E se quella di Squinzi fosse un’autocritica?

Che i sindacati possano essere “mediamente un fattore di ritardo” per il paese, non c’è solo il presidente della Confindustria a pensarlo. Anche perché qualche volta può essere vero, e qualche altra volta può essere un modo facile (come, ma è solo un esempio, per il giovin presidente del consiglio) di non assumersi la responsabilità dei propri mancati successi.

Da un po’ di decenni è così: chi perde la partita dà la colpa all’arbitro, e chi non riesce ad essere competitivo, come impresa o come paese, dà la colpa ai sindacati. Col risultato che chi perde la partita continua a perdere anche quando l’arbitro non sbaglia, e che chi perde competitività non sa spiegare come mai la Germania invece la guadagna pur avendo una presenza sindacale più forte, e non meno conflittuale, di tanti paesi che le restano indietro.

Ma forse le parole di Squinzi vanno lette anche in un altro modo, come una maniera di ammettere qualcosa senza farlo esplicitamente. In fondo la Confindustria stessa è un sindacato (anche quelli delle imprese sono sindacati), ed il simpatico Squinzi si rende conto che, sempre “mediamente”, anche il contributo dato dalla rappresentanza delle imprese alla competitività del paese non è stato dei migliori. E in effetti a volte c’è la sensazione che la Confindustria sia un po’ più lenta delle imprese che rappresenta. Come qualche volta può accadere la stessa cosa alle confederazioni dei lavoratori.

Perché se un problema c’è, probabilmente c’è da tutte e due le parti del tavolo; e quel “mediamente” di Squinzi forse comprende nel calcolo della media anche il lato dove si siede lui. Del resto tutte le decisioni strategiche più importanti degli ultimi decenni sono state condivise fra sindacati delle imprese e sindacati dei lavoratori, tranne qualche volta che le imprese hanno mandato avanti il governo a fare le riforme che volevano loro, con risultati non sempre all’altezza delle promesse (a proposito, i miracoli promessi dal ‘jobs act’ quando arrivano?). Ma, ad esempio, che dire degli accordi “storici” sulla rappresentanza che dovevano risolvere tutto e non hanno ancora risolto nulla?

E’ tutta colpa dei sindacati dei lavoratori, o non c’entra qualcosa anche la responsabilità di organizzazioni datoriali che hanno serissimi problemi di rappresentatività, e che quando firmano accordi hanno più il problema di legittimare il proprio ruolo che quello di risolvere i problemi di chi rappresentano?

Ecco, se c’è qualcosa che sta rallentando il paese è anche un sistema di relazioni industriali che dopo il 1993 è passato da un accordo (più o meno “storico”) all’altro mentre il paese perdeva terreno nel suo complesso. Un sistema che conserva una pesante impostazione corporativa e dimostra scarsa decisione di incidere sui problemi effettivi, affrontandoli sempre e solo dal centro.

Un motivo in più per difendere il principio dell’autogoverno delle categorie. Perché a questi livelli c’è più innovazione e più capacità di competere, sia fra le imprese che fra chi lavora.

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