9 marzo, un anno dopo

Dal signor Giovanni Graziani, uno dei promotori del ricorso contro l’illegittimo commissariamento della Fai, riceviamo e pubblichiamo questo intervento, che ha il valore anche di celebrazione del primo anniversario di questo blog (che, per la verità, ha cominciato la propria attività il giorno seguente, 10 marzo).

Non ci vogliono le leggi, ci vogliono i giudici

Cari amici,

un anno fa cominciava la partita in Tribunale contro il commissariamento della Fai. Una partita che non abbiamo né perso né vinto, perché il Tribunale di Roma ha deciso di chiudere il campo di gioco, lasciando le cose come stavano. E così, come dicono a Napoli: “articolo quinto, chi tiene in mano ha vinto!”. Il che è però il contrario del principio dello stato di diritto.

Un anno dopo, la Fai è ancora commissariata senza che sulla legittimità di quell’atto ci sia mai stata alcun pronunciamento plausibile.

Non è stato plausibile il pronunciamento del Collegio confederale dei probiviri, che oltre a rifiutare la verifica di legittimità dicendo di essersi già pronunciato con la ratifica di legittimità (non sto a dilungarmi con aspetti tecnici, ma è possibile che un consesso di giuristi non conoscesse la differenza fra “ratifica” e “verifica” di legittimità?), ha trovato la maniera di darmi del ladro e/o del complice e/o comunque di quello che sapeva e non ha detto niente. Un giudizio che, per chi mi conosce, qualifica chi lo ha espresso.

Non è stato plausibile il giudizio di primo grado del giudice Cecilia Bernardo che, definendo la Fai un’articolazione subordinata della Cisl, o qualcosa del genere, ha dimostrato di non aver capito bene di cosa si stesse parlando.

Non è stata plausibile la decisione sull’impugnazione della decisione di primo grado, in cui i giudici hanno scritto, più o meno, che siccome il Tribunale non ci riconosceva il diritto ad agire d’urgenza (né con l’articolo 700, né con l’articolo 23 …), questo voleva dire che non avevamo titolo ad agire (che suona un po’ come una versione all’amatriciana del principio anglosassone “remedies precede rights“, che però non appartiene al diritto italiano contemporaneo).

Una storia simile alla nostra si è ripetuta con Fausto Scandola; nei cui confronti il collegio confederale dei probiviri ha inventato una figura giuridica quanto meno strana, “l’espulsione cautelare”, e poi un’altra adirittura inesistente, la “riespulsione con bis in idem”. Decisioni per commentare le quali si può citare quello che nel 1996 era stato scritto dal professor Pizzorusso a proposito degli organi di giustizia interna dei partiti:

Gli organi di garanzia previsti dagli statuti, dei quali i principali sono di solito i “probiviri” … hanno dato una pessima prova, operando per lo più come esecutori degli ordini dei leader, o comunque dei dirigenti che li hanno nominati e fatti eleggere, e dimostrando spesso una totale mancanza di indipendenza…

Ma anche in questo caso, almeno finora, il ricorso alla giustizia ordinaria è stato frustrante. Con una decisione che non ha deciso nulla, tranne una condanna alle spese dal sapore di disincentivo a riprovarci.

Ora capita di sentir dire che queste cose dimostrerebbero la necessità di una legge sindacale, di dare attuazione all’articolo 39 della Costituzione e cose simili.

Mi permetto di continuare a non essere d’accordo. Per gli stessi motivi che esponevo fra gli applausi e i complimenti di chi oggi mi dà del ladro o giù di lì, e di chi condanna le mie iniziative come il ricorso ai probiviri e l’impugnazione del commissariamento in Tribunale come una scelta “strumentale, capziosa, lontana anni luce dalla normale dialettica democratica interna gli organismi (sic!) della Federazione e della Confederazione ed assolutamente estranea alla cultura ed alla storia della Federazione”. Come scrissero i segretari regionali della Fai (o chi per loro) in un documento approvato “alla Unanimità” (arisic!) il 9 gennaio 2015, con il quale davano di fatto via libera al commissario di procedere al licenziamento di Giampiero Bianchi (a proposito di scelte lontane “anni luce” dalla storia della Fai).

Non è vero che queste cose succedono perché non ci sono le leggi, perché l’articolo 39 non è stato attuato, o perché i sindacati vivrebbero nel vuoto giuridico.

Ma di quali leggi speciali c’è mai bisogno per far capire ad un giudice che se per un commissariamento ci vogliono gravi violazioni dello statuto ed un’adeguata istruttoria, allora un commissariamento deciso per ritorsione al voto di un congresso e con un’istruttoria durata meno di 72 ore non è mai legittimo? Basta il diritto comune, basta la regola che fra le parti il contratto ha forza di legge, ed un giudice normale ha tutti gli strumenti per fare giustizia. Se vuole. Se non vuole, non lo fa neanche con le leggi speciali.

E non c’è bisogno di alcuna legge per capire che un iscritto a Verona, che ha operato tutta la vita a Verona, e la cui espulsione produce i suoi effetti a Verona, non deve essere mandato a Roma a chiedere giustizia. A meno che non lo si voglia prendere in giro.

Lo aveva già scritto Dante, sette secoli fa:

“Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”.

Noi, col nostro ricorso, abbiamo voluto “por mano” alle leggi che ci sono, per quello che era il nostro dovere. Perché il diritto e la giustizia vivono anche dell’impegno di chi non fa il giudice né il proboviro, ma cerca di vivere secondo giustizia e nel rispetto delle leggi. Di rispettarle e di farle rispettare.

Che poi, in questo impegno, finisca per scontrarsi con chi di mestiere dovrebbe venirgli incontro, è un altro sintomo della crisi spirituale del nostro paese.

Ma proprio per questo impugnare in giudizio l’illegittimo commissariamento della Fai è stato una dimostrazione di virtù civica. Tanto più se (a parte chi scrive, che non aveva nulla da perdere né da guadagnare) chi lo ha fatto ha dovuto resistere alle pressioni violente dei volenterosi esecutori degli ordini del commissario, che riuscirono a far ritirare le firme a quasi tutti quelli che avevano in un primo momento sottoscritto il mandato all’avvocato.

Per questo oggi è un bel giorno, un anniversario da festeggiare. E allora perdonatemi, ma voglio concludere alla vecchia maniera:

Viva il nove marzo, viva la Fai libera, viva il libero sindacato!

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