Libertà di parola/Altro che ripresa!

Luigi Viggiano ci manda da Savona una sua analisi sulla situazione economica del paese e torna a lanciare il suo appello perché le organizzazioni sindacali riacquistino la perduta capacità di essere soggetti propositivi di risposte adeguate e di rappresentanza efficace dei soggetti più deboli. Altrimenti perderanno ulteriormente, come stanno già perdendo, ruolo e rilevanza

 

ALTRO CHE RIPRESA, I DATI EUROSTAT CONFERMANO: L’ ITALIA E’ DIETRO I BIG UE; LO SPAZIO FISCALE E’ A ZERO, IL DEBITO E’ SALITO A 2212 MILIARDI DI EURO
ogni Italiano nasce con 36.000 euro di debiti

Altro che ripresa, i dati Eurostat di questi giorni lo confermano: l’Italia è dietro tutti i big della Ue. Al contrario degli spot governativi e annunci propagandistici del governo; non riusciamo a recuperare terreno. In altre parole: il paese é bloccato nella recessione. Lo testimoniano i dati Eurostat rielaborati dal Mise. Dati che non lasciano dubbi: l’Italia non riesce a recuperare le perdite della crisi e a mettersi al pari dei principali paesi europei su industria e lavoro. Non solo ma a stentare è soprattutto l’occupazione giovanile, che dal minimo registrato durante la crisi ha recuperato 0,9 punti (2,7 in Germania, 4,2 in Gran Bretagna e 1,9 in Spagna). E ancora secondo il ministero dello sviluppo economico, il livello della produzione industriale italiana rimane di oltre il 31% inferiore rispetto ai massimi pre-crisi ed ha recuperato solo il 3% rispetto ai minimi toccati durante la recessione. Per capire meglio l’entità del fondo che stiamo toccando, basterà considerare che la Francia ha recuperato l’8%, la Germania il 27,8%, la Gran Bretagna il 5,4% e la Spagna il 7,5%. Il confronto, poi, è ancora più pesante nel settore delle costruzioni: ad ottobre di quest’anno l’Italia era 85 punti sotto il massimo pre-crisi ed ha toccato il nuovo minimo assoluto dall’inizio della recessione economica. Secondo Eurostat, tutti gli altri hanno invece recuperato.
Quello in cui però continuiamo ad essere imbattibili è la speranza nel futuro: così, proprio mentre i dati dell’indagine sanciscono la prosecuzione della nostra debàcle economica, altre voci dicono che l’Italia distanzia quasi tutti gli altri paesi europei nel clima di fiducia dei consumatori. Un “ottimismo” che mal si concilia con i dati relativi alla realtà del mercato del lavoro secondo i quali continuiamo ad essere in difficoltà. E allora, se è vero che nel terzo trimestre, del 2015 il tasso di disoccupazione è sceso all’11,5%, è anche vero che in Germania era al 4,5% e in Inghilterra al 5,2%. La Spagna segnava ancora un grave 21,6%, tuttavia rispetto ai momenti più gravi della crisi Madrid ha recuperato 4,7 punti contro 1,6 punti di Roma. L’Italia, sempre in base ai dati dell’indagine Eurostat, risulta infine fanalino di coda nell’occupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni con un tasso del 15,1% contro il 28% della Francia, il 43,8% della Germania, il 48,8% del Regno Unito e il 17,7% della Spagna. Rispetto ai picchi negativi della crisi il recupero è stato di 0,9 punti, contro 1,9 della Spagna, 2,7% della Germania 4,2 della Gran Bretagna.
Se a questo aggiungiamo che il debito pubblico continua a crescere nonostante il petrolio sia sceso da oltre 100 dollari al barile a circa 35 e l’euro svalutato di circa il 25/30% la situazione é divenuta preoccupante al punto di allarmare il Fmi che si è premurato di ricordarci che il nostro “spazio fiscale” a zero e il debito pubblico così pericolosamente alto (quello italiano è pari al 143% del Pil rispetto al 74% della Germania) fanno si che l’Italia venga considerata vista all’estero come il massimo rischio sistemico globale. (Per essere più chiari si stanno rapidamente creando le condizioni che ci portarono al governo Monti, con l’aggravante che oggi non ci sono più le pensioni da sacrificare).

