2/I bilanci dei regionali

Seconda puntata: i redivivi

Come abbiamo visto nella puntata precedente, i segretari regionali della Fai (a parte un paio, che hanno avuto destini opposti) sono rimasti al loro posto accettando di restare in apnea per tutti e diciotto mesi del commissariamento (il triplo del limite massimo previsto per un commissariamento dallo statuto della Cgil, e tre volte il limite, non prorogabile, del dittatore dell’antica Roma).

In questo modo, ottemperando all’ordine del dottor Sbarra dell’Anas “qui non si parla di politica!” e facendo finta di credere alla riserva di Pulcinella (il commissario resta o non resta? E lui intanto si sta facendo campagna elettorale girando i congressi in tutta Italia e percorrendo in lungo e in largo la rete autostradale nazionale, che è la sua vera passione) i segretari regionali, compresi un paio di subreggenti, sono riusciti a sopravvivere. Ed a mettere le basi per approdare in carica al congresso ordinario del 2017, quando molti di loro potranno passare la mano avendo raggiunto un punteggio più alto per la pensione, e magari potendo sperare di mantenere qualche collaborazione con la federazione, non necessariamente a titolo gratuito.

E la sopravvivenza è un punto da segnare fra le voci positive. Soprattutto per un gruppo di persone che, al di là dei singoli destini, era politicamente morto il 28 ottobre del 2014.

Ci si è infatti dimenticati un po’ troppo presto che la notte dell’Ergife non aveva segnato solo la fine dell’era Cianfoni, già prima e senza bisogno del commissariamento, ma aveva anche distrutto la credibilità del gruppo dei regionali. Che dopo aver protratto la discussione per ore fino a mezzanotte passata ed aver infine accettato, qualcuno obtorto collo, la (finta) mediazione imposta dal segretario generale della Cisl, si sono presentati all’apertura del congresso ufficialmente ricompattati sul documento messo in votazione che prevedeva l’immediato scioglimento della Fai (prima della fusione con la Filca. Già, perché “prima” e non “a seguito di”?).

La bocciatura di quel documento segnava quindi anche la smentita della prassi di governare la Fai attraverso il “senato delle regioni” invece che negli organismi statutari, a cominciare dal consiglio generale. Al quale sarebbe ora spettato di eleggere il nuovo segretario generale, ripristinando la legalità statutaria.

A questo punto però, al posto della democrazia associativa, arriva il commissariamento: che scioglie il consiglio generale e resuscita il senato delle regioni.  E infatti, i regionali redivivi si sono accodati in gruppo al commissario. Perché è da lui ricevono il ruolo politico e la rappresentatività che il congresso, come gruppo, gli ha negato. Soprattutto quelli che, o per i mandati scaduti o perché sono stati proclamati eletti al posto di “scheda bianca” (nel senso che nell’urna c’erano molte più schede bianche di quelle votate col loro nome), sono stati letteralmente miracolati. E allora, guai a chi tocca il commissario, e giù ad annuire ad ogni sua parola tirata fuori dal sacchetto, ad ogni banalità enunciata con tono inutilmente enfatico. Anche quando dice peste e corna di quello che loro stessi hanno fatto, e hanno condiviso col segretario generale, fino a un anno e mezzo fa.

Perché anche questa è bella: un commissario che si legittima attaccando il passato della Federazione, e che contemporaneamente la governa attraverso un gruppo di persone che di quel passato sono state tutte protagoniste, e in qualche caso corresponsabili. Perché, come insegnano la storia, a volte il passato passa, ed a volte non vuole passare.

Ed è questo che genera il trasformismo.

(fine della seconda puntata)

Condividi il Post

Commenti