggioranza da analfabeti; i laureati sono oltre il 24%, mentre i diplomati superano il 30%. A questo proposito l’OCSE ha calcolato che dal 2008 al 2014 la perdita di investimento effettuato nella formazione di “capitale umano”, che emigrando porta le sue competenze all’estero, è stata per l’Italia di almeno 23 miliardi di euro.
I paesi preferiti dei nostri connazionali sono i soliti, ovvero la Germania, che attira in particolare i giovani fino ai 30 anni, l’Inghilterra, che è diventata la prima destinazione in assoluto con circa 13.000 nuovi arrivi ogni anno ed una popolazione di italiani residenti arrivata ormai a circa 250.000 unità, a seguire Svizzera, Francia ed Argentina, ma con un incremento di altre destinazioni, come Irlanda, Cina ed Emirati Arabi, in larga parte per le competenze tecniche richieste da questi Paesi.
C’è da dire che questa emigrazione, oltre al danno economico, dovuto allo spreco di formazione non utilizzato in Italia, provoca anche un altro danno ancora più grave perché, trattandosi di migrazione giovanile ne consegue una diminuzione delle famiglie formate in Italia e soprattutto delle nascite. Nel 2014 il saldo fra morti (598.000) e nati (503.000) nel nostro Paese è crollato al punto che per trovarne uno simile bisogna andare al 1917/1918 quando la “grande guerra” aveva decimato la migliore gioventù. Non dimentichiamo poi che il saldo, comunque negativo è di molto attenuato grazie alle nascite degli immigrati (circa 1/6 del totale).
Si osserva pure che, il fenomeno in atto, anche se provocato dalla mancanza di lavoro come in passato, presenta l’aggravante che a differenza di quelle passate questa non arricchisce il nostro Paese anzi lo impoverisce.  Mentre infatti gli immigrati di inizio e metà del XX secolo arricchirono le zone depresse d’Italia con le loro rimesse e con il know how industriale che riportavano, facendo crescere il tessuto produttivo nazionale, ed anche direttamente lo Stato al quale i paesi d’immigrazione corrispondevano una certa quantità di carbone per ogni lavoratore italiano che lavorava da loro. Questi nuovi emigranti portano in altri Paesi competenze e capacità apprese in Italia (e molto ricercate all’estero) e impoveriscono le nostre università ed aziende. Non ritenete tutto ciò un motivo sufficiente per mobilitare i lavoratori ed obbligare la politica ad intervenire e combattere la crisi senza aspettare gli aggiustamenti di lungo periodo: nel lungo periodo infatti, non solo saremo tutti morti, ma l’Italia sarà diventata un Paese di serie b capace di lavorare solo manualmente e per le multinazionali estere. Vi è chiaro adesso cosa vuol dire privatizzare (VENDERE A PREZZI STRACCIATI LE NOSTRE MIGLIORI IMPRESE, BANCHE E SERVIZI) salvo poi riacquistarle quando sono sull’orlo del fallimento (proprio in questi giorni Renzi e Padoan lo hanno fatto con le banche) così la storia si ripete i politici di turno indifferentemente dal partito di provenienza eseguono gli ordini del padrone socializzando le perdite e privatizzando i guadagni. In chiusura di questa lettura vi suggerisco (alla Marzullo) di farvi 2 domande: ognuno si chieda a) cosa ha trovato arrivando su questa terra e cosa lascia; b) che ruolo aveva l’Italia nel panorama internazionale allora e oggi. ?
Oggi abbiamo una sola certezza, vale a dire che, in assenza di novità significative il futuro dei nostri figli (che saranno rimasti in Italia) non sarà invidiato da nessuno; un’altra prospettiva che non è ancora certezza ma lo sta diventando velocemente è che molto probabilmente gli italiani doc scompariranno nell’arco di poche generazioni; d’altra parte i primi segnali si avvertono già oggi, basta pensare al: saldo negativo tra morti e nati, saldo negativo tra emigranti e immigrati, disoccupazione in costante aumento, peggioramento della sanità e delle condizioni di vita in generale, mancanza di certezza di un reddito se pur minimo  e così via. E’ evidente che senza un piano di lungo RESPIRO che interessi tanto i profili culturali quanto quelli economici, alla base di questa regressione. Riservando una particolare attenzione Costituzionale alla famiglia con particolare riferimento al numero dei figli ed altre misure che ne attenzionino e favoriscono la costituzione in modo da mettere un freno al paventato rschio d’estinzione che diversamente potrebbe diventare presto realtà.
Ai più giovani vorrei ricordare che la confederazione sindacale era nata per, affrontare questi temi ed altri simili d’interesse generale, distinguendosi essenzialmente in tre correnti ideologiche che trovavano rappresentanza in Parlamento con i Partiti di riferimento. Nulla aveva da fare ne gli era permesso all’interno delle categorie che svolgevano in completa autonomia il loro compito sui posti di lavoro. Come si vede i due ruoli erano chiari e distinti. Con la implosione della Democrazia Cristiana prima e il successivo arrivo di Bonanni poi, si pensò di riciclarsi riesumando l’autonomia cosa che ancora di recente ha ribadito il povero (d’idee) Bernava; ma mi chiedo: i neo riformatori confederali lo hanno capito o no che proprio questo li rende perfettamente inutili e dunque da abolire. Il sindacato sul posto di lavoro non ha nessun bisogno delle confederazioni e per il resto rinnegando la politica in quanto divenuta una massa informe, senza nessuna differenza ideologica, e ridotta a mera esecutrice di ordini che arrivano dall’Europa. Se poi, a tutto questo aggiungiamo il ruolo marginale, precario e frantumato in cui è ridotto il mondo del lavoro italiano e i cattivissimi esempi di malgoverno interno che quotidianamente gli iscritti vivono il risultato viene da se. Potrei continuare su questa strada, con tanti altri esempi ma mi manca la voglia perché mi accorgo che più proseguo e più cresce in me la convinzione che il popolo italiano (quello che ho conosciuto da giovane) si è già estinto da tempo e quello di oggi non si può più definire tale ma solo una sommatoria d’individui che hanno letteralmente fuso la società da compatta e solidale qual’era dopo la seconda guerra, in liquida ed egoista. Praticamente lo Stato moderno che abbiamo conosciuto costituito, da un: popolo, territorio, sovranità non esiste più perché la sovranità l’abbiamo ceduta all’Europa, il popolo è in via d’estinzione rimane il territorio che di certo ci sopravviverà magari abitato da una nuova genìa.
S a v o n a,  1 6  A p r i l e  2 0 1 6                                                                 L u i g i     V i g g i                                                                                                                          F n p        S a v o n a

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