Scusatemi se insisto ma se, come sindacato, non ritorniamo alle origini occupandoci di questi ed altri temi simili come possiamo sperare di risalire la china? Lo so qualcuno mi ricorderà il detto che “ quando non ci sono cavalli corrono gli asini” però non penso che questo possa valere per recuperare lo stato in cui siamo precipitati e che Ilvo Diamanti descriveva molto bene su Repubblica del 31 agosto 2015; (di seguito un significativo stralcio).
LA SOLITUDINE DEL SINDACATO
[La Repubblica, 31 agosto 2015] Ilvo Diamanti
………il declino di credibilità e fiducia che coinvolge tutte le sigle maggiori. Dal 2009 al 2015, infatti, la quota di popolazione che esprime (molta o moltissima) fiducia nella Cgil è scesa di circa 13 punti. (Da qui in poi: dati di sondaggi Demos-Coop). Dal 37% al 24%. Mentre la Cisl è passata dal 28% al 20%. È interessante osservare, inoltre come il clima d’opinione peggiori proprio nella base naturale del sindacato. Gli operai. Fra i quali il grado di fiducia verso la Cgil è ridotto al 21,3%. Verso la Cisl e Uil: al 18,7%. D’altra parte è da anni che il sindacato sta perdendo adesioni. Soprattutto nell’impiego privato. Per contro, “rappresenta”, sempre di più, i pensionati: circa metà degli iscritti. Mentre è cresciuto nel pubblico impiego. D’altronde, le adesioni sindacali nell’impiego privato non sono facilmente verificabili. Tuttavia, ciò non dipende solo dall’incapacità del sindacato e del suo gruppo dirigente. Rispecchia, invece, il cambiamento della società. Sempre più vecchia. Dove i posti di lavoro sono sempre meno e sempre più frammentati. Circa il 60% della popolazione definisce il proprio lavoro: precario, temporaneo, flessibile. Insomma, non c’è più “un” tipo di lavoro a cui fare riferimento. Semmai, lavori e lavoratori “atipici”. E “atopici”. Senza un “posto” fisso. Presso i quali il sindacato “attecchisce” a fatica. Per difficoltà ambientali. Ma anche culturali. Proprie. Perché sembra aver perduto il ruolo sociale che, ancora pochi anni fa, occupava. Nel 2004, il 30% della popolazione lo indicava come il primo elemento di difesa dei lavoratori. Oggi appena più della metà: il 16%. Mentre, parallelamente, è cresciuto, anche su questo piano, il ruolo della famiglia: dal 10% al 36%. Il fatto è che tra i cittadini e i lavoratori si è fatta largo la convinzione che il sindacato serva soprattutto a chi ci opera. Ai sindacalisti. In primo luogo: ai gruppi dirigenti. Tuttavia, non credo vi sia di che rallegrarsi. Perché il sindacato è “servito” a tutelare gli ultimi e i penultimi. Quelli che da soli non ce la possono fare. E, per difendersi, hanno bisogno di unirsi agli altri, che condividono la loro condizione. Ormai non è più così. Il sindacato rappresenta i garantiti. Mentre la questione dei “diritti”, posta da un grande leader sindacale come Bruno Trentin, – ha osservato Bruno Manghi – è “brandita per la difesa della rivendicazione specifica, mai per quelle altrui”. Ma a quel punto “i diritti” perdono valore. E ciò costituisce un problema. Per i lavoratori, per gli “esclusi”, ma anche per il sindacato.
Tuttavia, non hanno di che rallegrarsi nemmeno Squinzi e Confindustria. Il “sindacato degli imprenditori” ha perduto a sua volta credito. Dal 32,9% nel 2009 al 25,2% registrato alcuni mesi fa. (E quando si utilizza esplicitamente la denominazione “Confindustria” i valori scendono ulteriormente.) Le polemiche e le tensioni, comunque, si sono allargate anche all’interno. Molte imprese – soprattutto le più grandi – si “tutelano” e si rappresentano sempre più da sole. A partire dalla Fiat di Sergio Marchionne. “Il tempo è scaduto anche per Confindustria”, ha affermato Alessandro Barilla due anni fa. Neppure questa, però, è una buona notizia. Per nessuno.
Una parola insignificante. Perché, nell’epoca dei partiti personali e personalizzati, al tempo dei partiti senza società, dove avanzano leader “soli” e da “soli”: la burocratizzazione del sindacato e delle organizzazioni imprenditoriali, lascia i cittadini ancora più “soli”. Più lontani dalla politica e dalle istituzioni.
Così, senza mediazione e mediatori, la democrazia rappresentativa diventa sempre più incolore.
L’amara conclusione é che mentre la nave affonda noi incuranti continuiamo la festa…… senza che i grandi strateghi prendano uno straccio d’iniziativa .

S a v o n a, 5 G e n n a i o 2 0 1 5
L u i g i V i g g i a n o
F N P S A V O N A

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